«Avete finito di caricare il vagone
numero quattro?» volle sapere una voce sconosciuta, levandosi dal gruppo con il
tono di chi comanda.
«Mancano un paio di casse e siamo a
posto» rispose una seconda voce dal profilo più basso.
La segnalazione che era arrivata a
John Perkins, poliziotto della contea dell’Arkansas, parlava di movimenti sospetti nella campagna appena
fuori da Little Rock. Aveva subito chiamato Freddy, che come sempre si era
infilato in casa dell’amante, o meglio sotto le sue lenzuola, sebbene fosse in
servizio, e l’altro gli aveva risposto con voce trafelata e spazientita di
andarsene a fare in culo. John aveva replicato che non c’era nessun problema,
poteva anche coprirlo e cavarsela da solo, tanto doveva essere una cosa da
niente, ma se lo fossero venuti a sapere i loro superori avrebbe riversato su
di lui ogni responsabilità. Freddy, dall’altra parte della linea, aveva
riattaccato e si era rimesso a lavorare sulla cameriera venticinquenne che si
sbatteva da un paio d’anni all’insaputa della moglie.
Sbuffando irritato, John aveva preso
la sua volante e aveva abbandonato il parcheggio dell’ipermercato per andare a
dare un’occhiata alla zona in cui erano stati segnalati quei movimenti sospetti. Alla peggio, poteva
trattarsi di qualche contadino zuccone che si era messo a dar fuoco alle sterpaglie
senza prima avvisare i vicini. Non aveva bisogno di Freddy, per quel genere di faccende.
Adesso, l’agente John Perkins si
trovava immerso in una nube di fumo incredibilmente denso, impenetrabile.
Nessun tipo di sterpaglia poteva generare un fumo così. Non c’era fuoco che
avesse un odore come quello, e John cominciava a domandarsi se quella foschia
non fosse stata prodotta artificialmente.
Afferrò la radio che teneva appesa
alla cintura e l’accese, sintonizzandola sulla frequenza della polizia di
Little Rock. Una scarica statica gli suggerì che non avrebbe funzionato, ma
provò ugualmente e bisbigliò: «Qui è l’agente John Perkins. Mi trovo sul luogo
di una segnalazione, nella campagna a sud di Little Rock. Qui i movimenti sono ben più che sospetti. Credo che siano
stati adoperati dei fumogeni, ma non ne sono del tutto certo.» Niente, la radio
non dava segno di vita. Non riusciva a sintonizzarsi su alcuna frequenza, e
questo non gli piaceva affatto.
«Mi raccomando, con quei generatori.
Cercate di non sbatacchiarli troppo, ci servono funzionanti. Il vagone sette è
pronto?»
«Sì, signore. Il vagone sette è stato
chiuso, e anche il vagone otto.»
«Qui ai vagoni uno, due e tre non ci
sono problemi.»
«Bene, ci manca solo il quattro.
Datevi una mossa, abbiamo una tabella di marcia da rispettare.»
John si fece coraggio e avanzò di
qualche altro passo in mezzo alla fitta cortina di fumo, stringendo gli occhi
il più possibile per tentare di penetrare la nebbia cremosa che gli impediva di
scorgere i proprietari di quelle voci.
D’un tratto, il suo piede urtò
qualcosa. Portò subito gli occhi in direzione delle proprie scarpe e intravide
una lunga striscia metallica che sembrava essere stata sovrapposta a una serie
di assicelle di legno. Sembrava… Ma sì, era un binario!
«Vagone quattro pronto, possiamo
partire!» annunciò una voce stridula, emergendo dalla caligine.
«Ehi, un momento… E quello chi cazzo
è?»
John tirò su la testa, sorpreso, ed
ebbe appena il tempo di indovinare la sagoma della carrozza di un treno prima
di focalizzarsi sulla figura dell’uomo che correva nella sua direzione.
Uno sparo e finì tutto quanto.
