«E adesso, signore?» bisbigliò uno
degli ufficiali alle sue spalle. Ma il comandante Smith non lo sentì. I suoi
uomini erano agitati, si spostavano da un piede all’altro in attesa del suo
segnale. Lui, però, non riusciva ad aprire bocca. Non riusciva più a parlare.
Non sapeva che cosa dire, ma tutti quei soldati dipendevano da lui. Dalle
parole che sarebbero uscite attraverso le sue labbra nei prossimi istanti.
Un grosso blocco di cemento e asfalto
lacerato dall’esplosione si staccò dal mezzo metro di ponte rimasto prodigiosamente
appiccicato alla riva orientale del fiume. Il frammento di pietra precipitò al
rallentatore nella mente di Smith, compiendo nell’aria movimenti di pochi
centimetri alla volta. Finché alla fine non scomparve, rigettando nell’aria, come
unico segnale del proprio arrivo, il rumore del tonfo prodotto nel momento in
cui raggiunse il pelo dell’acqua e vi si immerse.
«Fuoco!» aveva appena urlato un
ribelle dall’altra parte del fiume, e la sua voce alterata da un megafono
investì i soldati dell’Esercito degli Stati Uniti come un’ondata di piena.
Ma ancora non erano incominciati gli
spari. Il nuvolone di fumo nero innalzatosi dall’esplosione del ponte era stato
disperso, spazzato via dal vento. Le urla degli uomini precipitati nel fiume assieme
ai resti del viadotto si erano spente in fretta. Adesso rimanevano il vuoto e
il silenzio a fare da cornice a quello scenario spietato, alla fotografia
scattata oltre quel tratto di barricata infranta. I militari americani, con le
armi impugnate e i volti scolpiti nella carne dalle mani del terrore, si stringevano
in un gruppo compatto e agitato, circondati da quella moltitudine di maschere
variopinte che li tenevano sotto tiro. I carri armati, immobili come moderne
statue totemiche di un’era macchiata di sangue, lasciavano presagire con la
loro sola presenza quello che sarebbe successo di lì a poco.
«Signore, che cosa dobbiamo fare?»
insistette l’ufficiale alle spalle del comandante Smith, la voce sempre più
fievole e incrinata.
Il capo dei ribelli aveva già berciato
il suo ordine, quel «Fuoco!» che
aveva spinto i soldati intrappolati sul suolo della città di Eglon a
richiudersi in un drappello più omogeneo. Ma erano poche decine di uomini
isolati e spaventati, messi di fronte a una moltitudine di bestie senza volto e
senza umanità che li avrebbero macellati alla stregua di sanguinolenti pezzi di
carne disossata. Nessuno aveva ancora premuto il grilletto, ma era questione di
qualche istante prima che l’esecuzione spruzzasse di sangue la corrente limpida
del fiume Arkansas.
Esitavano, e Smith non riusciva a
capire perché. I suoi uomini stavano immobili, le mitragliatrici spianate,
pronti a morire per quella pace e quella libertà che speravano di portare alla
città di Eglon, e che invece era stata affondata con le macerie del ponte
distrutto.
Ma, soprattutto, non riusciva a
capacitarsi di quello che era accaduto. Pareva che filasse tutto per il verso
giusto. Il Commando Alfa era penetrato in città e aveva fatto saltare
dall’interno un tratto della barricata. Il ponte era preso, il passaggio si
presentava libero, e non rimaneva che trasferire le truppe da un versante
all’altro e intraprendere le prime fasi di una lenta ma vittoriosa riconquista.
Che
cosa era andato storto, maledizione?
«Signore, attendiamo ordini. Dobbiamo
fare qualcosa… ritirarci, perlomeno»
perseverò l’ufficiale dietro di lui, che ancora non aveva udito alcuna risposta
da parte del superiore.
«Fuoco!»,
aveva urlato quel ribelle con il megafono. E i fucili non cantavano, le pistole
non gridavano, gli uomini non morivano. Che cosa stava capitando?
Un fischio acuto e penetrante,
sibilato da immense labbra screpolate, si impadronì dell’aria e del silenzio
con un abile colpo di mano, incenerendo ogni incertezza e trasformando l’attesa
e l’esitazione nella prospettiva di un bagno di morte.
