lunedì 31 agosto 2015

Le Anime di Eglon - Prima Stagione - Episodio 28

Stan Payton uscì all’aperto per prendere una boccata d’aria e squadrò rapidamente i contorni scuri del quartiere, passando in rassegna i profili degli edifici bui e proseguendo nelle tenebre, fino al punto in cui Main Street scompariva in un oceano nero sul quale sarebbe stato impossibile navigare.
Era tutto calmo, lì fuori. Come se il mondo fosse finito e lui fosse precipitato in una bizzarra realtà post-apocalittica. L’aria era rarefatta, immobile, gli unici rumori percepibili erano i fruscii di movimenti poco sospetti che provenivano da lontano. Non dovevano essere automobili, valutò Stan, perché di benzina non ce n’era più. E probabilmente non erano neppure fontane, perché l’acquedotto non portava più acqua a Eglon, e nemmeno il ronzio dei lampioni, perché l’erogazione di elettricità era stata bruscamente interrotta. Per tutti questi motivi, quei fruscii non parevano essere provocati da esseri umani; il che rendeva l’ambiente ancora più morto e desolato agli occhi di Stan.
Respirò profondamente e sondò ancora una volta lo scenario circostante. Ci dovevano essere sicuramente delle persone, lì da qualche parte. I rivoluzionari, per esempio, che ogni notte pattugliavano scrupolosamente le strade. Oppure qualche cittadino uscito a fumare o a portare a spasso il cane. Era impossibile che lui fosse l’unico fuori casa, in una città di quarantamila abitanti!
Sospirò e lasciò perdere. La pistola gli premeva ancora contro il fianco, implacabile, come un tizzone rovente infilato nella tasca dei pantaloni. Non poteva gridare. Non poteva buttare fuori tutta la tensione che si era accumulata dentro di lui in quelle ultime ore, perché altrimenti sarebbe successo il finimondo. Nessuno doveva sapere che quella pistola era ancora nascosta nei suoi pantaloni. Perché se i ribelli lo avessero saputo… anzi no, meglio ancora, se Sarah lo avesse saputo, allora lui avrebbe dovuto incominciare a temere seriamente per la propria incolumità.
Erano andati tutti a dormire, ma malgrado la stanchezza Stan non era ancora riuscito a prendere sonno. Forse perché il rapporto tra lui e il suo vecchio divano non si era ancora ricucito a sufficienza. Più probabilmente perché aveva un sacco di cose per la testa a cui pensare, prima fra tutte la riunione di quella mattina nel covo segreto di Joey Goode. Gli elementi più importanti della controrivoluzione si trovavano là dentro con lui, in quell’occasione, e aveva avuto modo di conoscerli, di studiarli e di scegliere da quale parte stare. Ma la situazione non era delle più felici, e Stan se ne rendeva conto. C’era mancato poco che non scoppiasse una guerra civile in scala ridotta, all’interno di quel salone: era una fortuna che nessuno fosse passato alle mani, e che la soluzione finale fosse stata individuata in maniera pacifica.
Adesso, la chiave di tutta l’operazione era riuscire a localizzare uno dei jammer di cui aveva parlato quella mattina. Sperava di non sbagliarsi. Sperava che Robert sapesse il fatto suo, e che i loro nuovi amici poliziotti non passassero dei guai per colpa di una supposizione infondata. Ma, d’altro canto, a questo punto occorreva rischiare. Non c’erano garanzie di vittoria, ma la posta in gioco era davvero alta e bisognava agire al meglio. Le sorti di Eglon e dei suoi abitanti dipendevano da un pugno di uomini e da un’idea. Sperava con tutto il cuore che l’intuizione si rivelasse esatta.
Un fruscio più forte degli altri, alla sua destra, crebbe improvvisamente d’intensità. Stan girò la testa in quella direzione e intravide nell’oscurità la sagoma nera di una vettura che procedeva con i fari spenti. L’automobile lo superò piano e tutto d’un tratto si bloccò in mezzo alla strada. La portiera del passeggero si aprì e il vicesceriffo Steve Corall buttò fuori un’occhiata per accertarsi che la zona fosse pulita. Jeff Turner si affrettò a compiere una manovra di parcheggio sbrigativa e scese assieme al poliziotto, incamminandosi verso Stan che li guardava avanzare con il cuore in gola.