L’agente John Perkins stramazzò sui binari con la testa fracassata da un colpo
di doppietta e il suo corpo venne rimosso rapidamente per permettere al treno
di partire.
LE
ANIME DI EGLON
PRIMA
STAGIONE
EPISODIO
25
IL
TRENO
Lo stridore dei freni invase l’aria di
Eglon come un improvviso sentore di terremoto. La gente per strada si volse a
guardare verso la stazione, quelli in casa si affacciarono alle finestre
spaventati. Ovunque, senza distinzione, vi fu un istante di fermento generale
dovuto all’inaspettata novità appena registrata. Dopodiché, così come si era
materializzata, la sorpresa scomparve dai volti degli abitanti di Eglon e si
lasciò sostituire nuovamente dalla diffidenza.
Una squadriglia di ribelli accorse
dagli angoli della via e prese posizione di fronte all’ingresso della stazione
ferroviaria, chiudendo le porte e ponendosi davanti a esse per impedire l’accesso.
Emily Cooper, inizialmente colta alla
sprovvista, fu la più veloce dei presenti a riprendersi. Non appena ebbe
realizzato che stava per succedere qualcosa di importante, si levò dalle
strisce pedonali senza badare al guidatore sceso dalla propria vettura per
urlarle dietro e conquistò in una manciata di secondi la staccionata di pietra
che separava il marciapiede dalle due file di binari all’ingresso della
stazione. Scavalcò la barriera senza farsi vedere e sgattaiolò in direzione dei
binari, raggiungendo l’entrata della stazione dalla quale era appena passato il
treno.
Non
devo farmi vedere, se si accorgono che sono qui mi cacciano fuori.
Si nascose dietro la parete e appoggiò
la schiena al muro, riprendendo fiato e cercando di calmarsi. Il suo ritmo
cardiaco aveva subito un’impennata brusca e vertiginosa, e adesso aveva bisogno
che si tranquillizzasse perché doveva riuscire a scoprire tutto ciò che
riguardava quel treno.
Gettò un’occhiata fugace ai vagoni
all’interno della stazione: erano dodici, dodici enormi carrozze sigillate con
tanto di numero applicato sulla fiancata. Un nutrito manipolo di uomini
mascherati si stava già assiepando attorno al convoglio con una serie di
carrelli di varie dimensioni. Più avanti, notò Emily, c’erano dei furgoni blindati
neri parcheggiati in fila con gli sportelli aperti.
Che cosa c’era in quei vagoni, e come
aveva fatto quel treno ad arrivare fino alla stazione della città barricata di
Eglon?
Emily tese l’orecchio e cercò di
mantenersi nascosta, buttando dentro qualche rapido sguardo di tanto in tanto.
Si respirava un certo fermento nell’aria, come se quel trasporto fosse stato
atteso per mesi.
Una voce attutita da una maschera di
silicone rimbombò d’un tratto in tutta la sala: «Fratello, sono felice di
vedere che ce l’avete fatta! Vi aspettavamo ore fa… Avete avuto problemi?»
«Niente di che, niente di che. Un
poliziotto ficcanaso è sbucato fuori dal nulla mentre finivamo di caricare il
vagone quattro. Per fortuna, lo abbiamo freddato in tempo» rispose una seconda voce,
più bassa e scomposta.
«Era solo?»
«Sì. Abbiamo dovuto controllare, prima
di partire. Sai, per essere scrupolosi. Aveva seguito una segnalazione arrivata
al comando di Little Rock intorno alle tre del mattino. Il suo collega era impegnato
a sbattersi l’amante, così lui ha risposto da solo alla chiamata. Credo che
l’altro passerà dei brutti guai, quando si accorgeranno di quello che è
successo.»
«Non è un problema nostro.
L’importante, per ora, è che il treno sia arrivato. Avete trovato la barricata
aperta?»