Il cielo plumbeo, nuvoloso, che
scaricava la sua pioggia debole e irritante sulla città di Eglon, fu solcato da
un’infinità di profonde artigliate scure. E solo quando i mortai lanciarono il
secondo attacco il comandante Smith si riprese e ordinò bruscamente la ritirata.
LE
ANIME DI EGLON
PRIMA
STAGIONE
EPISODIO
31
REPRESSIONE
I soldati speciali del Commando Alfa
scesero le scalette della torre di guardia a uno a uno, con calma, dopo aver
gettato disotto le armi e aver dichiarato la propria resa. I venti uomini che
li attendevano ai piedi della piccola costruzione di legno, armati fino ai
denti, i visi coperti da maschere impenetrabili, li accolsero senza proferire
parola e li ammanettarono.
Zero Uno, mentre i polsi gli venivano
legati, disse semplicemente: «Voglio parlare con il vostro capogruppo. Ho una
proposta per lui.»
«Zitto» gli intimò uno dei ribelli, in
tono blando, e strinse le manette più forte prima di strattonarlo verso i
compagni e costringerlo a mettersi in fila per raggiungere la strada.
I sibili dei mortai invasero l’aria
tutto d’un tratto, senza alcun preavviso. Furono lunghi, quasi interminabili, e
Zero Uno perse subito il conto dei secondi. Poi, a un certo punto, quando pareva
che quei fischi dovessero andare avanti fino all’ultimo tramonto del mondo,
seguirono le esplosioni in contemporanea all’esterno, che sommandosi
originarono un fragore incredibilmente potente.
I soldati speciali del Commando Alfa
si scambiarono sguardi rabbuiati, ma i rivoluzionari ripresero a spingerli con
indifferenza.
La strada che stavano percorrendo non
andava verso la breccia aperta sulla linea delle barricate, in corrispondenza
del ponte appena fatto saltare. Si inoltrava invece in mezzo agli edifici, proseguendo
in una direzione sconosciuta. Zero Uno inghiottì a vuoto e sperò che ci fosse
ancora qualche possibilità di salvezza per loro. Erano in sette, e nella scorta
di uomini mascherati che li accompagnava aveva contato ventidue elementi.
L’inferiorità numerica era schiacciante, dal punto di vista tattico. Non
potevano sperare di sottrarre le armi ai loro custodi e farli fuori, perché gli
altri due terzi del gruppo non sarebbero certo rimasti impassibili a guardare.
Incrociò furtivamente lo sguardo di
Zero Quattro e lo rassicurò con un cenno del capo. Ma Zero Quattro era cupo,
affranto, riabbassò la testa e si mostrò sconfitto. Aveva a casa una bambina di
due anni e una moglie di ventisette, il buon Zero Quattro, e adesso stava
probabilmente pensando a loro. Non aveva la testa lì, a Eglon. Non più, ormai.
Per questo motivo non poteva contare su di lui.
Ma, a ben pensarci, anche gli altri
avevano i loro pensieri per la testa, i loro cari dei quali preoccuparsi. Zero
Due aveva i suoi gemelli di undici anni, anche se era divorziato. Zero Tre e
Zero Cinque avevano le loro famiglie altrettanto numerose. Zero Sei stava
provando ad avere figli, e Zero Sette aveva la fidanzata che lo aspettava sulla
porta di casa con le lacrime agli occhi per riabbracciarlo. Lui, dunque, era
l’unico a non avere nessuno a cui pensare. E forse questo poteva rivelarsi un
vantaggio, nelle prossime ore.
Magari proprio da questo sarebbe
dipesa la loro remota possibilità di sopravvivenza.
Maschera Blu sondò con attenzione gli
sguardi impauriti dei soldati statunitensi schierati alla bell’e meglio di
fronte a lui. Davano le spalle alla riva del fiume, ed erano circondati dai
fucili dei suoi ribelli. Al di là del corso d’acqua, attraverso la breccia
aperta nella barricata, intravedeva la fuga scomposta e disordinata dell’Esercito.
