«Centododici
passeggeri. Anche noi siamo inclusi nel conteggio» annunciò Francesca tirando
il fiato. Era stato un lavoro lungo, ma li aveva aiutati a ingannare un po’ il
tempo. Mentre facevano il censimento il signor Nicola era andato un paio di
volte a controllare se qualcuno fosse tornato nella stazione o nel parcheggio,
ed era sempre tornato indietro con un’espressione buia e sconsolata.
«Sei
sicuro che il vecchio di cui parli non ci fosse in mezzo a tutti gli altri?»
chiese il controllore a Roberto, visibilmente preoccupato.
«Ne
sono assolutamente sicuro, sì»
confermò il ragazzo, sedendosi sul bordo della piattaforma di discesa con le
gambe che ciondolavano sopra i binari.
«È
pomeriggio. Ormai il ritardo sarà stato notato in tutte le stazioni in cui ci
saremmo dovuti fermare. Manderanno qualcuno, sicuramente» affermò fiducioso
Carlo.
«Sempre
se c’è ancora qualcuno da mandare…» bisbigliò Nicola, ma nessuno parve
sentirlo.
«In
ogni caso, dobbiamo cercare di tutelarci» continuò il controllore, recuperando
il suo tono autorevole. «Non sappiamo con chi abbiamo a che fare. L’uomo che
hanno visto Roberto e Marco potrebbe essere un pericoloso omicida. Se
ritornasse qui, armato, come potremmo
difenderci?»
«Me
lo dicevo, io, che mi sarei dovuto portare dietro la pistola anche in vacanza.
Perché diamine non do mai retta al mio istinto?» bofonchiò Carlo.
«L’importante
è risolvere una questione alla volta. Teniamo tutti al sicuro nel treno, per
ora. Assicuriamoci che tutti gli sportelli siano chiusi dall’interno e che
nessuno possa aprirli. Non è da escludere l’eventualità che quell’uomo, se è
pericoloso come sospettiamo, abbia un complice in mezzo agli altri passeggeri»
illustrò Roberto con calma. Ci aveva pensato per tutto il tempo mentre
eseguivano il censimento, sperando intanto che quel volto gioioso gli
comparisse davanti all’improvviso. Era spaventato, ma non voleva darlo a
vedere. Francesca aveva bisogno di lui, della sua solidità, per non lasciare
che la paura avesse la meglio.
«Penso
sia questione di poche ore al massimo. Manderanno qualcuno, ne sono convinto. È
anche da tenere a mente la possibilità che tutto questo sia un banalissimo
malinteso. Forse quel vecchio abitava qui, è semplicemente sceso e se n’è
tornato a casa. Stiamo sparando nel buio, e prima o poi finiremo per far male a
qualcuno» ribatté Carlo.
«Non
avrebbe aspettato tanto a lungo prima di scendere. Se ne sarebbe andato appena
il treno si è fermato» lo contraddisse Roberto, sebbene il dubbio si fosse
insinuato fra i suoi pensieri. Possibile che stessero sollevando un grosso
polverone per niente? Sì, era possibile. Ma Carlo non aveva visto quella
macchina ferma nel parcheggio, con la portiera aperta e le chiavi inserite. Non
aveva guardato Francesca mentre apriva il portafoglio dello sconosciuto
proprietario dell’auto e ne estraeva la carta d’identità, i biglietti del treno
e i trentacinque euro in banconote. Lui non aveva assistito a tutto questo, e
non poteva sapere quali emozioni avessero provato tra le mura scrostate della
stazione vuota e silenziosa.
«Resto
del mio parere» sentenziò il poliziotto, e incrociò le braccia sul petto con
fare testardo.
«Ognuno
ha il suo, non lo mette in dubbio nessuno» intervenne il controllore con la sua
voce tiepida che sapeva di fermezza. «Ma bisogna tenere in considerazione
qualunque variabile. Senza eccezioni. Ci troviamo in una situazione decisamente
inusuale, e quell’auto aperta nel parcheggio mi dà parecchio da riflettere.»