«Sì, tutto come da copione. Il segnale
partito dalla fattoria ha avvisato gli uomini del nostro arrivo. Hanno aperto
la barricata e lasciato passare il treno, poi l’hanno risistemata in fretta e
furia. Nessun intoppo.»
«Splendido. Benvenuti a Eglon, cari
amici» concluse allegramente la prima voce, e un applauso seguì l’ultima parola
in un crescendo quanto mai inquietante.
«Per quale assurda ragione hai sparato
a quei due tipi, eh?» saltò su Patrick Wieler, frantumando quel mezzo minuto di
imbarazzante silenzio che aveva lasciato a tutti quanti il tempo di riflettere.
«Dovevamo passare di là. Meglio farli
fuori ora, piuttosto che rischiare. Non so se lo avete notato, ma nove brutti
stronzi con le pistole infilate nei pantaloni danno un po’ nell’occhio»
considerò molto serenamente Frank, stringendosi nelle spalle.
«A questo punto, penso sia il caso di
sparire alla velocità della luce» valutò Brian Jones, sporgendosi di lato per
esaminare i cadaveri riversi sul vialetto di terra battuta.
«Già, adesso sono d’accordo anch’io»
approvò solennemente Jeff, girandosi dall’altra parte e facendo strada.
«Oltretutto, dobbiamo portarvi in un posto. Non possiamo fare aspettare troppo
a lungo le persone che dovete incontrare.»
«Parli del vicesceriffo Corall?»
chiese Phil.
«Non soltanto di lui. Quando saremo
arrivati capirete, è inutile che stia a spiegarvelo adesso.»
Si fermarono accanto ai due ribelli
uccisi e Frank si chinò per prendere le loro armi.
Jeremy Barton fece per togliere la
maschera a uno dei corpi distesi a terra, ma Jeff lo fermò posandogli una mano
sulla spalla e gli fece segno di no con la testa. «È inutile che controlli.
Sono americani. Niente arabi, niente asiatici. Cittadini statunitensi, proprio
come noi» spiegò, molto semplicemente. «Lascia perdere le maschere e
muoviamoci, prima di diventare carne da macello.»
Jeremy si rialzò e cercò gli sguardi
di Brian Jones e del vicesceriffo Wieler. Questi risposero con un cenno
d’assenso e il gruppo riprese a camminare verso l’estremità a est del parco.
«Discuteremo la questione non appena
saranno arrivati anche gli altri, Joey» intervenne il vicesceriffo Corall,
frapponendosi tra lui e Daniel Green.
Goode sorrise amabilmente: «Sono
d’accordo. Ci sarà molto di cui parlare.»
«Signor Goode! Signor Goode! Jeff Turner
è qui!» sbraitò la voce di un uomo proveniente dal corridoio che Daniel Green e
Steve Corall si erano lasciati alle spalle. Subito di seguito, come in un
vulcano di novità, nove uomini fecero il loro ingresso con espressioni scure e
tese. Due di loro, quelli in testa, impugnavano delle pistole, ma anche gli
altri sembravano portare con sé delle armi nascoste.
«Cominciamo con le presentazioni»
esordì Goode, abbracciando con un movimento delle mani l’intero locale che li
ospitava. «Benvenuti nella tana di Goode, signori vicesceriffi, poliziotti e
agenti dell’FBI. La tana che avreste
sempre sognato di scovare.»
Il vicesceriffo Wieler, imitato da
Jeremy e Phil, puntò immediatamente uno sguardo cupo e accusatorio in direzione
di Steve Corall, che inevitabilmente abbassò gli occhi sulle punte delle
proprie scarpe. Brian Jones e Gregory Donington ispezionarono rapidamente la
sala con un’occhiata esperta, mentre Stan e Robert rimasero immobili dietro a
Jeff e Frank ad aspettare che qualcuno prendesse finalmente la parola dopo la
tremenda frase ad effetto di Joey Goode.