I mortai avevano mietuto poche vittime, conciato male un pugno di feriti. Ma lo
scopo dell’attacco non era certo quello di decimare gli avversari: era sufficiente
metterli in rotta, farli retrocedere verso l’accampamento e levarseli dai
coglioni per qualche altro giorno. Per quanto lo riguardava, potevano anche
sopravvivere tutti quanti, bastava soltanto che non ritentassero a breve di assalire
le difese della città.
Sollevò il megafono lentamente e se lo
avvicinò all’apertura sulla maschera in corrispondenza della bocca. «Il grande,
potente, invincibile Esercito degli
Stati Uniti d’America. Non vi siete accorti delle cariche piazzate attorno ai
pilastri che sorreggevano il ponte. Non ve ne siete preoccupati, ed ecco il
risultato. Siete entrati in città, e siete soli. Benvenuti a Eglon.»
I ribelli stavano immobili come file
di grottesche statue colorate. Pareva quasi che non respirassero nemmeno. I
militari li osservavano con crescente e manifesto terrore.
«Il protocollo prevede la vostra
immediata esecuzione. Dovremmo fucilarvi, per essere pienamente corretti verso
di esso. Ma dipende da me, adesso, decidere cosa ne sarà di voi. E penso che
uomini forti, valorosi e ben addestrati non vadano sprecati tanto alla
leggera.»
Le sopracciglia inarcate, le fronti
aggrottate, tutti i soldati statunitensi ascoltavano avidamente le parole di
Maschera Blu, leggendo in esse l’ultimo sprazzo di speranza delle loro
esistenze segnate.
«Non delegittimerò il protocollo. Non
ho la minima intenzione di fare una cosa del genere. Esso afferma che è giusto
preservare delle vite, se rappresentano un qualche valore. A patto che quelle
giurino cieca fedeltà alla causa. Sarete messi alla prova, soldati.
Costantemente, giorno dopo giorno, finché non mi avrete dimostrato la vostra
inattaccabile fede. Quando mi sarò reso conto di poter avere fiducia in voi,
sarete ricompensati. Se invece tradirete questa fiducia, soffrirete come
bestie.»
I soldati erano scuri in volto,
concentrati, attenti alle parole di quell’uomo che stava chiedendo loro di
salvarsi. Loro volevano essere
salvati. Ma non era per nulla scontato che il prezzo da pagare fosse
abbordabile.
Due ribelli si avvicinarono a Maschera
Blu e ascoltarono un ordine quasi silenzioso. Sparirono tra le linee armate e ricomparvero
subito dopo con un lungo rotolo di stoffa. Di fronte agli sguardi confusi e
meravigliati dei soldati fu distesa un’enorme bandiera a stelle e strisce, la
bandiera degli Stati Uniti d’America.
«Volete vivere?» domandò loro Maschera
Blu, riprendendo a parlare nel megafono. Aspettò qualche attimo, come per dare
il tempo ai militari di pensarci seriamente. «Se la risposta è sì, avvicinatevi
alla bandiera uno per volta e sputateci sopra.»
I militari, spiazzati, si guardarono
l’un l’altro e si interrogarono con gli sguardi, producendo espressioni
sbalordite e sconvolte. Il ribelle con il megafono, dietro la sua maschera,
sogghignò freddamente.
«Sputate sul simbolo della vostra
nazione, su questa bandiera alla quale ogni giorno, fino a oggi, avete presentato
il vostro rispettoso saluto. Sputateci sopra e dimenticate di aver giurato di
proteggerla a costo della vita. Fatelo, e capirò se davvero desiderate vivere.»
Ancora una volta i soldati si
consultarono rapidamente, guardandosi in faccia. Bastò una sola occhiata per
capire chi avrebbe abbandonato lo schieramento e chi no. Maschera Blu assaporò
quel momento con impensabile piacere, pregustando un assaggio di ciò che di lì
a poco tempo sarebbe successo a Eglon.
Finalmente, un soldato lasciò cadere
sull’asfalto la propria mitragliatrice e si avvicinò alla bandiera, seppure
titubante. Gli altri lo guardarono sbigottiti, quasi con orrore, mentre si
fermava di fronte al vasto rettangolo di stoffa colorata e ci sputava sopra.
