«Non
possiamo restare qui» tuonò Carlo, guardandosi intorno con aria decisa. «Ci
troviamo in una polveriera! Prima l’esplosione di ieri pomeriggio, e adesso
questo? No, non siamo al sicuro. Avete ragione, è sicuramente capitato qualcosa
finché eravamo in viaggio. Ma non intendo rimanere qui un minuto di più per
scoprirlo. Io e la mia famiglia ce ne torniamo a casa. Seguiremo i binari a
piedi, e anche se ci vorrà un sacco di tempo prima di essere a Padova,
perlomeno ci saremo allontanati da questo posto maledetto!»
«Forse
non hai capito bene quello che ho detto» lo riprese il controllore,
all’apparenza trattenendo a stento un’imprecazione. «Di qualunque cosa si
tratti, è molto probabile che sia successa dappertutto.
Sarebbero passati di qui altri treni, se così non fosse. Significa che anche a
Padova, e a Firenze, e forse in molte altre città sta avvenendo la stessa cosa.»
Di
nuovo un mormorio confuso, incolore, percorse la folla di passeggeri come una
languida ombra schiumosa. Roberto guardò il prete farsi il segno della croce.
Accanto a lui, alcune donne lo imitarono. Un uomo anziano baciò la piccola
croce d’oro che portava appesa al collo.
«Magari
sanno che qui c’è qualche problema. Magari ci sono i terroristi, come ha detto ieri Giacomo» insisté Carlo, riferendosi
a un altro passeggero che il pomeriggio precedente, assistendo all’esplosione,
aveva additato al-Qaeda come principale responsabile di ciò che avevano visto.
«Può essere successo di tutto. Hanno interrotto le linee telefoniche, spento le
comunicazioni, lanciato un segnale di allarme affinché la gente si nascondesse.
Hanno bloccato i treni. Ti sembra una cosa plausibile? Anche le mie sono
soltanto supposizioni, esattamente come le tue. Ma non starò qui a farmi
bucherellare dal primo sceicco del deserto di passaggio, se permetti. Io e la
mia famiglia ce ne andiamo. E subito.»
«Perché
non andare in cerca di qualche auto? Potremmo seguire la strada che si
allontana dalla stazione per procurarci dei veicoli…» avanzò Giacomo, il tizio
che ce l’aveva con i terroristi. La sua faccia era poco raccomandabile, annotò
Roberto guardandolo farsi avanti tra la folla di passeggeri in ascolto. Una di
quelle facce alle quali difficilmente avresti dato confidenza anche in un posto
pieno di persone. Una delle facce che per strada, di notte, avrebbero benissimo
potuto nascondere un coltello a serramanico in tasca.
«Non
dopo che il vecchio si è allontanato da quella parte e non è più tornato.
Preferisco farmela a piedi, tante grazie» ribatté Carlo, senza alcuna
inflessione di rimprovero. Giacomo annuì e gli si piazzò di fianco, come un
cagnolino fedele in attesa del pasto accanto al proprio padrone.
Roberto
guardò verso Francesca e vide che la moglie del signor Nicola era scoppiata in
lacrime. Un paio di signore le si erano avvicinate, forse per consolarla. Non
incontrò lo sguardo di Francesca ma indovinò quali potessero essere i suoi pensieri.
Bisognava fare qualcosa.
«Sì,
è giusto. Dovremmo andarcene» mormorò qualcuno.
«Sono
d’accordo» fece sapere una donna tra la folla, probabilmente parlando ad alta
voce con altri passeggeri vicini.
«Non
sappiamo ancora niente. Potrebbe essere tutto un banale malinteso. Ma se è
davvero pericoloso, la cosa migliore da fare è stare qui e rimanere tutti insieme» ribadì il controllore con
calma. Ma ormai la folla si stava già spaccando a metà. Alle prime voci giunte
in appoggio a Carlo si stavano aggiungendo altri sostenitori, mentre dall’altra
parte uomini e donne contrari all’idea cercavano di far valere la propria
posizione. Il brusio della folla di passeggeri si tramutò in un’accesa
discussione.
