«David, puoi venire qui un momento?»
«Arrivo, mamma» rispose il ragazzo
lasciandosi cadere il taglierino nella spaziosa tasca del grembiule e dirigendosi
verso le casse in fondo al supermercato.
«Puoi darmi il cambio un secondo? Devo
andare a prendere altro denaro in cassaforte» gli sussurrò la madre
nell’orecchio, e David annuì andandosi a posizionare dietro la cassa e
rivolgendo un classico sorriso da bravo
commesso (così lo definiva suo padre, il “sorriso da bravo commesso”) alla signora McField, che aveva letteralmente
ricoperto il nastro trasportatore di scatolette di cibo per gatti.
«Buongiorno signora McField, come sta
oggi?» domandò David mentre sua madre si allontanava di gran carriera,
scoccando sorrisi e ammiccamenti a destra e a manca da brava proprietaria.
«Oh, molto bene, grazie David. E tu?»
ripropose la signora McField, con quei capelli tutti grigi e impomatati e le
rughe inefficacemente sepolte sotto uno spesso strato di fondotinta, che le
lasciava un alone più chiaro di pelle naturale ai margini dell’ovale del viso.
«Non c’è male. Fa piuttosto caldo, e
almeno qui dentro c’è l’aria condizionata» ironizzò David con una strizzatina
d’occhio. A dirla tutta avrebbe preferito dover sopportare l’afa ed essere
libero di uscire come i suoi amici, invece di stare lì a dare una mano a mamma
e papà. In fondo, però, non aveva scelta. Se intendeva mettersi da parte un po’
di denaro prima che ricominciasse la scuola, le alternative si riducevano a una
quantità schifosamente esigua.
«Grazie, David» lo salutò la donna
sollevando a fatica la propria borsa della spesa e incamminandosi con lo
scontrino in mano verso l’uscita del negozio.
«Grazie a lei signora McField, e
arrivederci!» rispose cortesemente David, voltandosi verso la cliente
successiva in fila alla cassa.
Si immobilizzò, pietrificato.
Gabriella lo squadrò con un ampio sorriso e ridacchiò sommessamente, con un
contegno che, in mancanza di una vena descrittiva più spiccata, David si
sarebbe limitato a definire semplicemente regale.
Eppure era così avvenente che nessuna sovrana avrebbe potuto eguagliarla. Il
suo viso era perfetto, limpido e luminoso. I suoi capelli dorati erano raccolti
in una coda di cavallo. Aveva gli occhi grandi e rotondi, di un blu così
intenso da sembrare addirittura irreale, e la pelle liscia con un accenno di
abbronzatura. Indossava una canottiera piuttosto sobria, con una scollatura
magistrale che lasciava scorgere le spalline rosa del reggiseno, e una
minigonna in jeans che nascondeva a malapena la metà delle sue belle cosce.
«Ciao, David» mormorò Gabriella
Higgins radiosa. David deglutì a vuoto. Non si aspettava di trovarsela lì
davanti, così, di punto in bianco. Aveva in mano una confezione da sei lattine
di Pepsi e una tavoletta di cioccolato
al latte. Le sue unghie erano limate e smaltate di fresco, rosa come le spalline
del reggiseno che indossava. David dovette compiere uno sforzo immane per non
perdere i sensi.
Gabriella gli piaceva. Era dalle
elementari, a dire il vero, che gli piaceva. E non aveva mai avuto il coraggio
di dirle nulla. Lei pareva saperlo già, ma non gli aveva mai rivolto la parola.
E non si era mai trovato a doverla servire alla cassa, impreparato come in
questo momento.
«Ho solo queste» gli disse
mostrandogli con un cenno della mano la Pepsi
e la tavoletta di cioccolato. Gli sorrise di nuovo, ma David la fissava
imbambolato.
Fuori, al di là della vetrata, passò
un furgone blindato nero, la targa scintillante. David stava per risponderle,
quando ci fu un’esplosione. Il botto sordo della detonazione rimbombò all’interno
del supermercato, e la gente incominciò a urlare.
Gabriella lasciò lì la sua Pepsi e la tavoletta di cioccolato e si
precipitò fuori a vedere.
Veniva dal municipio, all’altro lato
della strada. Una delle finestre era avviluppata dalle fiamme e rigurgitava
nell’aria una nuvola di fumo scuro e denso come una colata di catrame.