lunedì 29 dicembre 2014

Le Anime di Eglon - Prima Stagione - Episodio 13

Emily Cooper non si sarebbe mai immaginata che per raggiungere Pine Bluff in treno, partendo da Little Rock con una coincidenza spaventosamente precisa, occorressero così tante ore. Eppure era ferma alla stazione di Eglon da tutto un giorno, aveva fame e sete e anche un po’ di freddo, si sentiva stanca e assonnata e soprattutto terribilmente in ansia perché da circa quattro ore aveva finito le sigarette.
Eh già, perché proprio qui stava il punto: non poteva trattenere il suo nervosismo quando era in astinenza da tabacco. E che accidenti di stazione dei treni era quella lì, che non aveva neppure uno stramaledetto distributore di sigarette? Roba da matti, rifletté Emily squadrando il tipo che piantonava l’uscita con una mitraglietta Uzi a tracolla e una maschera di plastica rossa e gialla sul viso. In che razza di covo di mentecatti era finita?
Stavano lì dalla mattina, quando il loro treno era stato bloccato poco dopo l’alba da quei tizi armati con il volto coperto che davano a Emily l’impressione di essere un po’ tocchi. I vagoni erano stati smontati e spostati dai binari, e tutti loro erano stati radunati nella sala d’aspetto della stazione assieme ai passeggeri di almeno un altro treno. Dovevano essere esausti anche gli altri, considerò Emily guardandosi rapidamente intorno. Stavano in piedi da ore, eccetto ovviamente quelli che per primi si erano presi le poche seggiole sparpagliate per la sala e quelli che avevano avuto il coraggio di sedersi per terra nonostante lo sporco che si scorgeva sul pavimento. A pranzo erano stati distribuiti pasti preconfezionati di assortimento piuttosto vario, e poi più niente. Qualche bottiglietta d’acqua girava di quando in quando, ma i tipi che piantonavano gli ingressi e li tenevano costantemente sotto controllo non avevano ancora dato segno di volerli lasciare andare.
Certo che Emily, quella mattina quando era partita, sicuramente non si aspettava di rimanere invischiata suo malgrado in una situazione simile. Pareva eccessivamente assurdo, a suo avviso. Troppo inverosimile perché ci potesse credere del tutto. Eppure non le pareva di intravedere alcuna telecamera, nei paraggi, il che significava che molto probabilmente non erano vittime di un qualche scherzo assurdo macchinato dall’ultimo scrittore freelance di copioni per reality show.
Le esplosioni e gli spari che si erano susseguiti fuori dalla stazione per la maggior parte della giornata erano riusciti a mettere in agitazione il più dei presenti, in particolar modo una famigliola che stava presumibilmente andando in vacanza da qualche parte
(in vacanza a Pine Bluff?? Bah, cavoli loro…)
con i tre figli piccoli che dalle sette di quella sera reclamavano a gran voce il proprio pasto abituale strillando e scalciando come dei forsennati.
Adesso fuori sembrava tutto tranquillo. Nessuno lì dentro aveva ancora avuto modo di uscire a vedere che cosa stesse succedendo, ma c’erano molte ipotesi che dopo aver girato di bocca in bocca avevano finito per coincidere…
«Signore e signori!» scandì una voce senza accento prorompendo all’interno del salone della stazione dei treni di Eglon attraverso gli altoparlanti disposti sul soffitto. «Benvenuti a Eglon! Ci scusiamo per la difficile giornata d’attesa che vi abbiamo fatto trascorrere chiusi qui dentro. Non ci aspettavamo così tanti passeggeri tutti in una sola volta, ma adesso il problema è stato risolto. A ciascuno dei nuclei famigliari qui presenti sarà assegnata una stanza nei principali alberghi cittadini, il tutto naturalmente gratis. A una condizione, però…»
La gente, già radunata attorno agli ingressi per sciamare fuori da quell’ambiente che cominciava ad essere sempre più stretto, si scambiò un mormorio confuso.
«Ognuno di voi dovrà lasciare i propri documenti in ingresso. D’ora in avanti siete cittadini di Eglon a tutti gli effetti, signore e signori. E non ve ne andrete da questa città mai più

venerdì 26 dicembre 2014

Lacrime di Cenere - Volume 1: In Fuga dalla Morte - Capitolo 7 (Anteprima)

