venerdì 26 agosto 2011

Sull'Orlo dell'Ignoto - Parte II

Stefano abbandonò la via laterale che aveva scoperto quella mattina per immettersi nuovamente nella solita strada di tutti i giorni, pigiando appena sull’acceleratore e lasciandosi invadere la mente da quello sciame di pensieri che l’aveva occupata subito dopo aver abbandonato l’ufficio del direttore.
Ancora non riusciva a capacitarsi di essere stato licenziato. Era una verità troppo assurda per essere presa in considerazione – ma pur sempre una verità, dopotutto, e allora perché fingere che non fosse successo niente? Era successo qualcosa, invece, qualcosa di grosso, e doveva incassare il colpo e accettarlo, altrimenti non si sarebbe più ripreso.
Gli avevano dato il benservito, dopo quindici lunghi anni di lavoro in quell’ufficio, e tutto ciò che si era faticosamente costruito attorno, tutti gli sforzi che aveva profuso nella sua occupazione e tutti i sogni di un futuro gioioso che aveva progettato sopra di essa si limitavano adesso ad un’unica, banale lettera di congedo in cui il direttore della sua azienda dichiarava di averlo licenziato a causa di un esubero di personale. In realtà, gli aveva spiegato con parole sovrabbondanti e discorsi straripanti, la crisi aveva affondato le proprie radici pure da loro e, per evitare che l’intera azienda colasse a picco, si era rivelato necessario affrontare alcuni drastici tagli a partire da quei settori che negli ultimi tempi avevano registrato una produttività più ridotta. Al posto suo non avrebbero assunto nessun altro, gli aveva detto chiaro e tondo il direttore: semplicemente, la sezione che occupava il dodicesimo piano non sarebbe più esistita, e gli uffici da essa adoperati sarebbero serviti come deposito per i prossimi mesi fino a che l’azienda non fosse riuscita a risollevarsi e ad inventarsi qualcosa di nuovo per poterli riempire.
«Spero tu capisca che non abbiamo altra scelta, e che da parte nostra è stato fatto tutto il possibile per evitare una simile disgrazia. Non c’è niente, in un periodo di crisi come questo, che mi strazi il cuore quanto l’idea di lasciare a casa disoccupati i miei fedeli dipendenti. Mi auguro tu ti renda conto che non vi è assolutamente nulla di personale in tutto questo…» aveva pronunciato con calma il direttore, mentre lo sguardo di Stefano cadeva immancabilmente sulla sua espressione per nulla preoccupata – anzi, a dirla tutta sembrava quasi rilassato, come se comunicargli quella terribile notizia lo liberasse da un peso non indifferente che gli gravava da giorni sulle spalle.
Rabbrividì, ricordando quella fredda occhiata compiaciuta che il direttore gli aveva scoccato un istante prima che abbandonasse il suo ufficio, probabilmente pensando che fosse girato dall’altra parte e non lo stesse guardando.
E adesso come avrebbe fatto? La domanda sorse spontanea in lui, impellente e inevitabile, e lo fece affondare in una scura pozzanghera di sconforto. Aveva il mutuo da pagare alla fine di ogni mese, sia per la casa che per la macchina, e una famiglia da mandare avanti. Per adesso erano solamente in due, ma entro un paio di mesi ci sarebbe stata una bocca in più da sfamare, e questo non era decisamente il momento migliore in cui ritrovarsi senza lavoro da un giorno all’altro.
Accostò. Un brivido ghiacciato stava danzando sulla sua schiena, provocando in tutto il suo corpo un violento tremore incontrollato. Crollò sul volante, nascondendo il viso tra le braccia e lasciando affiorare i singulti che premevano per emergere e scuoterlo da capo a piedi. Qualche lacrima gli incise le guance, tratteggiandovi due solchi tiepidi e ben distinguibili. Possibile che avesse perduto tutto quanto in un attimo solo, quasi che un repentino alito di vento gli avesse spazzato via il castello di carte che aveva impiegato ore e ore ad erigere? La realtà si stava sgretolando, stava perdendo concretezza, significato e consistenza, e la parte peggiore era che lui se ne rendeva conto ed era obbligato ad assistere in silenzio a questo rovinoso cedimento, senza poter fare nulla per impedirlo o anche soltanto per fermarlo.