lunedì 24 agosto 2015

Le Anime di Eglon - Prima Stagione - Episodio 27

«Hanno caricato i furgoni con le casse, ma non li hanno fatti partire subito. Sono ancora là, spenti, in attesa di un qualche segnale. Forse vogliono aspettare che sia notte fonda per smistare tutte quelle batterie. Non sono riuscita a scoprire quali siano le loro destinazioni, ma dalla segretezza delle operazioni posso affermare con certezza che si tratta di un affare piuttosto importante» concluse Emily, terminando la sua narrazione con un seducente sorriso d’importanza.
«Ben fatto. Davvero brava, Emily» si complimentò Joey con sincerità, accendendole la sigaretta che si era appena portata alle labbra. «Mi avevano già detto del cibo, del carburante e dei medicinali, ma di quelle batterie non sapevo davvero nulla. È un’informazione piuttosto preziosa.»
«Lieta di avertela fornita» rispose tranquillamente Emily, osservandolo e sentendosi stranamente a proprio agio. Ormai aveva capito che Joey Goode non era un uomo che si sarebbe potuto definire perbene, ma non le importava. Che fosse un criminale, uno spacciatore oppure un contrabbandiere, Joey Goode per lei era innanzitutto un uomo elegante e gentile, e tutto il resto, messo a confronto con questa verità, perdeva immancabilmente di significato.
«Steve, ho bisogno di una mano!» tuonò Joey, e il vicesceriffo Corall comparve sulla soglia del salottino come un cane fedele attirato da un osso o, meglio ancora, da un biscotto.
«Ci sono. Dimmi tutto.»
«Raggiungi Jeff Turner e andate con la sua auto nei pressi della stazione ferroviaria. Ho bisogno che seguiate uno dei furgoncini blindati che usciranno di lì durante la notte e che mi diciate con esattezza dove si va a fermare e in quali punti della città distribuisce il carico.»
«Un carico di armi?»
«No. Qualcosa di molto più utile, suppongo. Qualcosa che tengono molto in considerazione, dunque è meglio scoprire dove va a finire. Mi raccomando: non fatevi beccare.»
«Senz’altro» confermò il vicesceriffo, e abbandonò in fretta il salottino per sparire in direzione dei garage.
«A cosa pensi che servano quelle batterie?» volle sapere Emily, soffiando fuori fumo attraverso le labbra bagnate di rossetto. Il suo viso illuminato dalle candele era davvero bello, considerò Joey guardandola. Tutto sommato, la totale assenza di energia elettrica non era poi così male. Il viso di Emily Cooper appariva molto più sensuale quando veniva rischiarato soltanto dalle fiammelle tremolanti delle candele, e di questo doveva essere grato all’Esercito e alla compagnia elettrica che si erano messi d’accordo per far precipitare nel buio l’intera Eglon.
«Non ne ho la minima idea. Di’ un po’, bella… Hai un ragazzo, fuori di qui?» le chiese direttamente, senza tanti giri di parole.
Emily arrossì e distolse lo sguardo per un secondo, schiacciando il mozzicone di sigaretta sul posacenere e rialzando gli occhi dopo un attimo di esitazione. «Ce l’avevo. Ma adesso mi sa che sono di nuovo libera.»
«Interessante» mormorò Joey, sorridendole. «Allora immagino che non gli dispiacerà…»
«Di che cosa?»
«Di questo.» E senza aggiungere altro le si avvicinò e la baciò, posando le proprie labbra sulle sue e cercando senza indugio la sua lingua per provarne il sapore. Inutile dire che la trovò assolutamente squisita.