Il campo base di fortuna che i militari avevano allestito attorno agli elicotteri era costituito da un semplice perimetro di filo spinato, con alcuni sacchi di terra accatastati per renderlo più stabile. Al centro, oltre ai velivoli, c’erano dei trasporti leggeri e un piccolo carro armato.
I ragazzi furono lasciati in un angolo dove un ufficiale li raggiunse dopo mezz’ora di attesa.
«Da dove venite?» esordì, senza nemmeno presentarsi.
«Eravamo a lezione all’università» spiegò Leonardo senza tanto girarci intorno. Aveva la gola secca e gli occhi gli bruciavano per tutta la polvere che gli spari e le esplosioni avevano sollevato.
Quella mezz’ora di pausa dopo tutta la paura che aveva provato nelle ore precedenti gli aveva fatto bene. Aveva avuto tempo per metabolizzare, almeno in parte, le immagini che gli erano passate sotto gli occhi durante il resto della giornata, e ciascuna di quelle visioni gli martoriava dolorosamente i pensieri.
Quante persone erano morte in un giorno? Quanto in fretta? Quanti zombie camminavano per le strade della città di Padova, a caccia di superstiti da sbranare?
«All’università» ripeté l’ufficiale, come scettico.
«Non è lontana. Ci siamo rifugiati sul tetto e siamo scesi lungo la scala antincendio. Il vostro arrivo ha distratto gli zombie.»
«Zombie, eh?» replicò il militare, quasi che davvero facesse fatica a capire quello che sentiva.
«Sono morti in tanti. Ne abbiamo visti a centinaia, solo qui intorno. Che cosa sta succedendo?»
L’ufficiale si girò dall’altra parte ed esaminò le difese erette col filo spinato con apparente concentrazione. Leonardo tenne gli occhi su di lui. Dopo qualche istante i loro sguardi si incrociarono e il militare sospirò tristemente.
«Mi piacerebbe sapertelo dire, ragazzo.»

lunedì 22 dicembre 2014

Le Anime di Eglon - Prima Stagione - Episodio 12

«Dottor Mason!» lo chiamò una voce femminile dal fondo del corridoio. Larry Mason si voltò e attese che l’infermiera lo raggiungesse di corsa, trafelata, con il respiro talmente concitato da impedirle di parlare.
«Mi dica» mormorò massaggiandosi cautamente le tempie, cercando di assumere un tono di voce affabile. Aveva un’emicrania pazzesca, e forse era perché non dormiva da due giorni e aveva passato le ultime quattordici ore in sala operatoria. Aveva dovuto gettare via il camice che aveva usato per operare quella notte, perché si era riempito completamente di sangue e nella fretta dell’ultimo intervento si era strappato una manica impigliandosi in Dio solo sapeva che cosa. Il caffè lo aveva aiutato a stare sveglio per le prime dieci o undici ore, ma adesso gli serviva un goccio. Cristo, quanto aveva bisogno di un goccio! Stava prendendo in esame la possibilità di ricorrere alla sua riserva segreta nascosta in uno degli armadietti del suo piano, però…
«Abbiamo un problema…» tartagliò agitata l’infermiera, con un tono esageratamente squillante che non mostrò alcuna misericordia nei riguardi del suo mal di testa.
«Che genere di problema?» s’informò il dottor Mason. Sì, adesso aveva deciso: un goccetto se lo sarebbe concesso. In fin dei conti, era un suo diritto. E un altro problema, in questo momento, significava un’altra stilettata nel cervello da parte dell’emicrania.
«Sono qui. I ribelli» mormorò sottovoce l’infermiera, e ognuna delle sue parole fu una rasoiata in testa per Larry Mason.
«Vuol dire che sono in ospedale?» farfugliò, scosso.
«Sì, e chiedono di parlare con lei, dottore» confermò l’infermiera in un unico sospiro.
Larry inghiottì a vuoto, ascoltandosi rabbrividire. Il solo fatto che i rivoluzionari fossero lì di nuovo, ancora una volta nello stesso edificio in cui si trovava lui, gli metteva addosso un’ansia inimmaginabile. Ma pensare che volevano parlare con lui personalmente
«Dove sono?»
«Nell’atrio.»
«Mi preceda e dica loro che sto arrivando» ordinò il dottor Mason riacquistando il proprio autocontrollo. Vide l’infermiera sbiancare all’idea di dover tornare di là con quei tipi mascherati, e dentro di sé la capì ma non le evitò comunque tale onere. Aveva bisogno di un goccio, maledizione, anche di due, visto che adesso c’era un nuovo problema parecchio consistente del quale occuparsi. E qualcuno doveva pure tenere a bada quei tizi finché lui non arrivava.
L’infermiera si allontanò compunta e il dottor Larry Mason aspettò che avesse voltato l’angolo e si catapultò letteralmente contro le porte dell’ascensore, salendo e pigiando ripetutamente il pulsante del suo piano.
Un goccio, dannazione, soltanto un goccio…

