Per
qualche istante i centododici passeggeri del treno fermo accanto alla stazione
si lasciarono prendere dal panico. Alcuni accennarono a fuggire, altri si
limitarono a rimanere immobili e a gridare il proprio orrore senza controllo,
ma fu Carlo, il poliziotto in vacanza, a rimettere rapidamente ordine. Sbraitò
alla calca di smetterla immediatamente e partì di corsa verso il signor Nicola,
seguito da Giacomo e, subito dietro, dal controllore e da Roberto.
I
quattro furono addosso a Nicola un attimo prima che il poveretto stramazzasse
al suolo. Carlo lo afferrò al volo e lo posò delicatamente sul cemento tra la
facciata della stazione e i binari.
Roberto
si voltò e intravide di sfuggita la moglie di Nicola perdere i sensi e
Francesca sorreggerla assieme a un paio di donne accorse in suo aiuto. La
situazione era più o meno sotto controllo, da quella parte. E la folla si era
finalmente ammutolita.
Adesso
si dovevano occupare del signor Nicola.
«È
messo male…» mormorò Giacomo fra i denti, raccogliendo il coraggio necessario a
parlare per primo e dare voce ai pensieri di tutti e quattro.
«È
completamente ricoperto di sangue. E ha i vestiti strappati in più punti. Il
polso sinistro ha assunto una curvatura che non promette niente di buono»
osservò il controllore, in quel momento apparentemente più calmo degli altri.
Carlo
si ripulì le mani sui jeans dal sangue. Poi si girò. «C’è un dottore?
Un’infermiera? Qualcuno che sappia fare qualcosa, dannazione?» berciò rivolto
verso i passeggeri. Nessuno emise un fiato, nessuno si mosse. «Cazzo» borbottò,
e tornò a chinarsi su Nicola per continuare a valutare i danni.
«Vedo
un paio di escoriazioni,» disse il controllore, pensieroso, «ma non tanto gravi
da giustificare tutto questo sangue. Deve avere una ferita più profonda da qualche
parte.»
«Allora
lo dobbiamo girare» considerò Roberto. La situazione era talmente surreale che
gli sembrò di parlare da chilometri e chilometri di distanza. Come se la sua
voce scaturisse da un altoparlante, ma lui si trovasse da tutt’altra parte del
mondo con un maledetto microfono in mano.
«Nessuno
gira niente, qui, nessuno tocca nulla» lo bloccò Carlo, con aria ansiosa. «Se
combini danni rischi una denuncia che ti basta per tutta la vita. Ti divorano
la casa, l’auto e i vestiti che hai addosso se per caso succede qualcosa che
non va bene mentre lo giri.»
«Queste
sono circostanze particolari» fece notare il controllore, come per dare una
voce all’ovvio.
«Particolari
un accidente. Chi lo stabilisce, tu? Sei tu che comandi? Che giudichi?»
«Mettiamo
da parte questo conflitto per un momento, per piacere» cercò di calmarlo
Roberto, ma il suo tentativo ottenne come unico risultato quello di fare
incazzare Carlo ancora di più.
«Chi
ti ha eletto? Chi ha votato che sia tu a decidere per tutti quanti, qui? Non
siamo più in quello stramaledettissimo treno, bello mio, e qui fuori comando io!»
«Non
sono un medico, ma secondo me questo ha smesso di respirare…» intervenne
Giacomo, riportando giusto in tempo l’attenzione sulla questione principale. Ma
non era finita. Non così, non ancora. Si trattava solo di una tregua, con un
mostro incavolato che stava in agguato dietro gli occhi luccicanti di rabbia di
Carlo.
Il
controllore si chinò, appoggiò un ginocchio sul cemento e posò due dita sul
collo di Nicola, in alto e un po’ esternamente. «C’è battito» sentenziò, quindi
si piegò ancora di più e avvicinò l’orecchio al naso e alle labbra dell’uomo
disteso a terra. «Sento il respiro. Debole, ma c’è. Penso sia solo svenuto. Ma,
ora come ora, dobbiamo accertarci che non stia morendo dissanguato.»
«Anche
se fosse, come potremmo evitarlo?» farfugliò Giacomo, sottolineando
l’impossibilità di compiere un’impresa che fino a pochi secondi prima sembrava
scontata e banale.
«Cazzo»
ripeté Carlo per la seconda volta, rimettendosi in piedi e passandosi una mano
sul viso.
«Se
c’è una ferita dobbiamo fermare il sangue. Possiamo ancora intervenire in
tempo. Ma lo dobbiamo girare!» insisté Roberto. Era consapevole del rischio,
del fatto che muovendolo avrebbero potuto fare più danni che altro. Sembrava
davvero ridotto male, per cui si trattava in sostanza di una scommessa. Era
come lanciare una moneta e aspettare che ricadesse sul cemento per vedere quale
faccia sarebbe rimasta sopra, né più né meno.
«Me
ne prendo io la responsabilità» concluse il controllore, e detto questo infilò
le mani sotto la schiena del signor Nicola e lo girò adagio, mettendolo su un
fianco per verificare dove fosse la ferita dalla quale proveniva tutto quel
sangue.
Sul
cemento ai loro piedi rimase impressa la sagoma rossa di Nicola.
I
quattro si sporsero verso la figura insanguinata e cercarono di esaminarla con
attenzione, fronti aggrottate e sguardi concentrati, come alla caccia di uno
stuzzicadenti caduto in un campo di grano.
Il
silenzio durò a lungo, molto più a lungo di quanto tutti loro avrebbero
desiderato. Fu Giacomo a spezzarlo, ancora una volta, mugugnando: «Voi vedete
qualcosa?»
«Niente
di niente» sibilò Carlo, mostrandosi palesemente irritato.
«Ma…
non è possibile, no? Cioè, il sangue…» cominciò Roberto. Ma vide che il
controllore era ancora concentrato e seguitava a esaminare il signor Nicola
attentamente, quasi che potesse scorgere da un momento all’altro un particolare
sfuggito a tutti gli altri.
«Cazzo!»
imprecò Carlo per la terza volta, volgendo loro le spalle e rimanendo fermo in
piedi a guardare i passeggeri che attendevano in silenzio il loro verdetto.
Finalmente
il controllore si rialzò in piedi con calma e si schiarì la voce, assumendo un
tono grave. «Non ci sono ferite profonde. Solo escoriazioni e qualche taglio
qua e là, nulla di serio. Mi preoccupa più che altro il polso, ma dovremo
aspettare che riprenda conoscenza prima di capire quanto è serio il problema.»
«E
allora il sangue? Che cosa vuol dire tutto questo, dannazione?» balbettò
Giacomo, confuso.
«Può
voler dire solo una cosa, a questo punto» spiegò il controllore, in tono
pacato. «Tutto questo sangue non è suo.»
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