Tirò su gli occhi per cercare un segno di benevolenza da parte del capo dei
ribelli, e Maschera Blu annuì debolmente e fece cenno ai suoi uomini di andarlo
a prendere.
A poco a poco, altri soldati
iniziarono ad avvicinarsi alla bandiera americana e a sputarci sopra. Uno, due,
tre, quattro… I primi lo fecero con riluttanza, gli ultimi quasi provandoci
gusto. L’undicesimo, addirittura, gettò a terra le armi e si abbassò la patta
dei pantaloni mimetici, liberando la vescica sulle stelle degli Stati Uniti.
Maschera Blu scrutò bene il volto di quest’ultimo e lo registrò, imprimendoselo
a fondo nella memoria.
In tutto, sedici soldati avevano
accettato di rinnegare la propria bandiera. Ne erano rimasti perciò altri
trenta, più o meno, che non si erano mossi dalla loro posizione. Stavano ancora
là, fermi con il fiume che scorreva alle spalle, incapaci di usare le armi che
stringevano in pugno.
«E voialtri niente?» chiese
cortesemente Maschera Blu, riferendosi a quelli che si erano rifiutati di
seguire i suoi ordini. Attese cinque secondi, scandendoli nella propria testa
con calma, quindi lanciò il comando finale con estrema noncuranza:
«Fucilateli.»
Per alcuni secondi il silenzio di
Eglon fu spaccato dai tuoni degli spari. Poi tornò a ricomporsi, come se i
ribelli lo avessero incollato di nuovo assieme con un pezzetto di nastro
adesivo. E i cadaveri sanguinolenti dei trenta soldati americani giustiziati
furono serenamente fatti precipitare dalla riva del fiume nelle acque
sottostanti.
Dalla cima di un vecchio palazzo disabitato,
Jeff Turner osservava la ritirata scomposta dell’Esercito in compagnia di Frank
e del vicesceriffo Steve Corall. Per un attimo aveva sperato che ce la stessero
facendo. Anzi, l’aveva addirittura creduto.
Ma poi, quando il ponte era saltato in aria, aveva capito subito il perché di
quella manovra. Inizialmente si era domandato come mai i ribelli non
attaccassero i soldati che liberavano il ponte dalle vecchie automobili
sfasciate. La risposta era arrivata pochi minuti dopo, accompagnata da una
colonna di fumo nero che per un attimo aveva oscurato persino i carri armati
statunitensi.
Non c’era più alcuna possibilità di
vedere altri militari all’interno del perimetro della città. Non abbastanza
presto, perlomeno. Eccetto che per quei sedici disertori che avevano avuto
fegato a sufficienza da sputare sulla propria bandiera.
Da lassù si vedeva tutto quanto, e
questo poteva rivelarsi pericoloso, perché si trovavano in una posizione troppo
scoperta. D’altro canto, però, i ribelli erano quasi tutti impegnati attorno a
quell’unico foro aperto sulla barricata, perciò era inutile stare tanto a
preoccuparsi. Nessuno li avrebbe notati, nessuno si sarebbe sognato di fare
domande. C’erano già in ballo questioni in abbondanza, tutto sommato.
«L’operazione scatterà stanotte,
allora» mormorò il vicesceriffo Corall, con il tono di voce di un uomo che
parla abitudinariamente con se stesso.
«Proprio così. Vorrei poter dire che
andrà tutto per il verso giusto, che il sindaco Green accetterà di collaborare…
Ma temo che mentirei» confessò Jeff, la pioggia leggera che gli tamburellava
sulla nuca e sulle spalle.
«Come pensi che andrà a finire?»
s’informò il vicesceriffo, sorpreso.
«Goode vuole ammazzare Thomas Green.
Non si fermerà di fronte alle nostre proteste, né tantomeno davanti a quelle
del figlio di Green. È convinto che farlo fuori servirà a far capire ai ribelli
che non scherziamo, e che nessuno di loro è completamente al sicuro. In realtà,
ammazzando Green non faremo altro che obbligare quei bastardi a trovarne uno
altrettanto pazzo per sostituirlo. Sto pensando a Victor Johnson, ma ce ne sono
anche altri.»