venerdì 19 dicembre 2014

Lacrime di Cenere - Volume 1: In Fuga dalla Morte - Capitolo 6 (Anteprima)

Era la loro occasione. Anzi, la loro unica occasione, molto probabilmente.
Leonardo si affacciò per primo sul ripiano più alto delle scale antincendio esterne. Erano scale di metallo verniciate di rosso, che dall’uscita d’emergenza dell’ultimo piano portavano fino a uno spiazzo libero sul retro dell’edificio, in prossimità di un minuscolo giardinetto che si ricollegava poi alla strada per mezzo di un angusto viale pavimentato.
La situazione sembrava essere tranquilla. Non c’erano zombie nei paraggi, per il momento. La battaglia che i militari avevano ingaggiato in strada doveva averli attirati quasi tutti.
Era un bel volo dal tetto alla piattaforma delle scale, ma con un po’ di fortuna sarebbero atterrati illesi. C’era solo da sperare che nessuno di loro si ferisse nel tentativo, altrimenti gli altri sarebbero stati costretti a lasciarlo indietro per salvarsi la pelle.
«Non voglio venire giù. Voglio solo svegliarmi. Tornare a domenica scorsa, quando ero a casa con i miei genitori e andava tutto bene!» sibilò Giorgio con fare irrequieto.
Marta lo prese per le spalle e lo scosse con vigore. «Stammi bene a sentire: adesso smettila di pensare a tutte queste cazzate e fai quello che ti dico io, okay?» Il suo tono di voce lasciava intendere che ci fosse una specie di minaccia velata nelle sue parole. Il ragazzo inghiottì a vuoto e annuì.
«Vado» annunciò Leonardo, poi prese un bel respiro e si gettò oltre il bordo del tetto.
Per un istante si immaginò spiaccicato sull’asfalto ai piedi del complesso didattico, e vide Valentina chiusa nel bagno del liceo che piangeva mentre un fiume di zombie grattava contro le porte chiuse e reclamava a gran voce il suo sangue e le sue lacrime.

