giovedì 17 ottobre 2013

Solo andata, no ritorno - 14

La sera stava calando. La luce lattiginosa che penetrava attraverso il mantello di nuvole plumbee disteso sul cielo non faceva che diminuire d’intensità, ogni minuto un po’ di più. Le tenebre sarebbero arrivate in fretta, probabilmente senza che la pioggia desse il minimo cenno di volersi placare. L’idea del buio faceva paura, così come quella del freddo. Per adesso, comunque, stavano ancora tutti bene.
Il controllore di Trenitalia aveva fatto il giro di tutti i vagoni e chiesto a ognuno di mettere in comune un po’ di cibo, se ne avessero avuto con sé da qualche parte. Era poi tornato davanti alla porta chiusa della cabina di guida con un sacchetto pieno di cracker, biscotti, bottigliette d’acqua sigillate e merendine varie. C’erano anche un paio di mele, assieme al bottino, e una banana. Posò tutto quanto a terra e indirizzò un mezzo sorriso a Roberto, mormorando: «Speriamo di non trovarci costretti a distribuire questa roba.»
«Siamo bloccati qui già da otto ore. Se avessero dovuto mandarci qualcuno, l’avrebbero già fatto» gli fece notare Francesca, con una certa nota di tristezza nel colore limpido della voce. «Ho paura che il signor Nicola abbia ragione. Che davvero sia successo qualcosa di brutto.»
«Nicola è partito tre ore fa. Mi sembra strano che ci stia mettendo così tanto…» farfugliò Roberto, osservando distrattamente il pigro ticchettio delle lancette sull’orologio da polso.
«Potrebbe essere un buon segno. Magari ha trovato qualcuno e si è fermato a fare un giro di telefonate» congetturò il controllore, davvero poco convinto.
«Continuo a pensare a quell’uomo. L’uomo nel corridoio del vagone. Sembrava così… felice! Era raggiante, come uno che ha appena scoperto di aver incassato per sbaglio un assegno coperto da mezzo miliardo» sussurrò Roberto, pensieroso. «Non lo so fino a che punto abbia a che fare con questa storia, ma sento che è importante. Inoltre… credo di averlo sognato, poco prima di incontrarlo.» C’era voluto tutto il suo coraggio per dirlo, ma alla fine era riuscito a farlo venire fuori. Era stato difficile, ma almeno adesso lo sapevano anche loro.
Lo osservarono perplessi. Non una parola. Lo esortavano tacitamente a continuare.
«Ho avuto un incubo, mentre viaggiavamo. Un incubo molto vivido, e nemmeno mi ricordo il momento in cui ho preso sonno. Ho sognato che il treno si tuffava nelle gallerie e che fuori, nell’oscurità, c’era qualcosa. Ma prima delle gallerie ho visto quel vecchio aprire la porta dello scompartimento e infilare dentro la testa. Si è ritirato quasi subito, scusandosi per l’intrusione. Ma sorrideva. Lo stesso sorriso che poi mi ha propinato nel corridoio del vagone.»
«Sicuro di averlo visto davvero in quel vagone? E sicuro che fosse stato un sogno, quando ha messo dentro la testa?» s’informò il controllore, disorientato.
«Non ho visto nessuno sbirciare nel nostro scompartimento» assicurò Francesca. «E io non mi sono addormentata. Ma le gallerie le abbiamo passate davvero, Roberto. E faceva un gran freddo. Comunque ricordo che sei uscito in corridoio e ti ho sentito scambiare due parole con qualcuno.»
«Tutta questa faccenda sta diventando sempre più inverosimile, ragazzi. Temo di aver perso il controllo della situazione» brontolò il controllore rimettendosi in piedi. «Ci sono un sacco di fumatori che mi hanno chiesto di poter uscire a farsi una sigaretta, e io li sto trattenendo qua dentro senza alcun motivo logico. Non vorrei ricevermi la mia bella lavata di capo per questo, se capite cosa intendo. Inizio a dubitare di aver agito bene, lasciando che la fantasia avesse la meglio.»
«Ma non c’è niente di inventato!» saltò su Roberto, leggermente spiazzato da quelle parole.
«Può darsi. Ma sono un pubblico ufficiale, in questo momento, e non sto seguendo le procedure di emergenza alle quali mi dovrei attenere. Sto tenendo segregate centododici persone in questi vagoni stretti e puzzolenti soltanto per un pugno di sensazioni. E ora questa storia del sogno. Se permettete, comincio a dubitare della mia stessa capacità di giudizio.»
«A queste conclusioni ci siamo arrivati insieme, se non sbaglio» gli fece notare Francesca, cercando di difendere il suo ragazzo. «E mi pare che nulla le abbia ancora sconfessate. Oltretutto, il signor Nicola non è ancora tornato, e anche questo non è normale. Capisco che ci sia brutto tempo, e capisco anche che possa aver bucato o che so io… Ma mi sembrano un po’ troppe coincidenze tutte lo stesso giorno e nello stesso posto. Sono forse l’unica a pensarlo?»
Il controllore aprì la bocca per ribattere e poi la richiuse lentamente.
«Anche a me si sono rizzati i peli delle braccia quando ho sentito quell’urlo un paio d’ore fa, e per un istante ho creduto che stessimo sprecando il nostro tempo invece di aiutare queste persone che aspettano soltanto di poter arrivare a destinazione. Era solo un ragazzino che gridava perché il fratellino più piccolo gli aveva morso il braccio, ma non lo sapevamo. Abbiamo reagito subito, correndo a vedere, perché ci aspettavamo il peggio. Se non avessimo costruito tutte quelle congetture sul vecchio che ho visto nel nostro vagone avremmo potuto ignorare quel grido, e magari si sarebbe potuto trattare di una cosa seria» illustrò Roberto con prudenza, mostrando come anche lui fosse ossessionato dai dubbi, ma allo stesso tempo facendo vedere che tutto sommato stavano ancora agendo nel migliore dei modi.
Il controllore si risedette pesantemente accanto a loro. Francesca guardò fuori e sbadigliò.
«Non lo so se stiamo davvero dando i numeri» riprese Roberto, a bassa voce. «So solo che non siamo in mezzo al deserto, né tantomeno in alta montagna o su di una dannata isola. Si sarebbero dovuti accorgere del mancato arrivo di questo treno, e avrebbero dovuto mandare qualcuno a dare un’occhiata lungo le stazioni fra Padova e Firenze.»
«E quello cos’è?» sibilò Francesca impaurita, indicando un punto imprecisato al di là del finestrino.
Gli altri due si avvicinarono al vetro bagnato dalla pioggia per guardare. Scorsero un globo di fuoco in lontananza, dietro il profilo tarchiato della stazione ferroviaria. Una fiammata che si levò alta nel cielo come una lingua intenta a leccare le nuvole, e che poi si ritirò lasciando dietro di sé una scia fumosa e nerastra.

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