«La
biglietteria non sembra essere stata abbandonata in fretta e furia, come se un
pazzo furioso fosse comparso dal nulla con una pistola in mano e l’addetto se
la fosse data a gambe. Capite? È tutto in ordine, là dentro. E c’è un block
notes sulla scrivania, accanto al telefono, con un numero scarabocchiato a metà
e una penna sopra. Sembra quasi che qualcuno stesse scrivendo quel numero, e
che la sua mano sia scomparsa nel nulla mentre ancora segnava le ultime cifre.
C’è uno zero incompleto. Un mezzo ovale interrotto. E poi c’è quel discorso
della cabina telefo…»
Il
signor Nicola si interruppe e la parola gli morì in gola, come soffocata da un
paio di corde vocali strette attorno alle ultime sillabe. Strabuzzò gli occhi e
poi li serrò con decisione, passandosi una mano sulla fronte umida di sudore e
scuotendo il capo. «Non ve l’ho detto, vero? Lo sapevo che non vi ho detto
qualcosa, lo sapevo. Mi dimentico
sempre le cose più importanti. Sarà l’Alzheimer… Perché è ereditario, non è
vero? Ce l’aveva mio padre, e adesso comincio ad avercelo anch’io.»
«Sta’
tranquillo, Nicola» lo rassicurò il controllore, battendogli una pacca
amichevole sulla spalla. «Non ti preoccupare. Parla pure, raccontaci quello che
ti sei dimenticato di dire.»
Nicola
parve farsi coraggio e prese un bel respiro, quello di un nuotatore fra una
bracciata e l’altra.
«La
cabina telefonica. Quando sono entrato da solo nella stazione, la prima volta.
Solo che non ci ho dato peso, capite? Non mi sembrava una cosa importante.
Credo fosse la terza… no, la quarta a
partire dalla porta. Il ricevitore non era al suo posto. Penzolava nel vuoto,
sul suo cavo metallizzato. Oscillava ancora, come se fosse caduto di mano un
minuto prima a un tizio che ci stava parlando.»
Roberto
sentì la mano di Francesca stringere la sua sempre di più, ancora di più, fino
a fargli sbiancare completamente le dita. Non reagì, perché in realtà avvertiva
a malapena un formicolio. Era del tutto affondato nell’immagine del ricevitore
della cabina telefonica che penzolava verso il pavimento, cozzando di tanto in
tanto debolmente contro la parete rovinata dall’umidità. Quella visione era
troppo da sopportare, e fece una fatica tremenda a liberarsene. Sogguardò il
controllore e vide che anche lui era preda delle stesse emozioni. Glielo si
poteva leggere negli occhi, come in uno di quei bigliettini azzurri
semitrasparenti che uscivano dagli incarti dei Baci Perugina.
«Non
sono buone notizie» farfugliò il controllore con un filo di voce. Pareva sul
punto di svenire, quasi che avesse appena assistito al sezionamento di un
cervello umano su un tavolo da laboratorio.
«No,
lo so. Capite adesso perché ho questa sensazione che mi gira per la testa?»
chiarì il signor Nicola, abbattuto. «Non riesco a levarmela di torno. Come
polvere di ossa tritate sui miei capelli.»
L’immagine
era più che eloquente. Francesca sbiancò. Roberto si sentì mancare per un
istante, ma resisté. Il controllore borbottò qualcosa di incomprensibile,
qualcosa che nessuno di loro sarebbe stato in grado di cogliere. Probabilmente
un’imprecazione, stabilì poi Roberto fra sé.
«Dopo
queste informazioni, non so se me la sentirei di mandare qualcuno in auto fino
in città. Fatto sta che abbiamo bisogno di cibo, e non credo che i passeggeri
abbiano gli zaini pieni di generi alimentari» seguitò il controllore, dopo un
paio di minuti rubati al giorno per riflettere.
«Possiamo
raccogliere acqua dal rubinetto nel bagno della stazione. Sarà sicuramente
potabile. Ma ci occorre comunque qualcuno che procuri un po’ di roba da
mangiare. Sarebbe l’occasione buona per vedere se effettivamente la situazione
è grave come l’abbiamo dipinta noi. Chissà, magari in realtà è tutto quanto a
posto e noi stiamo qui a costruirci queste visioni mentali» teorizzò Roberto.
Ma le sue parole esprimevano speranza, più che certezza, e questo dettaglio non
passò inosservato alle orecchie delle uniche tre persone che lo ascoltavano.
Cadde
una goccia. Roberto la sentì sulla pelle del braccio, e alzando la testa per
guardare le nuvole color piombo ne ricevette un’altra in piena fronte.
«Vado
io» borbottò il signor Nicola. «Prendo l’auto e raggiungo il paese più vicino.
Seguirò le indicazioni stradali. Nel giro di una mezz’ora avrò fatto andata e
ritorno, non vi preoccupate.»
«Non
lo so…» barbugliò il controllore, ancora troppo poco sicuro per autorizzare uno
spostamento alla cieca. «Certo, se laggiù ci fossero dei telefoni funzionanti
sarebbe come vincere la lotteria. Forse varrebbe davvero la pena tentare.»
«È
deciso, allora. Dite voi a mia moglie che sono partito. Non voglio salire sul
vagone a cercarla, perderei troppo tempo.»
«D’accordo»
lo rassicurò Roberto, passandogli nelle mani le chiavi dell’Alfa Romeo che avevano trovato aperta
nel parcheggio della stazione. «Fa’ attenzione.»
«È
solo un viaggetto in paese. Se le mie supposizioni sono esatte, non troverò
anima viva. Se mi sbaglio… be’, tanto meglio!» bofonchiò Nicola rigirandosi le
chiavi fra le dita. «Spero in ogni caso di trovare del cibo. Ma per precauzione
fate tirare fuori ai passeggeri tutto quello che hanno. Sarebbe saggio iniziare
a pensarci, viste le circostanze.»
Roberto
continuava a sperare che il vecchio si sbagliasse. Che le sue stesse sensazioni fossero sbagliate, ma in fondo alla coscienza
si rendeva conto di trovarsi appeso a penzolare sopra la voragine di un
precipizio e di aggrapparsi a un ciuffetto di rami rinsecchiti che presto si
sarebbe sradicato, lasciandolo cadere. Stringeva ancora la mano a Francesca e
per la prima volta si rese conto che le dita della sua ragazza si erano serrate
con tanta forza attorno alle sue da fargli male.
Accompagnarono
Nicola alla macchina e lo guardarono salire e partire. I fanali di coda
scomparvero ben presto in mezzo alla vegetazione, lungo la stradicciola che si
allontanava dal parcheggio della stazione. Roberto per un attimo lo invidiò,
perché se ne stava andando da quel posto odioso.
Ormai
pioveva a dirotto, così si rifugiarono nella stazione e poi corsero nel treno
appena l’acquazzone si fu temporaneamente placato. Pochi istanti più tardi
riprese con maggiore intensità, e loro rimasero dentro al vagone ad ascoltare
il ticchettio delle gocce d’acqua sui finestrini e le sferzate del vento che si
abbattevano sulle fiancate del convoglio.
Finché
qualcuno non gridò.
Nessun commento:
Posta un commento