L’urlo che sgorgò dalla bocca di
Giorgio fu raccapricciante. Congelò ogni altro rumore per alcuni secondi,
frantumando il silenzio del tiepido pomeriggio autunnale e facendo accapponare
la pelle.
La prima cosa alla quale pensò
Leonardo fu che adesso, molto probabilmente, gli zombie di fronte al cancello
del parco si sarebbero accorti di loro.
La seconda fu che Giorgio era
spacciato.
Saltò sul sedile del passeggero, senza
starci troppo a pensare, e valutò rapidamente la situazione.
Giorgio gridava fuori tutto il fiato
che gli era rimasto nei polmoni. Una buona metà del suo braccio proteso verso
la portiera era nascosta da una testa umana con i capelli neri impastati di
sangue. Si sentiva lo scricchiolio dell’osso sgranocchiato da denti famelici, e
in sottofondo si poteva percepire lo sciacquio sanguinolento di una lenta
masticazione.
Leonardo impiegò pochi istanti a
capire che cosa fosse accaduto. Era il ragazzino. Il ragazzino morto che
avevano appena scaricato dai sedili posteriori della Panda. Si era rialzato mentre ripulivano il resto dell’abitacolo, e
ora aveva morso Giorgio.
Marta si affacciò all’interno della
vettura e cacciò un grido di terrore che si affrettò a soffocare.
«Merdaaa!» strillò Giorgio,
afferrandosi la spalla sinistra con la mano destra e tirando più forte che
poteva, nel vano tentativo di strappare il proprio braccio alla morsa spietata
del ragazzino morto.
«Sta’ fermo!» ordinò Leonardo, e
facendo leva con una mano sul sedile e l’altra sul cruscotto sferrò un calcio
in avanti in direzione della testa con i capelli impastati di sangue,
costringendo lo zombie a lasciar andare la presa.
Il ragazzino morto arretrò e Giorgio
poté ritirare il braccio insanguinato.
Un ringhio sordo scaturì dalle labbra
pallide e screpolate del cadavere del ragazzino. Aveva occhi vitrei,
dolorosamente vuoti, e a guardarlo sembrava di vedere un animale ferito in
procinto di attaccare.
Leonardo lanciò un’occhiata oltre il
parabrezza. Come temeva, erano riusciti a catturare l’attenzione degli zombie
davanti al parco. Ora avanzavano verso di loro, piano, con l’andatura incerta e
ciondolante e le bocche spalancate in nere voragini infernali.
Sollevò la pistola, la puntò e pregò
che funzionasse. Non c’era molto tempo. Dovevano muoversi, o nel giro di
qualche minuto sarebbero stati sviscerati su quella strada da mani estranee. E
il loro viaggio verso Vicenza sarebbe morto con loro.
Premette con forza il grilletto, fino
a farsi sbiancare il polpastrello, ma il colpo non partì.
«Cazzo!»
«Sta tornando!» urlò dietro di lui
Marta, indicando il ragazzino zombie che si riavvicinava a Giorgio schioccando
i denti.
Leonardo fece pressione su una piccola
levetta laterale della pistola, supponendo fosse quella della sicura, e riprovò
a premere il grilletto puntando la bocca da fuoco sullo zombie.
Di nuovo, il click metallico del
grilletto abbassato non fu seguito da alcuno sparo.
«Fanculo!» berciò Giorgio, e propinò
un calcio poderoso al ragazzino morto, facendolo barcollare e ricadere indietro
sull’asfalto. «Andiamo!»
Marta non se lo fece ripetere due
volte. Salì sul sedile posteriore e richiuse la portiera, intanto che anche lo
sportello di Giorgio tornava al proprio posto.
Leonardo rimase sospeso per qualche
secondo, incapace di accettare l’inutilità del suo intervento. Ma poi Giorgio
lo richiamò, e la sua mente rientrò nel presente, su quella maledetta strada
infestata.
La chiave girò e la macchina si accese
senza troppe proteste.
«Vai!» strillò Marta, e Giorgio
accelerò facendo stridere le gomme sull’asfalto.
La Panda
rossa scattò in avanti come una belva feroce, ululando e cozzando violentemente
contro i primi zombie del gruppo in avvicinamento. Fu come passare sopra un
campo di zucche mature: l’auto subì qualche scossone, ma la cosa peggiore fu il
rumore. Rumore di ossa e tessuti umani sbriciolati sotto gli pneumatici, e per
un momento la macchina slittò sul sangue come su una pozza di ghiaccio,
scivolando in avanti fino al cancello in ferro battuto del parco pubblico.
Oltrepassarono l’ingresso e
imboccarono un viale pavimentato, troppo stretto per essere percorso in auto.
Il parabrezza era interamente ricoperto di schizzi di sangue, perciò Giorgio
azionò i tergicristalli per ripulire la visuale.
Il parco era apparentemente sgombro, o
almeno così sembrava a un primo sguardo. In ogni caso, non potevano proseguire
con la Panda, e alcuni zombie che si
erano lasciati indietro si stavano già riavvicinando di buona lena, pronti ad
aggredirli. Con tutto il rumore che avevano fatto erano riusciti ad attirarne
anche altri.
«Scendiamo. Si va avanti a piedi»
annunciò Leonardo aprendo la portiera.
«Ce la fai?» domandò Marta
rivolgendosi a Giorgio, che si teneva stretto il braccio sinistro nella mano
destra.
«Sì. Ma fa un male cane. Sto perdendo
molto sangue, non so per quanto riuscirò ad andare avanti…»
«Intanto ci dobbiamo allontanare da
qui. Corriamo verso l’altra estremità del parco, e da lì puntiamo verso gli
argini. Una volta arrivati là in cima avremo una visuale migliore e potremo
occuparcene. Pensi di potercela fare?» gli chiese Leonardo.
Giorgio annuì, producendo una fugace
smorfia di dolore ma affrettandosi a celarla.
Scesero dall’auto. C’era una mezza
dozzina di zombie in arrivo dal cancello aperto, ma avevano ancora un vantaggio
di un centinaio di metri abbondante. Un altro paio di cadaveri si scorgevano
nelle zone del parco a portata d’occhio. Uno sotto un albero sulla destra, un
altro poco più avanti lungo il viale. Era comunque fattibile.
«Togliamoci di qui» comandò Leonardo
asciutto, e tutti e tre si misero a correre.
La Panda
rossa rimase dietro di loro, ferma sul vialetto del parco con i finestrini
e i sedili macchiati di sangue e le portiere di nuovo spalancate.
Lo zaino del ragazzino morto, con
tutti i suoi libri di scuola, era ancora là dentro. E ci sarebbe rimasto per un
bel po’. Forse anche fino alla fine dei tempi. Perché nessuno sarebbe mai più
tornato a riprenderlo per caricarselo ancora una volta sulle spalle.
Mentre correvano, Leonardo pensò a
questo e si sentì tremendamente triste. Il mondo stava cambiando. Il mondo era cambiato, incurante dei sogni che
schiacciava sotto il proprio peso, indifferente alle loro sofferenze, alle loro
paure. Tutto ciò che sapeva sulla vita, e che aveva imparato con gli anni ad
apprezzare, oramai non esisteva più. E il ricordo a poco a poco si tramutava in
un dolore sordo e indistinto.
Vicenza era ancora lontana…
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