«Terroristi!»
esclamò un tizio poco in fondo, alzandosi impetuosamente in piedi. «Ci sono i
terroristi! Ecco perché nessuno ci viene a prendere: l’Italia è stata invasa!»
Roberto
si guardò rapidamente attorno. I visi che vedeva erano tutti sconvolti,
spaventati. Francesca gli si stringeva contro e non parlava, teneva gli occhi
fissi sul finestrino e osservava la pioggia che continuava nonostante tutto a
scrosciare contro il vetro.
C’erano delle donne che piangevano. Un prete che si nascondeva la faccia nel palmo di una mano, mentre con le dita dell’altra snocciolava i grani di un grosso Rosario di legno.
C’erano delle donne che piangevano. Un prete che si nascondeva la faccia nel palmo di una mano, mentre con le dita dell’altra snocciolava i grani di un grosso Rosario di legno.
C’erano
una dozzina di bambini, più o meno. Dai due ai dieci anni, avrebbe detto, ma
non sarebbe stato pronto a scommetterci un granché perché sapeva di non essere
bravo a indovinare l’età delle persone.
Se
quello che tutti loro avevano visto poco prima era davvero opera dei
terroristi, allora significava che questi ultimi avevano fatto decisamente bene
il proprio lavoro: c’era soltanto terrore negli occhi dei passeggeri del treno.
Terrore puro, che non lasciava spazio a nient’altro. Lui stesso si sentiva
preda del terrore, in quel preciso istante, ma cercava di tenerlo a bada perché
sapeva che farsi sopraffare dalle emozioni non sarebbe stato d’aiuto a nessuno.
«Non
saltiamo a conclusioni affrettate» ammonì il controllore, tentando invano di
riportare la calma. Stava sudando freddo, perché anche lui era stato costretto
a mettere da parte la paura per fare il proprio lavoro.
«Ma
quali conclusioni affrettate, eh? I telefoni non funzionano, nessuno è venuto a
cercarci. I terroristi hanno attaccato il Paese, e adesso stanno bombardando le
città! L’avete visto tutti quel fuoco, non è vero? Avete visto tutti
l’esplosione, e sapete di cosa sto parlando!» perseverò l’uomo che si era
alzato in piedi, sbraitando a squarciagola come un predicatore dell’apocalisse.
«Potrebbe
essere stata qualsiasi cosa» rettificò il controllore, molto pazientemente.
«Nessuno di noi conosce bene questa zona. Potrebbero aver fatto saltare delle
cariche in una cava di pietra. Magari è stato solo un incidente, una grossa
perdita di gas o un distributore di benzina che ha preso fuoco. Non dispensiamo
il panico inutilmente, finché non siamo sicuri di ciò che abbiamo visto.»
«Ma
io so cosa ho visto. E lo sappiamo
tutti noi. Lo sapete tutti voi! Non è
normale quello che sta succedendo qui, non è normale e lo abbiamo capito.
Dobbiamo nasconderci, rifugiarci da qualche parte. Dobbiamo scappare dai
terroristi, prima che trovino questo treno bloccato e decidano di sganciarci
sopra un bel missile!»
«Nessuno
sgancerà un bel niente. Non siamo in
pericolo!» ribadì il controllore con tanta fermezza da ripristinare il
silenzio. L’uomo che si era alzato in piedi proponendo di fuggire riprese posto
con la coda tra le gambe, mormorando chissà che cosa alla donna che gli stava
seduta vicino. «Ripeto che non sappiamo quello
che abbiamo visto. Il signor Nicola si è offerto di fare un salto al paese più
vicino per vedere cosa stia succedendo. Ha preso con sé un’auto, che abbiamo
trovato aperta nel parcheggio della stazione.»
I
passeggeri assimilavano ed elaboravano le nuove informazioni con incredibile
lentezza. Ma le stavano accettando senza riserve, intuì Roberto, e non era cosa
da poco.