lunedì 15 dicembre 2014

Le Anime di Eglon - Prima Stagione - Episodio 11

Tom Davis faceva parte del glorioso corpo dei Marines da soli due anni, eppure ormai apparteneva a pieno diritto a quella categoria di combattenti che sa decisamente come cavarsela con un fucile in mano. Suo padre era stato un Marine, e anche suo nonno, prima di lui. Potrebbe apparire come la solita storiella strappalacrime da soldato americano, ma la famiglia Davis aveva davvero militato per generazioni tra le file dei Marines statunitensi.
Ora per Tom trovarsi a pochi passi da casa, alle porte della città di Eglon, dalla quale si innalzava il fumo di numerose esplosioni, era a dir poco scioccante.
Un reparto dell’Esercito degli Stati Uniti si era avvicinato a Eglon da nord, scendendo rapidamente dalle zone di Little Rock. C’era parecchio caos nel subbuglio generale delle manifestazioni in memoria dell’undici settembre, e questo fatto di Eglon aveva lasciato tutti quanti a bocca aperta. Com’era potuto accadere? Anzi, meglio ancora: cosa stava accadendo, di preciso, dietro quella barricata di legno che era stata eretta per separare la campagna dal centro urbano?
I soldati erano stati richiamati quella mattina, e in poche ore avevano raggiunto il punto di incontro. L’azione era stata rapida e pronta, ma non c’era modo di entrare in città: le barriere impedivano a chiunque di passare, e abbatterle era fuori discussione. Troppi edifici civili nei dintorni, si rischiava di ammazzare qualcuno se non si prestava la massima attenzione.
Oltretutto, i tre Black Hawk mandati in ricognizione con l’incarico di lanciare alcuni uomini sulla cima della Eglon Tower per iniziare a ripulire la zona erano stati abbattuti, e i piloti e i soldati che si trovavano all’interno dovevano essere ormai andati all’altro mondo.
No, stava succedendo qualcosa di impensabile in quella comune città dell’Arkansas. E Tom Davis, nonostante reggesse con mano ferma il fucile d’assalto puntato in direzione della barricata di legno in lontananza, dentro di sé tremava. Perché in quel momento avrebbe dovuto assistere alla cerimonia organizzata a Little Rock in memoria delle vittime degli attacchi dell’undici settembre 2001, e invece si trovava lì, a pochi passi dal luogo in cui stavano venendo presumibilmente mietute le vittime di un nuovo undici settembre, un altro giorno che sarebbe inevitabilmente passato alla storia, alla stregua del suo predecessore. E la parte peggiore, in tutto questo, era che lui si sentiva assolutamente impotente di fronte a questa tremenda visione.
Era quasi il tramonto, e sulla destra Tom vedeva il sole calare sempre più simile a un globo incandescente di ghiaccio infuocato. Le nuvole, a ovest, si erano aperte per qualche minuto, ma Tom sapeva che presto sarebbero ritornate a coprire il cielo e l’orizzonte con il loro grigio e freddo abbraccio inestricabile.
Quella che si preparava a venire sarebbe stata una notte senza stelle. Per tutti quanti loro, e anche per i disgraziati cittadini di Eglon. Altre luci avrebbero rischiarato le strade della città durante le ore di buio, e sarebbero state quelle sprigionate dalle fiamme.
Tom Davis intravide improvvisamente qualcosa saettare sull’orizzonte. Qualcosa di nero, di indefinito, qualcosa che non avrebbe saputo descrivere neppure sotto tortura. Ma non gli ci volle molto a capire che si trattava di un colpo di mortaio, perché quando ci fu l’esplosione presso la prima linea dei soldati dell’esercito statunitense si rese conto che iniziavano a piovere razzi su di loro.

venerdì 12 dicembre 2014

Lacrime di Cenere - Volume 1: In Fuga dalla Morte - Capitolo 5 (Anteprima)

Impiegarono una buona ventina di minuti per fare il giro del perimetro e controllare la situazione disotto. Gli zombie erano veramente tanti, ma la maggior parte di loro doveva trovarsi ancora all’interno delle aule e dei corridoi. C’erano urla nell’aria, che continuavano a echeggiare senza sosta. Auto che cozzavano rumorosamente contro altre auto, e ogni tanto degli spari, con il sottofondo delle sirene.
Leonardo non osava nemmeno immaginare cosa stesse accadendo nel resto della città. Aveva troppa paura per farlo. L’unica cosa a cui riusciva a pensare era che doveva sbrigarsi ad arrivare a Vicenza, perché la sua Valentina lo avrebbe aspettato barricata nei bagni. Doveva raggiungerla e portarla via, portarla in un posto sicuro.
E i suoi genitori? Suo fratello, i nonni, gli zii… Erano tutti in pericolo? Non riusciva a considerare l’eventualità che a Vicenza la situazione fosse la stessa, che anche là i morti avessero preso le strade e i paesi altrettanto in fretta. Forse c’era modo di aiutarli. Forse erano partite le segnalazioni d’emergenza e avevano trovato tutti rifugio da qualche parte…
Per un momento immaginò la via di casa piena di cadaveri che camminavano lungo i marciapiedi. Dovette scuotere energicamente la testa per cacciare via la visione, ma anche dopo continuò a sentire che se ne stava in agguato, appena sotto la superficie, pronta a riemergere appena avesse abbassato la guardia di nuovo.
Giorgio, era questo il nome dell’altro ragazzo, aveva smesso di vomitare e si era in parte ripreso. Erano tutti e tre sotto shock, ma pian piano ricominciavano a produrre pensieri coerenti.
La priorità era andarsene da quel tetto prima che la porta delle scale interne cedesse: la forza che gli zombie stavano mettendo nel tentativo di abbatterla era incredibile, e se avessero continuato di quel passo ce l’avrebbero fatta molto presto.

