Entrò nel
fienile e si voltò a guardare la sua fattoria per l’ultima volta. Aspirò
l’immagine sferzata dalla pioggia, la trattenne negli occhi e chiuse la porta
del fienile. La fotografia scattata dal suo cervello era ancora lì, in memoria,
ben distinguibile sotto le palpebre appena le abbassava.
Bene. Rimase
un attimo a chiedersi se fosse meglio chiudere con il chiavistello oppure no.
Valutò le due opzioni con estrema accuratezza, vagliandone le rispettive
conseguenze. Alla fine, non senza un briciolo di incertezza, decise di lasciar
perdere.
Aveva scelto
il fienile sin dall’inizio. A dire il vero, pensava al fienile già dalla prima
volta in cui l’idea del suicidio si era affacciata timidamente alla sua
fantasia. Francamente, non riusciva a pensare ad un posto migliore di quello:
il suo fienile, abbastanza distante dalla fattoria da farlo sentire isolato
negli ultimi istanti, eppure sufficientemente vicino da rassicurarlo. Era
frutto del suo lavoro. Ironia della sorte, sarebbe stato l’albero al quale si
sarebbe impiccato.
Fuori
diluviava, e nel fienile c’era odore di pioggia e di fieno.
Già, pioggia
e fieno. Per qualche strana ragione a lui stesso sconosciuta, erano odori che
Michael aveva sempre associato alla vita. Ogni volta che pensava alla morte,
lasciandosi pervadere da quel vago senso di indefinito che accompagna sempre
ogni riflessione sul significato dell’esistenza, percepiva quegli odori. E ogni
volta che li avvertiva gli veniva inevitabilmente da pensare alla fine. Per
cui, tutto sommato, farla finita proprio lì, adesso, in quel fienile con il
tetto di legno picchiettato dalla pioggia, aveva un senso. Era come completare
un cerchio perfetto senza mai staccare la punta della matita dal foglio. Una
conclusione perfetta, per un cerchio che a guardarlo meglio si rivelava pieno
di irregolarità.
Michael aveva
intenzione di fare tutto quanto con estrema accuratezza, e con il massimo della
calma possibile. Non aveva alcuna fretta. Dopotutto, il tempo non era più
contro di lui: lo possedeva, adesso, perché esercitava il pieno controllo sugli
ultimi minuti che gli restavano da consumare.
Si avvicinò
alla parete di fronte alla porta d’ingresso, facendo frusciare il fieno sparso
sul pavimento di legno sotto i propri passi. Qualche metro al di sotto di quel
pavimento c’erano gli scheletri di almeno una dozzina di neonati, e Michael lo
ricordò mentre si avvicinava al rotolo di corda per la legna appeso ad un
chiodo arrugginito conficcato nella parete. Era un pavimento macchiato di sangue,
rimosso più e più volte per seppellire i figli che lui e sua moglie non avevano
voluto. Corpi appena nati, perché lui detestava anche solo parlare di metodi
contraccettivi e Rachel era sempre stata contraria alla pratica dell’aborto.
Così, quando nascevano, non potevano fare altro che nasconderli sottoterra e
dimenticare che fossero mai esistiti.
Prelevò la
corda dal chiodo piegato e con una scala a pioli si aiutò a salire fino alla
trave centrale del fienile, alla quale legò un capo con un solido nodo.
All’altra estremità intrecciò abilmente un cappio e lentamente se lo passò
attorno alla testa, con lo stesso movimento che compiva Rachel quando si
metteva la sua collana di finte perle.
In piedi su
uno degli ultimi pioli della scala, con il nodo scorsoio che già gli stringeva
lievemente il collo, Michael guardò giù. La mano sinistra di Rachel, incrostata
di sangue, emergeva dal mucchietto di fieno accatastato là in fondo. Da lì
sopra riusciva addirittura a scorgere il freddo luccichio della sua fede
nuziale, ancora saldamente ancorata all’anulare.
Sorrise
debolmente, con un’espressione incredibilmente amara. Pioggia e fieno. Tutto
quello che era rimasto a dirgli addio. Be’,
addio.
Il pavimento
incominciò a muoversi. Il fienile fu rapidamente invaso da un orrendo rumore di
graffi, come di unghie non ancora del tutto formate che grattavano il pavimento
di legno da sotto. Sì, il pavimento tremava, e il fieno sparso a terra si
spostava come mosso da un alito di vento invisibile. La mano sinistra di Rachel
si contrasse in uno spasmo d’odio, e il pavimento sussultò.
Tutt’a un
tratto l’aria smise di entrare nei polmoni di Michael. L’uomo, con gli occhi
strabuzzati, si lasciò cullare dall’odore di pioggia e di fieno che gli
occupava le narici. Oscillava appeso alla corda, e finalmente il pavimento
smise di muoversi e la mano di Rachel tornò ad essere ferma.
Pioggia e
fieno. E il corpo senza vita di Michael che continuava a fluttuare nel fienile.
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