«Una bella porcheria sott’olio»
commentò asciutto Frank, lasciando Steve Corall lievemente spiazzato. «Svuoti
una lattina e te ne viene in mano un’altra. È così che si diventa alcolizzati,
boss. Non mi piace. Non mi piace proprio un emerito cazzo.»
«Lo so, Frank. Non piace neanche a me,
ma è Goode, qui, che comanda» ammise Jeff, sogguardando con la coda dell’occhio
il vicesceriffo Corall che se ne stava in silenzio.
«Vorrei che ci si ricordasse dei ragazzi
scomparsi. Sono decine e decine, e nessuno sa che fine abbiano fatto. Le
famiglie sono in ansia per i loro figli. Io
sono preoccupato per la mia, non so se sta bene, se è ancora viva, se mi sta
aspettando. Dovrei cercarla, e non stare qui, ad aiutare un criminale che vuole
organizzare un attentato al sindaco» bofonchiò il poliziotto, mostrandosi
stanco e vulnerabile. Lui e i suoi uomini erano ormai al servizio di Joey
Goode, ed era evidente che la cosa non gli piaceva, ma allo stesso tempo pareva
non avere il coraggio di abbandonare Goode per andare a ricongiungersi con il
gruppo di Patrick Wieler. Forse era una specie di questione d’onore, pensò Jeff
Turner. Ad ogni modo, Steve aveva ragione: togliere di mezzo Thomas Green non
avrebbe portato a nulla. Stavano solo sprecando tempo ed energie per inseguire
l’ombra di uno scoiattolo ormai lontano. Era una caccia alla streghe nell’era
dei computer, un progetto inutile, insomma.
«Ammazziamo a Goode quel rompipalle di
Thomas Green e poi chiediamogli di concentrarsi su qualcosa di più concreto.
Quando si accorgerà che l’intera operazione non sarà servita manco a stanare
una marmotta dal buco, accetterà qualsiasi proposta» azzardò Frank, piuttosto
sicuro di sé.
«A meno che non andiamo incontro a un
misero fallimento. In questo caso, rischieremmo di perdere troppi uomini e
troppe risorse per poter tentare qualcos’altro» rettificò Steve Corall con amarezza,
e la loro attenzione fu attratta da un movimento inaspettato. I ribelli si
erano rimessi in marcia, lasciando una guarnigione a difesa della breccia sulla
barricata. Si stavano dirigendo verso Main Street, probabilmente in direzione
del municipio.
«E adesso dove vanno?» borbottò Frank,
sbuffando.
«A giustiziare gli infiltrati,
probabilmente» ipotizzò Jeff, senza sapere di aver indovinato.
«Ascoltami molto bene, Daniel. Abbiamo
una sola possibilità di successo, e dobbiamo sfruttarla al meglio. Okay?»
Il ragazzo annuì. Pareva seriamente
intenzionato a dargli una mano, ma c’era sempre l’eventualità che si tirasse indietro
all’ultimo. Prevedendo che si potesse verificare una cosa del genere, occorreva
organizzare un piano di riserva e studiare una via d’uscita. Le armi e le
munizioni erano molte, ma gli uomini no: quelli finivano in fretta, e per
questo bisognava tenerli in considerazione. Non si potevano sprecare così alla
leggera, perché poi sostituirli sarebbe stato difficile.
«Tuo padre starà fuori per poco tempo.
Esce sempre a quell’ora per fumarsi una sigaretta. Avrai cinque minuti, non di
più. Ti avvicinerai dalla piazza, disarmato. Lui ti lascerà passare, sarà contento
di vederti, e le sue guardie non creeranno problemi.»
Il ragazzo lo seguiva. Era sveglio, o
almeno dava l’impressione di esserlo. Joey sperava di potersi realmente fidare
di lui, ma sapeva che non sarebbe stato facile nascondergli le sue vere
intenzioni fino alla fine. Avrebbe cominciato a nutrire qualche dubbio durante
l’operazione, quasi sicuramente. Poteva mandare a monte tutto quanto. C’era da
sperare che non se ne rendesse conto, oppure che lo accettasse e si facesse da
parte. Il sindaco Green andava eliminato, e perlomeno su questo, in tutta la
città di Eglon, non ci pioveva.