lunedì 8 dicembre 2014

Le Anime di Eglon - Prima Stagione - Episodio 10

«Sei uno stronzo, lo sai?» mormorò Katie imbronciata.
«Lo so, grazie» farfugliò Chris altrettanto corrucciato.
«La tua ragazza ha l’influenza e tu vai alla festa di quella sgualdrina di Tila senza di lei. Bravo. Proprio bravo» commentò la giovane in tono sarcastico, parlando al cellulare mentre se ne stava sdraiata nella penombra della camera da letto in un qualunque sabato pomeriggio che avrebbe preferito trascorrere fuori in compagnia del fidanzato.
«Tesoro, lo sai che ci vado solo perché ci vanno i ragazzi. Se non me l’avessero chiesto, starei a casa. Ma è sabato sera, cucciola, e ho voglia di uscire un po’» si difese Chris, abbastanza malamente.
«Be’, vieni qui da me allora!» ribatté piagnucolante Katie, scossa da un inaspettato brivido di freddo.
«Mia madre non vuole, lo sai. Dice che non mi devo ammalare. Ho già perso fin troppi giorni di scuola, l’anno scorso…»
«Non mi importa. Sempre meglio che andare a farti corteggiare da quella… là…» concluse Katie, evitando minuziosamente di chiamarla con un termine assai più diretto e volgare di sgualdrina perché sapeva che a Chris non andava di sentirle dire certe parole.
«Amore, sarà solo una festa come un’altra. Tila nemmeno verrà a salutarmi, impegnata come sarà con tutta la gente che ha invitato. Probabilmente penserà che ci sia anche tu, da qualche parte, a spiarmi.»
«Fidati, non è così. Non perderà l’occasione…» replicò Katie giocherellando con una ciocca di capelli. Accidenti se faceva freddo. Anche sotto le coperte continuava a tremare. Eppure era sudata. Colpa della febbre, se aveva i brividi. Quando aveva preso l’ultima tachipirina? Le conveniva farsi portare un termometro e, se la temperatura era salita, prendere qualcos’altro per tenerla a bada.
«E con questo?» ribatté Chris indifferente. «Il fatto che possa o meno venire a corteggiarmi non cambia nulla: lei non mi interessa! Lo sai che amo te…»
«…lo so…» cedette Katie. Quella conversazione stava andando troppo per le lunghe. Si sentiva stanca, e aveva voglia di misurarsi la febbre, prendere una tachipirina e abbandonarsi tra le coperte in un bel sonno profondo.
«E allora qual è il problema, se ci vado?» riprese Chris.
Katie sospirò. «Fai quello che vuoi. Tanto lo faresti comunque. Va’ pure, se ci tieni tanto. Non mi importa. Ora, se permetti, ho bisogno di dormire.»
«Okay piccola. Riposati. Se domani stai meglio ti vengo a trovare, va bene?»
«Hmhm» annuì Katie svogliatamente. Non ne poteva più. Voleva solo chiudere gli occhi e lasciare che la mente naufragasse in mezzo a un arcipelago di sogni. Tutto il resto perdeva di valore, scoloriva, addirittura, messo a confronto con questo desiderio.
«D’accordo. A presto tesoro. Ti amo» la salutò Chris amorevolmente.
«Lo so. Ciao» finì Katie, e spense il cellulare, allontanandolo da sé.
Fu l’ultima volta in cui Katie e Chris si parlarono. Esclusi i pochi sms che si mandarono quella sera, fu anche l’ultima volta che si sentirono.

venerdì 5 dicembre 2014

Lacrime di Cenere - Volume 1: In Fuga dalla Morte - Capitolo 4 (Anteprima)

«Sono tutti morti» pigolò il ragazzo scoppiando in lacrime.
Leonardo non rispose. Aveva difficoltà a respirare, forse per la fatica che aveva fatto issandosi sul tetto dell’edificio. Guardò giù e percepì un vago sentore di nausea.
«Tranquillo Gio» intervenne la ragazza affettuosamente, battendogli dei colpetti delicati sulla schiena. Il ragazzo si allontanò di corsa e si mise in un angolo a vomitare. Lei rimase a pochi passi da Leonardo, lo sguardo assente e l’espressione pensosa.
Un elicottero li sorvolò in tutta fretta, scivolando oltre con le lunghe pale metalliche che graffiavano il cielo terso.
«Erano zombie» mormorò finalmente la ragazza, quasi parlando con se stessa.
«Sono zombie» precisò Leonardo, il cuore che ancora gli martellava dolorosamente il petto.
«Non riesco a crederci…»
«Nemmeno io» confermò asciutto. Notò con la coda dell’occhio di avere il maglioncino imbrattato da alcune gocce di sangue. Sangue di qualcuno dei suoi compagni di corso, schizzato da un morso o da un graffio di qualche tipo. Ma come poteva essere reale una cosa del genere?
«Sta succedendo davvero?»
Gio, l’altro ragazzo, vomitò di nuovo qualche metro più in là.
«Non lo so. Eravamo in aula da due ore, due ore e mezza. E prima di entrare non ho visto nulla di strano in città. Non posso credere che sia stato tutto così veloce…»
«Non è un film. Non è possibile che esistano quelle cose. Non possono e non devono esserci!»
Calò di nuovo il silenzio. La sirena di un’ambulanza da qualche parte gli fece aprire veramente gli occhi sullo scenario che si stendeva attorno all’edificio. Era uno spettacolo terrificante.