Incontrò
lo sguardo ostile di Carlo, il poliziotto in vacanza. Se ne stava in disparte
con la sua famiglia, a braccia conserte.
«Alle
otto comincerò a distribuire un po’ di cibo a chi ne ha bisogno. So che avete
tutti fame, ma dovete portare pazienza. Lasciamo la priorità ai bambini e alle
donne. Mi aspetto di vedere una discreta quantità di gentiluomini, fra di voi.
E con quel “mi aspetto”, intendo naturalmente dire che non avete scelta.»
Un
fuggevole mormorio di approvazione. Avevano piegato il capo di fronte
all’autorità del controllore. Ma se davvero si stava verificando quello che
aveva detto Nicola prima di partire, per quanto tempo la legge di sempre
sarebbe riuscita a tenere a bada gli spiriti più irrequieti?
«Passeremo
la notte in questo treno? Su questi sedili?» pigolò una donna tra le prime
file, con gli occhi lucidi. Stringeva a sé un bambino piccolo che le si era
avvinghiato addosso come l’edera. «Possibile che nessuno venga a cercarci?»
Il
controllore sospirò con insostenibile amarezza. Le rivolse un sorriso schietto,
il tipico sorriso di un uomo che non ha intenzione di mentire, e le disse
pacatamente: «Dobbiamo adattarci. Voglio essere del tutto onesto, con lei. E
anche con tutti voi. Credo che là fuori sia successo qualcosa di brutto. Non so
se siamo stati fortunati a trovarci qui, se è solo un caso o se è opera di
qualche strana forza divina. So solo che stiamo bene, e che siamo insieme.
Cerchiamo di non cambiare questa nostra condizione, almeno finché non avremo
capito esattamente cosa fare.
«Consiglio
ad ogni famiglia di trovarsi uno scompartimento nei vari vagoni. E chiedo
cortesemente un po’ di volontari per un servizio di vigilanza notturno. Il mio
proposito è quello di posizionare un paio di uomini di guardia ad ogni porta,
lungo l’intero convoglio. Nessuno entra e nessuno esce, da quando cala il sole
fino alle prime luci dell’alba. Consideratelo una specie di campeggio poco ortodosso.
Domani mattina, dopo averci dormito sopra, sono sicuro che troveremo una
soluzione.»
Le
persone approvarono. Roberto passò in rassegna i loro sguardi fiduciosi, le
loro espressioni stanche ma attente, i loro cenni d’assenso. Solo alcuni
rimasero impassibili dopo che il controllore ebbe finito di parlare, ma
probabilmente non ci sarebbe stato niente da temere nemmeno da parte loro.
Pian
piano i passeggeri incominciarono a distribuirsi nei vagoni del treno,
spartendosi gli scompartimenti e trascinandosi dietro zaini e valigie. Ci
vollero un paio d’ore perché tutti si fossero sistemati, e il controllore fece
il giro più e più volte tra i corridoi per verificare che ogni cosa fosse al
proprio posto.
Ormai
la luce grigia del giorno, filtrata dalle nuvole e attenuata dalla pioggia, si
stava dissolvendo per lasciare spazio all’arrivo di una sera senza tramonto. Il
signor Nicola non era tornato. Sua moglie stava in silenzio, parlava con un
passeggero vestito da prete e ogni tanto pregava assieme a lui. Roberto provò
una certa pena per lei, ma passò oltre con Francesca perché avevano bisogno del
loro spazio per parlare. Anche se il giretto a Firenze pareva essere saltato, i
problemi che avrebbero dovuto risolvere laggiù erano ancora presenti nei loro
pensieri, minacciosi e incombenti.
Così
tutti loro si prepararono a trascorrere la prima notte nel treno, al cospetto
di una solida stazione semisconosciuta, fermi in mezzo a binari che conducevano
chissà dove. Il freddo si impadronì delle tenebre e dei loro respiri, e
l’oscurità calò inesorabile come il cappuccio sulla testa di un condannato a
morte.
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