lunedì 17 agosto 2015

Le Anime di Eglon - Prima Stagione - Episodio 26

«Dove vai, vecchio?» gli chiese Terry McCallister vedendolo avvicinarsi alla porta. Terry se ne stava seduto in cucina, vicino alla finestra che dava sul giardino, a fumare in silenzio. Sonny non aveva idea di dove si fosse procurato quelle sigarette, ma di sicuro ne doveva avere parecchie, perché se ne faceva fuori almeno sei al giorno. Non sapeva molto sul conto del padrone di casa, realizzò in quel momento, mentre stava per oltrepassare la soglia e uscire. Ma, d’altro canto, poco importava. Se non fosse stato per Terry, il buon vecchio Sonny sarebbe morto già da un pezzo.
«Vado a trovare un amico» rispose Sonny, come se si trattasse di una faccenda banale. Come se andare a trovare un amico, in una città ridotta nelle condizioni in cui versava Eglon, fosse un’azione ancora normale.
«Cerca di tornare prima che scatti il coprifuoco.»
«Quale coprifuoco?» sghignazzò Sonny, e uscì di casa chiudendosi la porta alle spalle.
Chissà come se la cava quel buono a nulla di Terence, pensò Sonny mentre attraversava il cortile della casa di Terry e si allontanava imboccando il marciapiede. Terence Duke era forse il figlio di buona donna più coriaceo e testardo che Sonny avesse mai conosciuto. Aveva fatto il poliziotto per oltre trent’anni, in servizio permanente a Eglon, e conosceva la città probabilmente meglio di chiunque altro, sindaco, sceriffo o contrabbandiere che fosse. Se c’era qualcuno che sapeva come uscire da quello schifo di situazione, quell’uomo era sicuramente Terence Duke. Ed era proprio a lui che Sonny intendeva rivolgersi, adesso, per chiedere consiglio su come muoversi.
Aveva trascorso fin troppi giorni nell’inattività, chiuso nella casa di Terry a respirare il fumo micidiale esalato dalle sue sigarette. Era ora di darsi un po’ da fare, di svegliarsi fuori. Si sentiva stanco, sconfitto e sfiduciato, e queste sensazioni tutte insieme non gli piacevano per niente. Aveva bisogno di riscattarsi, e l’unica cosa da fare era mettersi al lavoro per porre fine a quel disastro.
Che cosa potrà mai fare un vecchio contro tutta quella gente incazzata? Poco o niente, si rispose automaticamente. Ma quando avesse recuperato anche Terence allora sarebbero stati in due vecchi, e forse avrebbero potuto fare qualcosina di più.
Con questi propositi in testa, Sonny Dangerwood evitò accuratamente di passare per l’angolo della strada sorvegliato da un ribelle con un mitra imbracciato e deviò verso un’altra direzione, raggiungendo qualche minuto più tardi la facciata dell’abitazione di Terence Duke.
La porta era aperta, e il dettaglio fece saltare subito il cuore in gola a Sonny. Non era normale che la porta di Terence fosse aperta, perché l’ex poliziotto era sempre stato un maniaco della sicurezza e non avrebbe mai
(e sottolineo mai)
lasciato aperta la porta di casa, nemmeno se si fosse piazzato appena al di là dell’uscio con un fucile in mano.
Si avvicinò con circospezione all’entrata, guardandosi attorno per controllare che nessuno lo spiasse. Lanciò un’occhiata alla cucina dalla finestra, ma non intravide nulla di anomalo. Si diresse verso la soglia d’ingresso, preparandosi a scappare.
«Terence, sei in casa?» domandò, a voce abbastanza alta. Attese una risposta che non arrivò. Quando fu stufo di aspettare, spinse leggermente la porta per entrare e si bloccò sul gradino d’accesso, sconvolto dall’immagine del vecchio amico riverso sulla moquette lorda di sangue con il petto bucherellato.
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