«Il tuo compito è molto semplice,
amico: dovrai cercare di farlo scendere verso la piazza, attirandolo lontano
dal municipio in qualche modo. Mettiti a parlare con lui, digli che gli devi
mostrare una cosa, non lo so… L’importante è il risultato, okay? Tu lo porti in
mezzo alla piazza e noi interveniamo, risaliamo Main Street a bordo delle auto
e lo carichiamo a forza in una delle vetture. Qualcuno dei poliziotti ci
fornirà il fuoco di copertura necessario alla fuga. Dopodiché sarà fondamentale
riuscire a sparire prima che si organizzino per venirci dietro. Tutto chiaro?»
Daniel annuì di nuovo, e la sua
espressione convinta rassicurò almeno in parte Joey Goode sulla riuscita del
piano.
Main Street era silenziosa. Non perché
nessuno fosse sceso in strada ad assistere allo spettacolo, ma perché la gente
se ne stava a osservare col fiato sospeso. Non era la prima volta che i
rivoluzionari facevano una cosa del genere. E, se i calcoli della maggioranza
della popolazione non erano errati, non sarebbe stata nemmeno l’ultima.
Era appena passato mezzogiorno. La
pioggerellina sottile e fastidiosa della mattina non se n’era ancora andata, ma
gli abitanti di Eglon quasi non se ne accorgevano. L’acqua che bagnava i loro
volti e inumidiva i loro capelli era un fattore marginale, in mezzo alla ressa
taciturna che aveva intasato uno dei più grossi incroci di Main Street.
Un carro armato era stato posizionato
in mezzo all’intersezione tra le due strade. Gli altri erano stati portati via,
distribuiti nei punti nodali della città per arginare sul nascere eventuali
rappresaglie con la sola forza dissuasiva del terrore. Maschera Blu stava in piedi
sul mezzo corazzato, come sempre, con il suo fedele megafono nella mano destra
e un grosso fucile da caccia nella sinistra. Non aveva ancora proferito parola,
ma già tutti avevano intuito quello che stava per succedere. Era tempo di
liberarsi dei soldati speciali americani che avevano forato la barricata.
I sette uomini del Commando Alfa
vennero allineati davanti al carro armato, con le teste nascoste in cappucci
neri legati al collo per mezzo di una corda. Indossavano ancora le loro divise,
ma erano disarmati. Di fronte a loro furono fatti schierare i sedici soldati
statunitensi che quella mattina avevano rinnegato la propria fedeltà alla
bandiera degli Stati Uniti, giurandola ai ribelli e accettando di divenire loro
prigionieri.
«Cerchiamo di fare in fretta. Abbiamo
altri affari da sbrigare, oggi, e l’attesa divora i minuti» sibilò Maschera Blu
al megafono, e la folla di spettatori curiosi indietreggiò per lasciare spazio
ai rivoluzionari incaricati di assassinare i militari.
Stan Payton era parecchio indietro, ma
riusciva comunque a vedere bene quello che stavano facendo. Accanto a lui, gli
agenti dell’FBI Gregory Donington e Brian
Jones allungavano il collo per ottenere una visuale migliore. Più avanti, a
loro insaputa, anche Jeff Turner e il vicesceriffo Corall si comportavano nella
stessa maniera, cercando di mimetizzarsi nella massa e non attirare troppo
l’attenzione.
«Devo parlare con il capogruppo!»
sbraitò uno dei soldati speciali incappucciati. La sua voce, flebile, sembrava essere
soffocata da un improvviso eccesso di saliva.
«Ti ascolto» rispose la voce naturale
di Maschera Blu. Il ribelle saltò giù dal carro armato con un abile balzo e
abbassò il megafono, avvicinandosi all’uomo che lo aveva interpellato.
«Sono il soldato speciale Zero Uno,
guida del Commando Alfa. Ho bisogno di parlarti in privato. Da quello che mi
pare di capire, ci troviamo in un posto un po’ affollato…»
«Non c’è nessun problema. Puoi
parlarmi qui, se davvero devi dirmi qualcosa. Davanti all’intera popolazione»
ribatté freddamente Maschera Blu, con slancio.