Il suo futuro stava venendo impunemente calpestato sotto il suo sguardo impotente dagli spietati e inesorabili passi della vita, incuranti di ciò che distruggevano al proprio passaggio. Si sentiva come se tutto d’un tratto ogni barlume di giustizia, in quel mondo impietoso e traviato, si fosse smorzato fino a ridursi ad un insignificante lumicino avviluppato nelle tenebre, prossimo ad estinguersi definitivamente.
Inspirò forte ed espirò, riacquistando un minimo di controllo. Attese che un paio di automobili gli sfrecciassero a fianco, quindi ritornò tra le strisce della corsia di marcia. Non sarebbe rientrato nel suo ufficio dopo quella pausa pranzo. Il pomeriggio lo avrebbe trascorso a casa, a scervellarsi soppesando le parole da adoperare per spiegare a sua moglie che cos’era accaduto. Non aveva idea di come sarebbero riusciti a tirare avanti, da lì in poi, ma per adesso l’importante era dire a Valentina del licenziamento e cercare una soluzione insieme.
Lasciò la macchina sul vialetto del garage e si incamminò verso la porta d’ingresso della sua casa – quella casa che non era sicuro di poter continuare a pagare. Meglio passare in banca prima di parlare con sua moglie, si disse mentre inseriva la chiave nella toppa dell’uscio. Doveva perlomeno avere la cognizione di quanto tempo rimaneva loro prima di restare completamente al verde – magari i soldi sarebbero bastati per pagare la prossima rata del mutuo. E poi ci sarebbe stata la liquidazione, doveva tenere in conto anche quella – ma chissà quando sarebbe arrivata, il direttore aveva specificato che l’azienda non navigava in buone acque e le liquidazioni dei dipendenti licenziati avrebbero tardato parecchio. Inoltre, una buona parte dell’indennità di fine rapporto l’aveva richiesta due anni addietro per avviare il mutuo della macchina; quella che aveva maturato nel frattempo non doveva essere una gran cosa, stimò.
Si introdusse pian piano nell’abitazione, richiudendo la porta alle proprie spalle senza fare troppo rumore per non spaventare la consorte. Lasciò cadere il cappotto sullo schienale di una sedia in sala da pranzo e raggiunse la cucina in due rapidi balzi, spalancando il frigorifero e tracannando direttamente dalla bottiglia una bella sorsata di acqua gelata. Sciacquarsi la bocca era salutare, quando c’erano cattivi pensieri che gremivano la mente, ragionò. Adesso che si sentiva un po’ meglio, il passo successivo da compiere era andare su di sopra da Valentina e dirle che preparava lui da mangiare.
Salì le scale, assumendo la compostezza più naturale che gli fosse possibile simulare, quindi abbozzò un lieve sorriso ed entrò nella camera da letto, dove sua moglie stava risistemando delle coperte e piegando un cumulo di maglioni da mettere nell’armadio – l’anta era aperta, notò Stefano; quasi sicuramente, quello lì era il giorno della settimana che Valentina era solita dedicare al riordino dei guardaroba, faccenda che svolgeva sempre con la massima accuratezza.
«Ciao amore» la salutò varcando la soglia della loro stanza. La donna si voltò di scatto, sobbalzando sorpresa, e gli rivolse un sorriso vagamente atterrito.
«Che spavento mi hai fatto prendere! Sei già tornato?» gli domandò, separandosi dalla catasta della biancheria che stava piegando e venendogli incontro per abbracciarlo. Si strinsero brevemente. Stefano constatò con piacere che il pancione cresceva a vista d’occhio. Ormai erano sette mesi, non mancava ancora molto… Fu come un fugace raggio di sole in una mattinata altrimenti cupa e nuvolosa.
«Sì, oggi c’è stato poco da fare…» biascicò senza mentirle. Era vero che quella mattina non aveva avuto molte cose da sbrigare, tuttavia c’era dell’altro, e avrebbe voluto svelarlo a quegli occhi azzurri che lo fissavano amorevolmente ma non ne ebbe il coraggio. Non era ancora il momento giusto per dirle tutto quanto.
«Meglio così, almeno mi darai una mano a preparare il pranzo» commentò Valentina riprendendo a piegare e impilare i loro maglioni invernali.
Stefano annuì con un sorriso accondiscendente, ma quando sua moglie si voltò dall’altra parte il suo volto riassunse quell’espressione timorosa e angosciata che lo aveva accompagnato fino a casa. Come poteva dirle che il loro bambino sarebbe nato in una famiglia che non aveva più un soldo per poter continuare a pagare il mutuo della casa nella quale viveva?

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