«Per
ora non perdiamo la calma» raccomandò Roberto, cercando con lo sguardo
l’appoggio del controllore e allo stesso tempo assicurandosi che anche
Francesca lo ascoltasse attentamente. «Bisogna gestire la questione nel
migliore dei modi, senza far preoccupare nessuno. Non diciamo niente ai
passeggeri del macchinista, né tantomeno di quella portiera, del portafoglio o
delle chiavi inserite. Limitiamoci semplicemente a far capire che nella
stazione non c’è nessuno e che ci dev’essere un guasto alla linea telefonica.
Siamo in una zona rurale e non c’è segnale. Ma i soccorsi arriveranno in
fretta, perché ormai già sanno che siamo qui. Conviene perciò farsi aspettare
in treno, pronti a riprendere il viaggio in tutta tranquillità. Se necessario
aggiungiamo che il costo dei biglietti verrà rimborsato da Trenitalia.»
«Non
sono autorizzato a fare promesse simili» lo avvisò il controllore.
«Non
ha alcuna importanza. Sempre meglio che dover gestire un gruppo di persone
inferocite e intenzionate a scendere per andare in cerca di un taxi nel nulla
della campagna.»
«Io
stesso, se devo essere sincero, mi sentirei più a mio agio se andassimo a
cercare aiuto nei paesi vicini» replicò Carlo un po’ stizzito. «Avete detto che
c’è un’auto parcheggiata qui fuori, giusto? E che avete le chiavi, dico bene?»
«Non
sappiamo esattamente dove sia il proprietario. Né tantomeno se possa aver
bisogno della sua auto di qui a cinque minuti, se è per questo» lo bloccò
Francesca, risoluta.
«Se
l’ha scordata in quelle condizioni direi che non gliene importa più di tanto,
non credi?» la rimbeccò Carlo in malo modo.
«Vedi
di darti una calmata. Siamo tutti agitati e non mi sembra il caso di
prendersela a vicenda» lo riprese Roberto con un certo controllo. Il poliziotto
si girò a fulminarlo con lo sguardo e il controllore lo smontò: «Grazie per il
tuo aiuto, Carlo. Ma adesso ce la possiamo sbrigare da soli. Sta’ con la tua
famiglia e cerca di tranquillizzare tua moglie e i tuoi figli. Di’ loro che
risolveremo il più in fretta possibile.»
Carlo
sfidò il controllore per qualche istante, in un duello d’occhi che parve
dilatarsi in direzione dell’infinito. Alla fine cedette e annuì, piegato ma non
spezzato. Riconosceva l’autorità di colui che stava facendo effettivamente le
veci del pubblico ufficiale, ed evidentemente aveva calcolato in quattro e
quattr’otto quanto gli convenisse mettersi contro di lui. Il risultato non era
a suo favore.
Guardarono
il poliziotto allontanarsi di fretta e salire sul primo vagone con fare
irritato. Il controllore lanciò un mezzo sorriso pallido a Roberto e Francesca
e poi mormorò: «Una testa calda, quel piedipiatti. Speriamo solo che non gli
salti in testa l’idea di sbandierare ai quattro venti le poche cose che ci siamo
detti.»
«Forse
però su una cosa ha ragione» balzò fuori Nicola. Si girarono a fissarlo
perplessi, e lui si tirò indietro di un passo come se temesse di venire
azzannato. «Qualcuno dovrebbe provare a prendere quella macchina e fare un
salto in città. Così, giusto per dare un’occhiata. Sapete, io ho un pensiero
che mi ossessiona da quando sono entrato la prima volta da solo in quella
stazione, e che non mi abbandona neanche per un attimo.»
Roberto
sentì la mano di Francesca afferrare la sua e stringerla debolmente. La accolse
volentieri mentre osservava il viso di Nicola farsi sempre più sottile, sempre
più bianchiccio, quasi che la pelle si stesse a poco a poco ritirando per
lasciare le ossa nude in bella mostra.
«Penso
che se uno di noi prendesse la macchina e andasse in città non ci troverebbe
nessuno. Ho come la sensazione che siano scomparsi tutti, di punto in bianco.
Tutti tranne noi.»
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