Fu
la luce del sole a svegliarli la mattina seguente. Pioveva sulle loro facce
attraverso il vetro del finestrino, intensa e calda.
La
prima cosa che Roberto controllò fu di avere dei vestiti addosso. Ricordò che
se li erano rimessi poco prima di addormentarsi, la notte precedente, e
accarezzò il viso sereno di Francesca che ancora riposava sulla sua spalla.
Avevano
mosso il primo passo. Non era molto, ma almeno erano stati in grado di tirare
fuori l’argomento e parlarne. In fin dei conti, sembrava un buon inizio.
C’erano
tante cose da fare. Innanzitutto, vedere se il signor Nicola fosse tornato
durante la notte.
Francesca
aprì gli occhi e lo guardò. Gli sorrise debolmente e poi si tirò su
sbadigliando, stiracchiandosi e sogguardando con diffidenza il profilo della
stazione al di là del finestrino. Sì: erano ancora lì. E sì: ancora non
sapevano cosa fosse e soprattutto cosa sarebbe
successo. Ma erano insieme, ed era questo ciò che più contava.
Leggendole
negli occhi questi pensieri Roberto si sentì più tranquillo. Era l’inizio di
una nuova giornata, e forse avrebbero visto tutto quanto da una diversa
prospettiva, sotto una luce meno severa e terrificante di quella della sera
precedente. Chissà.
«Colazione
in pasticceria?» scherzò Francesca. Roberto sghignazzò. Era domenica, e loro
due avevano l’abitudine di fare colazione in pasticceria tutte le domeniche
mattina. Era come una sorta di rito del fine settimana, al quale difficilmente
sapevano rinunciare. Ma per quella volta avrebbero chiaramente dovuto fare
un’eccezione.
«Io
vado a sentire se ci sono novità. Non credo che qui in treno vendano l’edizione
di oggi del Giornale di Vicenza, per cui andrò a sentire cos’ha da dirci il
controllore» ribatté il ragazzo, accennando così a un’altra solida abitudine
della domenica mattina.
«Va
bene amore. Sistemo un po’ qui e ti raggiungo. Poi fammi sapere se c’è qualcosa
da mangiare, o se per caso qualcuno è incappato in una macchinetta del caffè
nascosta in una stanza segreta nella stazione.»
Roberto
uscì nel corridoio del vagone e si diresse verso la testa del treno. Passando
accanto a uno scompartimento sentì la voce di un uomo borbottare: «Lo dicevo,
io, l’ho sempre detto: non ci saremmo mai dovuti piegare agli Americani, non
avremmo mai dovuto accettare le loro basi militari nel nostro Paese! È colpa
loro se i terroristi ci hanno presi di mira!» Guardò dentro e vide l’uomo che
la sera addietro si era alzato in piedi in mezzo agli altri passeggeri e aveva
diffuso l’idea che si trattasse di un attacco terroristico. L’uomo incrociò il
suo sguardo per un istante e girò il viso dall’altra parte, come infastidito.
Roberto lo lasciò perdere.
Quando
arrivò nel primo vagone trovò il controllore seduto accanto all’unica porta
aperta. Si era gettato addosso una coperta, probabilmente presa in prestito da
qualcuno dei passeggeri, e osservava l’esterno con aria guardinga.
«Buongiorno»
lo salutò Roberto, sedendosi vicino.
«Buongiorno»
rispose l’altro con un filo di voce. Aveva delle belle borse sotto gli occhi,
notò il ragazzo, e pareva si fosse buscato un principio di raffreddore.
«Dormito bene?»
«Sì.
Vorrei rilanciare con la stessa domanda, ma temo di aver già intuito la
risposta. Perché non ti sei fatto dare il cambio?»
«Non
me la sentivo di delegare la mia responsabilità
nei confronti dei passeggeri di questo treno a qualcun altro. Ho chiesto a qualcuno
di sostituirmi soltanto quel paio di volte in cui ho fatto il giro a vedere che
anche le altre porte nei vari vagoni fossero sorvegliate come si deve. Non ho
registrato alcuna infrazione, tutti hanno svolto il proprio compito con
attenzione.»
«Bene…»
mormorò Roberto. «Qualche problema durante la notte?»
«Ho
sentito degli spari. Sembravano lontani. Non credo che altra gente possa averli
uditi, a meno che qualcuno non tenesse il finestrino aperto. Dopo l’esplosione
di ieri, quegli spari mi hanno fatto venire la pelle d’oca. Che cosa sta
succedendo là fuori mentre noi stiamo qui?»
«Un
milione a chi indovina la risposta esatta» sussurrò Roberto percorrendo con lo
sguardo le linee spesse e grossolane della stazione ferroviaria accanto ai
binari. «Del signor Nicola nessuna traccia?»
Il
controllore esitò a rispondere. Forse non aveva capito la domanda. Doveva
essere molto stanco, dopo la notte in bianco appena consumata. Invece balbettò
qualche secondo più tardi: «No. Forse avremmo fatto meglio ad aspettare, prima
di mandarlo via alla cieca. Se avessimo visto la fiammata di quell’esplosione prima che Nicola partisse, non gli avrei
mai permesso di avviare il motore di quella dannatissima Alfa Romeo.»
«Ormai
è fatta» fece notare molto semplicemente Roberto, ripristinando il silenzio.
Il
cinguettio di un uccello spezzò l’aria come lo scricchiolio di un ramo secco.
C’erano molti alberi, attorno alla stazione e ai binari, e Roberto iniziò a
considerarli per la prima volta. Alcuni di essi erano imponenti, persino più
alti della stazione stessa. Ce n’era uno in particolare, visibile da lì, che si
arrampicava nel cielo più in su di tutti gli altri, quasi che volesse vincere
una scommessa su chi sarebbe riuscito a toccare le nuvole per primo. Da lassù,
rifletté Roberto, forse si riusciva a scorgere il paese più vicino, o magari a
intravedere il punto in cui era avvenuta l’esplosione del giorno prima…
«Qualcuno
di noi dovrebbe salire su quell’albero» considerò finalmente ad alta voce,
indicando l’altissimo tronco in questione. «Da quella posizione potremmo farci
un’idea più chiara della zona.»
Il
controllore seguì il suo dito puntato con gli occhi e fu costretto a stringerli
per mettere meglio a fuoco. Scosse la testa debolmente, quando l’ebbe
localizzato. «Non guardare me. Non ce la farei mai ad arrampicarmi là in cima,
neanche con qualche chilo in meno.»
«Potrei
andarci io. Magari riuscirei a vedere il paese in cui probabilmente è andato
Nicola.»
«Ho
un’orrenda sensazione, sai?» saltò fuori di punto in bianco il controllore, lo
sguardo smarrito nel vuoto, quello di un turista nel deserto che ha appena
perso l’unica bussola che aveva con sé. «È tutta la notte che mi perseguita.
Per questo ho rinunciato a tentare di prendere sonno: non ci sarei comunque
riuscito.»
«Quale
orrenda sensazione?» volle sapere Roberto, lievemente titubante.
Il
controllore gli gettò addosso un’occhiata malinconica, come quella di una preda
braccata fino allo sfinimento. «La sensazione di aver condannato il signor
Nicola a morte certa.»
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