I vagoni di Trenitalia erano tutti uguali. Dal primo all’ultimo. Questa
valutazione, però, non era tanto confortante quanto sarebbe potuta sembrare.
Anzi, al contrario: era quasi demoralizzante, e guardare quelle specie di toppe
di lamiera saldate all’esterno del convoglio faceva venire la pelle d’oca.
Nessuno sano di mente sarebbe
salito tranquillo su quel treno vedendo com’era ridotto. Sfortunatamente, non
avevano molte alternative, e di questo Roberto era fin troppo consapevole.
I freni fischiavano così forte da
far passare la voglia di sentirli persino a un sordo appena miracolato. E c’era
odore di bruciato, quando venivano azionati. Come se il metallo dei binari
fosse sul punto di fondere. A dire il vero, in quel momento Roberto non si
sarebbe stupito più di tanto se avesse visto le ruote sciogliersi e i vagoni
sprofondare di qualche centimetro.
«Amore, tutto a posto?» gli
domandò Francesca, in piedi dietro di lui con lo zaino in spalla e la borsetta
sottobraccio. Si girò a guardarla e le sorrise. Il suo sguardo si rasserenò
subito, come un cielo da cui il vento avesse spazzato via ogni rimasuglio di
nuvole.
«Sì, è tutto okay» rispose,
sfiorandole una guancia con le dita. Afferrò il proprio zaino e se lo caricò
sulle spalle, sorridendole ancora. «Saliamo.»
La porta automatica si spalancò
davanti a loro con un borbottio infastidito, scivolando pesantemente di lato.
Roberto salì sul treno per primo, prendendo poi la mano di Francesca per
aiutarla a non perdere l’equilibrio.
«Cerchiamo un posto… carino» propose Roberto, guidando la
ragazza all’interno di un vagone e passando in rassegna i vari scompartimenti
da sei posti che si susseguivano accanto a loro. Finalmente ne individuarono
uno libero e Roberto aprì la porta a Francesca per farla entrare. «Qui mi pare
abbastanza tranquillo, non trovi?»
«Sì, sì» approvò la ragazza,
sistemando zaino e borsa su uno dei sedili e prendendo posto su quello di
fianco. Roberto lasciò il proprio zaino a terra e la raggiunse per sedersi
vicino a lei.
«Ci aspetta un bel giretto, eh?»
commentò, tirandosi fuori un libro.
«Un bel giretto, proprio…»
ribatté Francesca. «Sono già stanca di stare seduta, non so come farò a
resistere fino a Firenze.»
«Porta pazienza tesoro.»
«Lo so, non posso fare altro»
cedette lei, recuperando un tascabile dal fondo della borsetta. «Comunque, sono
felice di essere qui con te.»
Roberto le sorrise di nuovo.
«Anch’io» ammise, e la abbracciò.
Il treno ripartì sferragliando,
acquistando a poco a poco velocità e fuggendo dalla stazione ferroviaria di
Padova, lasciandosela alle spalle e filando via, rapido, come un animale in
fuga dal freddo incombente.
Non stiamo scappando via. Andiamo
soltanto a farci un giretto, tutto qui. Solo
per schiarirci un po’ le idee. Più se lo ripeteva e meno si lasciava
convincere da queste affermazioni. Erano come frasi preconfezionate, di quelle
che si trovavano negli incarti dei cioccolatini. Belle, sì, ma dopo poco
smettevano di fare effetto. Erano esse stesse degli involucri, involucri che
non contenevano più un bel niente. Dobbiamo
operare alcune scelte, prendere delle decisioni importanti. E l’unico modo per chiarirsi veramente le
idee è lasciare indietro tutto quello che si vede ogni giorno. Ignorare il presente e figurarsi come sarà
il futuro.
«Firenze sarà bella come la
descrivono i poeti?» gli chiese Francesca di punto in bianco, strappandolo
dolcemente ai suoi pensieri.
«Sì, immagino di sì…» farfugliò,
sentendosi vagamente impacciato e velatamente falso. Non stavano andando lì
solo per farsi un giretto. E forse avrebbero visto la bellezza di Firenze
scorrere sotto i loro occhi senza nemmeno poterla afferrare. Dunque, perché
mentire e fingere che sarebbe andato tutto quanto per il verso giusto?
«Non vedo l’ora di vederla»
confessò Francesca, guardando fuori dal finestrino con aria sognante.
«Già» mormorò Roberto, e il suo
tono era cupo, amaro.
In realtà in quel momento nessuno
di loro sapeva ancora che a Firenze, con quel treno, non ci sarebbero mai
arrivati.
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