I profili dei palazzi, in
lontananza, si stagliavano contro il cielo di piombo alla stregua di fragili calici
di cristallo. Le nuvole scure promettevano loro una grandinata coi fiocchi, e i
vecchi edifici di cristallo della città fantasma se ne stavano impassibili ad
aspettare. Prima o poi, si sapeva, sarebbero pur dovuti crollare. E, in fondo,
ora come ora era meglio che succedesse abbastanza in fretta.
Tommy l’aveva già sentita
arrivare da un pezzo, ma aveva preferito non aprire bocca e attendere che prendesse
posto accanto a lui. Adesso Nadia si trovava lì di fianco, con il suo respiro
leggero e la sua presenza velata di malinconia. I capelli neri, lunghi, le
ricadevano sulle spalle scoperte. Indossava un reggiseno blu scuro che le
metteva in risalto le curve dei seni e allo stesso tempo rendeva manifesto
l’atroce pallore della sua pelle. Minigonna in jeans e piedi scalzi, come le
piaceva sempre stare nei giorni in cui la nostalgia si faceva più incalzante.
Davanti a loro, la città
sconosciuta si stendeva su una piattaforma d’asfalto secco e scolorito. Era
immobile, e i vetri opachi delle finestre guardavano verso di loro come un
esercito di occhi silenziosi congelati nell’atto di osservare l’orizzonte per
sempre.
Rimasero in silenzio anche loro per
un po’, guardando le nubi navigare sul vento a vele spiegate e raccogliendo a
fatica i pensieri che fuggivano. Alle loro spalle, la casa in riva al mare
nella quale avevano trascorso le ultime cinque notti faceva da barriera allo
sciacquio sommesso delle onde che si consumavano sulla spiaggia.
Presto avrebbe piovuto, e la
tempesta si sarebbe gonfiata piuttosto in fretta. Non occorreva di certo un
meteorologo per capirlo. E, anche se fosse servito, comunque non avrebbero
avuto modo di consultarne uno. Perlomeno, di ripari ce n’erano ancora tanti. A
ben pensarci, là di fronte a loro c’era un’intera città nella quale rifugiarsi
in caso di maltempo. I tetti non mancavano. Erano le persone che solitamente ci
stavano sotto a mancare, e a questa carenza non si poteva porre rimedio
altrettanto facilmente. Purtroppo.
«Gli altri stanno dormendo?»
domandò Tommy, essendosi finalmente deciso a parlare. Nadia si voltò a
guardarlo quasi con riconoscenza, ringraziandolo con lo sguardo di aver
infranto il silenzio per primo. Rompere il silenzio risultava sempre più
difficile ad ogni giorno che passava, e non era cosa da poco. Se ciascuno di
loro fosse rimasto da solo un po’ più a lungo, quanto tempo avrebbero impiegato
prima di dimenticarsi il modo in cui si articolavano le frasi?
«Sì. Hanno preso sonno tutti
quanti» confermò Nadia in un pigolio, sfiorando coi suoi occhi verdi e tristi
l’espressione assorta di Tommy.
«Ma tu no…» notò il ragazzo,
senza alcuna venatura di rimprovero.
«No» confermò lei, come in tono
di scuse. Erano quattro giorni. Quattro.
E cambiare casa non le era servito. Nemmeno il sussurro del mare l’aveva
aiutata ad abbandonarsi al sonno, e i suoi amici cominciavano ad essere
preoccupati per lei. Primo fra tutti Tommy, che ora la fissava con amarezza.
Il silenzio calò di nuovo su di
loro come un sudario pulito. Le automobili ferme lungo le strade deserte, i
semafori spenti che ondeggiavano spinti dal vento, le finestre opache che
continuavano a scrutarli… Tutto dava quasi l’impressione di essere stato costruito
dalla mano di una qualche divinità invisibile che avesse creato il mondo per
prendersi gioco di loro. E invece erano resti appartenuti ad un’umanità
estinta, una specie ormai distrutta e abbandonata ad una lenta e inesorabile
decomposizione.
«Cinque mesi fa ero terrorizzato
dall’idea dell’esame di maturità» tornò a raccontare la voce di Tommy, stavolta
più roca e soffusa. «Pensavo alle prove scritte e a come sarebbero andati gli
orali. Mi preoccupavo del punteggio con il quale sarei dovuto uscire dal liceo
senza deludere le aspettative di nessuno… Adesso, tutte quelle ansie hanno
perso totalmente di valore. Non significano più niente, perché non è rimasto
niente a mantenere in vita il passato.»
Nadia sorrise. Un sorriso
malinconico, come gli altri suoi sorrisi degli ultimi tempi. Ma, d’altro canto,
come biasimarla? Che cosa ci poteva essere ancora di bello per cui sorridere?
«Francesco ha ancora la febbre
alta. Credo che morirà stanotte, o al massimo domani» disse semplicemente,
stringendosi nelle spalle. «Da qualche ora ho iniziato ad avere i brividi
anch’io.»
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