Stan Payton uscì all’aperto per
prendere una boccata d’aria e squadrò rapidamente i contorni scuri del
quartiere, passando in rassegna i profili degli edifici bui e proseguendo nelle
tenebre, fino al punto in cui Main Street scompariva in un oceano nero sul
quale sarebbe stato impossibile navigare.
Era tutto calmo, lì fuori. Come se il
mondo fosse finito e lui fosse precipitato in una bizzarra realtà post-apocalittica.
L’aria era rarefatta, immobile, gli unici rumori percepibili erano i fruscii di
movimenti poco sospetti che provenivano da lontano. Non dovevano essere
automobili, valutò Stan, perché di benzina non ce n’era più. E probabilmente
non erano neppure fontane, perché l’acquedotto non portava più acqua a Eglon, e
nemmeno il ronzio dei lampioni, perché l’erogazione di elettricità era stata
bruscamente interrotta. Per tutti questi motivi, quei fruscii non parevano
essere provocati da esseri umani; il che rendeva l’ambiente ancora più morto e
desolato agli occhi di Stan.
Respirò profondamente e sondò ancora
una volta lo scenario circostante. Ci dovevano essere sicuramente delle
persone, lì da qualche parte. I rivoluzionari, per esempio, che ogni notte
pattugliavano scrupolosamente le strade. Oppure qualche cittadino uscito a
fumare o a portare a spasso il cane. Era impossibile che lui fosse l’unico
fuori casa, in una città di quarantamila abitanti!
Sospirò e lasciò perdere. La pistola
gli premeva ancora contro il fianco, implacabile, come un tizzone rovente
infilato nella tasca dei pantaloni. Non poteva gridare. Non poteva buttare
fuori tutta la tensione che si era accumulata dentro di lui in quelle ultime
ore, perché altrimenti sarebbe successo il finimondo. Nessuno doveva sapere che
quella pistola era ancora nascosta nei suoi pantaloni. Perché se i ribelli lo
avessero saputo… anzi no, meglio ancora, se Sarah
lo avesse saputo, allora lui avrebbe dovuto incominciare a temere seriamente per la propria incolumità.
Erano andati tutti a dormire, ma
malgrado la stanchezza Stan non era ancora riuscito a prendere sonno. Forse
perché il rapporto tra lui e il suo vecchio divano non si era ancora ricucito a
sufficienza. Più probabilmente perché aveva un sacco di cose per la testa a cui
pensare, prima fra tutte la riunione di quella mattina nel covo segreto di Joey
Goode. Gli elementi più importanti della controrivoluzione si trovavano là
dentro con lui, in quell’occasione, e aveva avuto modo di conoscerli, di
studiarli e di scegliere da quale parte stare. Ma la situazione non era delle
più felici, e Stan se ne rendeva conto. C’era mancato poco che non scoppiasse
una guerra civile in scala ridotta, all’interno di quel salone: era una fortuna
che nessuno fosse passato alle mani, e che la soluzione finale fosse stata
individuata in maniera pacifica.
Adesso, la chiave di tutta
l’operazione era riuscire a localizzare uno dei jammer di cui aveva parlato
quella mattina. Sperava di non sbagliarsi. Sperava che Robert sapesse il fatto
suo, e che i loro nuovi amici poliziotti non passassero dei guai per colpa di
una supposizione infondata. Ma, d’altro canto, a questo punto occorreva
rischiare. Non c’erano garanzie di vittoria, ma la posta in gioco era davvero
alta e bisognava agire al meglio. Le sorti di Eglon e dei suoi abitanti
dipendevano da un pugno di uomini e da un’idea. Sperava con tutto il cuore che
l’intuizione si rivelasse esatta.
Un fruscio più forte degli altri, alla
sua destra, crebbe improvvisamente d’intensità. Stan girò la testa in quella
direzione e intravide nell’oscurità la sagoma nera di una vettura che procedeva
con i fari spenti. L’automobile lo superò piano e tutto d’un tratto si bloccò
in mezzo alla strada. La portiera del passeggero si aprì e il vicesceriffo
Steve Corall buttò fuori un’occhiata per accertarsi che la zona fosse pulita.
Jeff Turner si affrettò a compiere una manovra di parcheggio sbrigativa e scese
assieme al poliziotto, incamminandosi verso Stan che li guardava avanzare con
il cuore in gola.