La
piattaforma di salita e discesa dal treno, in cemento armato, era ancora
bagnata per le piogge del giorno precedente. Di quando in quando il calore del
sole faceva levare qualche sbuffo di vapore isolato, che si sollevava nell’aria
e si dissolveva rapidamente.
La
stazione, immobile, continuava a osservarli con disinteresse attraverso le
orbite vuote delle finestre. Sembrava aspettare che prendessero una decisione.
Roberto non intendeva deluderla.
A
poco a poco i centododici passeggeri del treno si erano svegliati e i vagoni
avevano cominciato ad essere percorsi da un brusio indistinto. Il controllore
diede loro il permesso di uscire a prendere una boccata d’aria. Non c’era
niente di meglio che farsi riscaldare la pelle dal sole per scrollarsi di dosso
gli ultimi rimasugli di sonno, così i passeggeri parvero tranquillizzarsi e
riprendere le energie che la scomoda notte aveva loro sottratto.
Non
c’era molto cibo per la colazione. Il controllore affidò il sacco contenente le
provviste raccolte a Nadia, una studentessa di economia di venticinque anni che
gli aveva chiesto in quale modo potesse dare una mano. Le assegnò l’arduo
compito di decidere chi poteva mangiare e chi invece avrebbe dovuto aspettare.
La ragazza parve prendere sul serio il proprio incarico e cominciò a girovagare
con il suo sacco per le mani tra la gente, a distribuire biscotti, cracker e gallette.
Un
paio di uomini andarono a riempire alcune bottigliette di plastica vuote nei
gabinetti della stazione. Tornarono un po’ disorientati, ma dissero che i
rubinetti funzionavano. Si scambiarono un’occhiata d’intesa e uno dei due
soggiunse: «Uno dei rubinetti era già aperto, quando siamo entrati. L’acqua
scorreva da chissà quanto tempo.»
Il
controllore annuì in silenzio e si avvicinò a Roberto e Francesca, che
aspettavano il proprio turno per ricevere qualcosa da infilare sotto i denti.
«Dobbiamo mettere le cose in chiaro. Raccontare quello che abbiamo visto.
Questa gente deve sapere» mormorò con aria stanca.
Roberto
stava per dire qualcosa, quando una donna anziana con i capelli rosso fuoco si
fece avanti tra la calca e si parò loro di fronte, con gli occhi lucidi. «Avete
notizie di mio marito?» pigolò, con voce rauca.
«Non
si preoccupi, signora. Tornerà presto» la rassicurò Francesca, mentre gli altri
due la fissavano come stralunati, incapaci di proferire parola. Doveva essere
stata una notte veramente lunghissima per la moglie del signor Nicola, ragionò
Roberto. Avrebbero dovuto pensarci, tenerle compagnia, rasserenarla. Suo marito
era via da molte ore. Troppe, per una semplice capatina al paese più vicino.
Ormai era assodato che gli fosse successo qualcosa, anche se nessuno di loro
aveva ancora il coraggio di dichiararlo apertamente.
Francesca
fece sapere a Roberto con uno sguardo che era tutto okay e si allontanò con la
moglie di Nicola, dirigendosi verso il punto in cui Nadia distribuiva i pochi
viveri per la colazione.
«Sono
d’accordo con te. Dobbiamo far capire a questa gente che la situazione è più
grave di quanto sembra. Se i rumori che hai sentito questa notte erano davvero
spari, e non fuochi d’artificio o qualche altra diavoleria simile, allora
devono essere tutti preparati al peggio. Non sappiamo che cosa sta succedendo.
Ma non possiamo farci cogliere con le mani in mano, ad aspettare dei soccorsi o
un treno sostitutivo che non arriveranno mai» sentenziò cupamente il ragazzo,
osservando le tante persone che stavano loro attorno.
«Tocca
a me, allora» concluse il controllore chiudendo gli occhi e passandosi una mano
sul viso con fare esausto. «Devono rendersi conto del fatto che qui, per il
momento, malgrado le apparenze siamo al sicuro.»
Ma
era davvero così? Si trovavano realmente al sicuro, su quei binari, accanto a
quel treno, all’ombra di quella piccola stazione? Nessuno di loro poteva
esserne certo. Su una cosa, però, potevano concordare senza riserve: se le
persone avessero cominciato ad andare ognuna per la propria strada sarebbe
stato un bel problema. Chiunque avrebbe potuto localizzare il loro gruppo.
Forse anche quelli che avevano sparato la scorsa notte, in qualche posto
sconosciuto ma probabilmente non abbastanza distante, e che potevano essere
responsabili anche dell’esplosione alla quale avevano assistito, in lontananza,
lo scorso pomeriggio, se non addirittura di tutto il resto.