lunedì 1 dicembre 2014

Le Anime di Eglon - Prima Stagione - Episodio 9

«Signore, una chiamata dall’ufficio dell’FBI di Little Rock. Dicono che è importante» lo avvisò tramite interfono uno dei suoi sottoposti.
«D’accordo, passamela» approvò l’uomo seduto dietro la scrivania senza tanti giri di parole.
«Signor Kozinski?» domandò una voce all’altro capo.
«Sì, sono io» confermò tranquillamente.
«Ci troviamo su una linea sicura?»
«Io sono sempre su una linea sicura. Che cosa c’è?»
«Ci occorre un’informazione, signor Kozinski» avanzò senza indugio il suo interlocutore.
«Un’informazione, eh? Di che genere?»
«Si tratta di Eglon, signor Kozinski…» spiegò con calma la voce dell’agente dell’FBI.
«Eglon… Che altro vi interessa sapere di Eglon?»
«Tutto quello che non ci ha detto, signor Kozinski. Lei forse ancora non lo sa, ma laggiù è cominciata. Un reparto dell’esercito è in movimento per raggiungere la città. Stiamo seguendo i loro movimenti attraverso il satellite: hanno costruito sotto il nostro naso una barricata completa nel giro di poche ore…» principiò la voce dall’altra parte, ma Kozinski la fermò.
«Io so tutto. Sapere è il mio lavoro. So che cosa è successo e so che cosa sta per succedere. Ad ogni modo, vi ho già detto tutto ciò che vi potevo dire.»
«Se ci avesse detto tutto, allora avremmo saputo in tempo dei carri armati!» ribatté freddamente la voce, suonando minacciosa all’interno della cornetta. «Oppure questa è una novità anche per lei, signor Kozinski?» soggiunse in tono beffardo.
«Come vi ho già detto, sapere è il mio lavoro» ribadì molto pazientemente Victor Kozinski. «E adesso non ho altro da dirvi.»
Riattaccò, lasciando l’agente dell’FBI con il silenzio della comunicazione interrotta.
«Non desidero ricevere altre telefonate dall’FBI, per oggi» comunicò all’interfono, e una voce femminile rispose affermativamente.
Eglon… E così, alla fine l’avevano fatto. Avevano tirato fuori i carri armati, avevano occupato la città e l’avevano barricata. Quegli scaltri figli di puttana si erano organizzati bene, dopotutto. Con un supporto come quello di cui disponevano, chi non avrebbe saputo mettere in piedi un’operazione simile?
Bisognava dire, però, che avevano fegato. I reparti speciali sarebbero stati schierati attorno alla città entro sera, e l’ONU non avrebbe rilasciato dichiarazioni importanti oltre le ventiquattro ore. Il governo americano avrebbe richiesto l’autorizzazione per un intervento parzialmente violento, e tale richiesta sarebbe stata respinta senza mezzi termini. Allora sarebbe scoppiato il pandemonio.
Victor Kozinski sorrise. Sapere di aver dato una mano a mettere in piedi una cosa del genere era davvero gratificante.
Gestire un traffico di informazioni come quello che possedeva era un privilegio niente male, ma alle volte poteva ritorcersi contro chi se ne serviva in maniera implacabile.
Così l’FBI, che si era rivolta alla sua agenzia il mese scorso per ottenere informazioni, dimostrandosi una cliente disposta a sborsare somme decisamente considerevoli, aveva appena imparato a proprie spese questa piccola lezione di realtà.
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