«Guarda
quanto fa in fretta a degenerare una democrazia…» biascicò tra i denti il
controllore, serrando con violenza i pugni e chiudendo gli occhi. Cercava di
farsi passare il momento di rabbia, rifletté Roberto, ma sul suo volto passava
anche qualcos’altro. Non era soltanto preoccupazione, né risentimento, né
tantomeno amarezza. Era paura, pura e semplice, e per un momento apparve così
indifeso da essere sul punto di crollare.
Lo
scontro verbale sembrava una battaglia vera e propria. Ognuno urlava più forte
che poteva per sovrastare gli altri, sicché non si riusciva più a capire chi
fosse da una parte e chi invece dall’altra.
«Adesso
basta con tutte queste chiacchiere!» gridò finalmente Carlo, spostandosi di
qualche passo dalla calca e voltandosi subito dopo per rivolgersi ad essa nella
sua interezza. «Chi è d’accordo con me e se ne vuole andare, faccia un passo
avanti o rimanga qui con gli altri!»
Stava
prendendo in mano la situazione. Roberto guardò il controllore, come per
chiedergli di intervenire. Aveva ancora le palpebre abbassate e continuava a
stringere i pugni. I segni lasciati sotto gli occhi dalla notte insonne erano
profondi e lo facevano sembrare ancora più debole. Si stava rassegnando.
Alcune
persone si mossero verso Carlo. Non molte, all’inizio, ma i primi
incoraggiarono gli altri a fare altrettanto e così aumentarono velocemente.
Tanti cercavano la figura del controllore con lo sguardo, come supplicandolo di
dare loro una risposta, ma l’uomo continuava a tenere gli occhi chiusi, quasi
che fosse caduto in uno stato di dormiveglia.
«Se
volete davvero stare al sicuro, voi e le vostre famiglie, non è qui che dovete
rimanere. Dovete venire con me, dannazione! Sono un poliziotto, so quello che
faccio. Non porterei mai via di qui la mia famiglia se non fossi sicuro di fare
la cosa giusta!» berciò ancora Carlo, persuadendo un’altra decina di persone ad
avvicinarsi a lui e ai suoi sostenitori.
Ormai
la folla era letteralmente divisa a metà, con una grossa crepa in mezzo che
permetteva di scorgere la facciata fredda e indifferente della stazione ferroviaria.
Roberto
lanciò uno sguardo verso il prete. Era rimasto dalla parte di quelli che non se
ne volevano andare, e molte persone lo interrogavano con lo sguardo per sapere
da lui cosa fosse meglio fare. Aveva temporaneamente sostituito il controllore
come guida decisionale, in mezzo al gruppo di passeggeri che sarebbero rimasti
all’ombra della stazione.
«Bene.
Siamo almeno una sessantina, da questa parte. Abbastanza persone da dare
nell’occhio e far cambiare idea a chiunque pensi di darci fastidio lungo il
tragitto. Possiamo andare» disse tranquillamente Carlo, voltandosi dall’altra
parte e cominciando a incamminarsi verso la coda del treno fermo.
«No!»
tuonò il controllore, con tale impeto da far sobbalzare Roberto e molti dei passeggeri
che stavano loro vicino.
Carlo
si girò lentamente, digrignando i denti con fare ostile, e strinse a sua volta
i pugni. «Ora basta! Che altro c’è..?»
«Oh
Cristo…» borbottò un passeggero in fondo al gruppo. Sollevò un dito in
direzione della stazione e tutti si voltarono rapidamente a guardare nella
direzione da lui indicata.
Roberto
guardò le facce dei passeggeri prima di seguire il loro sguardo. Vide
dipingersi sui loro visi un’angoscia senza confini. Poi, con calma, posò gli
occhi sulla porta della stazione e intravide una figura piccola e distante
avanzare con passo strascicato.
Fece
fatica a mettere bene a fuoco, perché aveva il sole negli occhi, ma quando
distinse abbastanza chiaramente la figura barcollante del signor Nicola avvertì
il cuore iniziare a battere talmente forte da minacciare gli squarciargli la
gola. L’uomo che veniva verso di loro era il signor Nicola, sì, solo che si
presentava leggermente diverso da come era partito: lordo di sangue fino ai
capelli.
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