Il
controllore salì sul primo vagone del treno e si girò verso la stazione, in
piedi sulla porta scorrevole bloccata manualmente. Squadrò la folla di
passeggeri in silenzio, finché i più non si accorsero che voleva parlare e
fecero tacere anche gli altri. Nel giro di pochi secondi tornò il silenzio e il
cinguettio degli uccelli che si trovavano sugli alberi lungo i binari riprese a
dominare su ogni altro suono.
«Credetemi,
mi dispiace molto dovervi dare brutte notizie» esordì il controllore in tono
solenne, e le sue prime parole catturarono l’attenzione di tutti i presenti
come una rete abbastanza grande da ripulire l’oceano intero. «Ho bisogno che
tutti voi facciate un grande sforzo, oggi. Che vi sforziate di capire quello
che ho da dirvi. E che cerchiate di mantenere la calma, e di frenare qualsiasi
cosa l’istinto vi suggerisca di fare.»
Roberto
sondò la folla alla ricerca dello sguardo di Francesca. Lo individuò e vi si
aggrappò con tutte le forze. Lei annuì debolmente nella sua direzione e tornò a
posare gli occhi sul controllore, che dopo un attimo di pausa per raccogliere i
pensieri stava riprendendo il suo discorso.
«So
che molti di voi stanno ancora aspettando che arrivi un treno, da un momento
all’altro, per prenderci e portarci a destinazione. Ma non succederà.»
Un
mormorio confuso, che si spense quasi all’istante, affogando in una miriade di
sguardi sconcertati.
«Possiedo
la tabella in cui sono riportati gli orari di tutti i treni che dovrebbero
percorrere lo stesso nostro tragitto. Lungo questi binari, da quando ci siamo
fermati fino a questo momento, sarebbero dovuti transitare diciassette treni,
stando agli orari ufficiali di quest’oggi. Non ne abbiamo udito nemmeno il
rumore. Di nessuno. E, come sapete, la stazione è vuota da ieri pomeriggio.
Manca l’addetto alla biglietteria, così come mancano i proprietari delle
automobili posteggiate nel parcheggio. Tutto ci lascia presupporre che sia
capitato qualcosa di terribile, mentre eravamo in viaggio. E che questa cosa
inspiegabile, per qualche oscura ragione, non ci abbia colpiti.»
La
gente metabolizzava con estrema lentezza. «Che cosa possiamo fare!?» gridò d’un
tratto una donna, terrorizzata.
«La
sola cosa da fare, per adesso, è mantenere la calma e restare esattamente qui
dove siamo. Abbiamo trovato un’auto aperta nel parcheggio della stazione, con
le chiavi inserite. Nel tardo pomeriggio di ieri il signor Nicola si è offerto
di andare con quell’auto a dare un’occhiata nei paesi vicini. Non è ancora
tornato.»
«Dovremmo
mandare qualcuno a cercarlo!» vociò un uomo in mezzo ai passeggeri. Era un
prete, notò Roberto. Lo aveva già inquadrato un altro paio di volte, prima di
quel momento, e gli era sembrato in entrambi i casi piuttosto ansioso. Prese
nota mentalmente di tenerlo d’occhio, nelle ore a venire: la sua opinione
sarebbe stata senz’altro influente per la maggior parte di quelle persone, per
cui bisognava tenerne conto.
«Non
è ancora il caso di preoccuparsi per lui, sono fiducioso in merito al suo
ritorno» riprese il controllore con calma. «Ma avrà senz’altro incontrato delle
difficoltà, se sta impiegando tanto tempo a rientrare. E questo significa che
là fuori non è sicuro. Dobbiamo rimanere qui, tutti quanti, prima di decidere
di imbarcarci in qualunque impresa.»
«Eppure,
qui mi pare di capire che siano già state prese diverse iniziative. Tutte
rigorosamente senza consultarci, dico bene?» emerse la voce di Carlo, il
poliziotto in vacanza, facendosi spazio nel silenzio in tono sprezzante e
accusatorio. Alcune persone si scostarono per lasciare che il controllore lo
localizzasse. Se ne stava a braccia conserte, fiero in volto, con la moglie e i
figli qualche passo dietro le spalle.
«Dovevamo
prendere delle decisioni abbastanza in fretta. Abbiamo stabilito in che maniera
muoverci di volta in volta, preoccupandoci di non diffondere il panico, di non
lanciare allarmi privi di fondamento.»
«Malgrado
ciò, in questo momento ci stai spiattellando una discreta porzione di supposizioni. Ho forse frainteso?»
Il
duello di sguardi fu rapido e intenso. Il poliziotto teneva testa al
controllore di Trenitalia senza
troppe difficoltà, questa volta, forte delle occhiate di supporto e di
ammirazione che correvano tra alcune delle persone che gli stavano attorno.
Tutt’a
un tratto, una possente raffica di spari lacerò l’aria come un artiglio
particolarmente affilato, facendo levare uno stormo di uccelli dagli alberi che
si ergevano accanto ai binari e gettando un ulteriore velo di oscurità sui
passeggeri del treno che stavano all’ombra della stazione.
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