Il soldato speciale parve esitare. «Si
tratta di un’informazione molto importante.»
«E hai intenzione di regalarmela o di
stabilire un prezzo entro sera?» replicò il ribelle, assolutamente calmo. Il
suo interlocutore fu colto da un tremito veloce.
«Sono disposto a fare uno scambio.
Un’informazione per la liberazione dei miei compagni. Lascia uscire dalla città
i miei sei uomini, e io ti darò quest’informazione. Dopo, puoi fare di me quello
che desideri» propose titubante Zero Uno, visibilmente terrorizzato.
«Mi stai chiedendo di liberare sei
uomini che sto per giustiziare, amico. Sei
uomini che tutta Eglon aspetta di vedere appesi per il collo a un lampione.
Dubito che l’informazione a tua disposizione possa valere tanto.»
L’atmosfera si fece di colpo più scura
e raccolta. I secondi che trascorsero tra l’affermazione di Maschera Blu e la
risposta di Zero Uno passarono come gli istanti che intercorrono fra il
bagliore di un lampo lontano e il fragore del tuono che romba.
«Potresti essere costretto a cambiare
idea» biascicò finalmente il soldato speciale, e il rivoluzionario scoppiò a
ridere di gusto.
«Okay. Mettiamo per gioco che tu abbia
un’informazione per me abbastanza preziosa da garantire la salvezza di sei uomini. Dimostramelo, e ti do la mia
parola che i tuoi compagni sopravvivranno per vedere il sole ancora. Dammi la
tua informazione qui, adesso, davanti a questa gente, e ti assicuro che il
resto dei componenti del Commando Alfa sarà trasportato in una prigione
all’interno della quale continueranno a vivere fino alla fine della
Rivoluzione» mormorò Maschera Blu, e il suo tono era sincero.
«D’accordo» acconsentì Zero Uno,
sospirando malinconico. D’altronde, non poteva fare altro che credergli. «Ho
parlato con il Segretario della Difesa prima di partire per questa missione.
Doveva darmi dei ragguagli sugli ultimi sviluppi del piano accettato dal
Presidente, e mi ha parlato di un altro progetto in corso di approvazione.»
L’attenzione di tutti i presenti apparteneva
a Zero Uno, adesso, e nemmeno un respiro guastò il sapore amaro e pungente
della sua informazione.
«Il fascicolo che in questo momento si
trova sulla scrivania del Presidente degli Stati Uniti è stato sottoscritto
dalle maggiori potenze mondiali. Dopo un acceso dibattito avvenuto nel segreto
delle mura dei palazzi del potere, l’Unione Europea ha chiesto agli Stati Uniti
di prendere in considerazione l’idea di un attacco congiunto alla città di
Eglon. Un attacco aereo, rapido e massiccio, che con un bombardamento mirato
vada a radere al suolo l’intera area all’interno del perimetro contrassegnato
dalle barricate. Il Segretario della Difesa sembra essere favorevole alla
proposta. Manca soltanto la firma del Presidente, e poi Eglon sarà cancellata
da tutte le mappe.»
«Non possono fare una cosa del
genere!» sbraitò un uomo in mezzo alla folla, spaventato.
«Possono, e lo faranno, se tutte le
parti alle quali spetta la decisione saranno d’accordo. L’ONU ha ammesso ufficialmente che la questione è
quanto mai delicata, concedendo piena libertà di manovra agli Stati Uniti per
sanare la situazione. Il mondo è preoccupato. Terrorizzato. Questa Rivoluzione sta portando scompiglio in tutti i
Paesi del globo, e i poteri centrali non intendono tollerare la condizione di
allarme nella quale si trovano già da settimane. Qualche bomba e tutto sarebbe
risolto e archiviato. La mente collettiva sociale dimentica in fretta certe
cose, potete starne certi.»
Tra la folla iniziarono a serpeggiare
mormorii di profonda inquietudine, che crebbero velocemente d’intensità come un
tornado scontratosi con un suo simile.
«I miei complimenti, Zero Uno: hai
vinto, la tua informazione vale qualcosa» sentenziò Maschera Blu in un tono di
voce assolutamente controllato.
Nessun commento:
Posta un commento