Jeremy Barton passò in rassegna i
volti scavati dei colleghi intruppati dietro Steve Corall. Erano poliziotti con
i quali aveva condiviso ore di lavoro e chiacchierate amichevoli, di quando in
quando. Adesso parevano un esercito di zombie decimati da un’epidemia capace di
annientare persino la morte. Non osava neppure chiedersi che cosa avessero
visto e vissuto, in quelle ultime due settimane. Di certo, non dovevano
essersela passata troppo bene.
«Tu. Proprio tu, Steve. Proprio tu che
hai sempre odiato Goode e la sua banda… Come hai fatto ad allearti con
quest’uomo?» emerse finalmente la voce tritata di Patrick Wieler, elevandosi a
poco a poco d’intensità a ogni parola.
«Qui non si tratta più di giocare a
guardie e ladri, Patrick. Non siamo più poliziotti e criminali. Qui si tratta
di sopravvivere, e sotto questa
prospettiva siamo tutti cittadini di Eglon. Tutti vittime destinate al
massacro» replicò Steve Corall. Il vicesceriffo Wieler colse una leggera
stonatura nella voce del collega. Una stonatura di resa, in un certo senso.
Come se il suo amico fosse sul punto di gettare la spugna e crollare in un
angolo sotto le dure martellate del destino.
«Ma schierarti proprio con lui… Non me lo sarei mai aspettato, Steve. Non dopo
quello che è successo quel giorno. Non dopo quello che lo sceriffo ha passato!»
«Zitto, Patrick! Non ti permetto di
parlare in questo modo di Gordon e di quello che ha fatto! Tu non c’eri quel
giorno, Patrick. C’eravamo soltanto io, Jason e lo sceriffo. Non sai quello che
abbiamo passato, non sai quello che
siamo stati costretti a fare per coprire la fuga di Goode. Ma adesso la
situazione è diversa, e abbiamo bisogno di lui. Dei suoi informatori, dei suoi
uomini, delle sue armi e della sua protezione. Senza Joey Goode, a quest’ora io
e i miei uomini saremmo già morti. Se fosse stato per te, Patrick, non sapresti
nemmeno dove saremmo stati seppelliti.»
Il vicesceriffo Wieler si ammutolì,
con fare pensoso.
«Ad ogni modo, signori, penso sia
meglio iniziare a parlare di affari. Abbiamo qui Daniel Green, figlio del
sindaco, nostro nuovo compagno d’avventure» continuò Goode riprendendo la
parola. «Possiamo usarlo come esca per far fuori il sindaco, assieme a quel
sacco di letame di Victor Johnson.»
«Loro non c’entrano» lo contraddisse
Brian Jones, scuotendo il capo. «Sono solo pedine. Pedine minori,
insignificanti. Vuoi far saltare tutta la copertura per mangiarti un paio di
pedoni? Oh no, nossignore. Dobbiamo puntare al re, subito. Altrimenti rischiamo
di mandare tutto quanto all’aria.»
«A puttane!» saltò su Frank,
sghignazzando.
«Forse quest’uomo ha ragione, Joey»
approvò Jeff, squadrando Brian con una certa ammirazione.
«Posso sapere chi sei?» s’informò Joey
Goode, puntando lo sguardo su Brian per la prima volta da quando erano entrati.
«Brian Jones, agente sotto copertura
dell’FBI. Sono stato mandato qui dal
Bureau per indagare sulla pista di un possibile attentato terroristico. Direi
che ormai non hanno più bisogno delle mie informazioni, per individuare i piani
del nemico. L’attacco è sotto gli occhi di tutto il mondo.»
«Già, già. Allora, che cosa dicevi di
fare, mister FBI? Come conti di mettere
in scacco il re?»
«L’unica cosa da fare, ora come ora, è
muoversi il più segretamente possibile. In altri termini, non dobbiamo farci
beccare, di conseguenza è meglio evitare di uscire armati a sparare a destra e
a manca nella speranza di far fuori un capobanda invisibile. Dobbiamo giocare
d’astuzia e d’anticipo, solo così possiamo sperare di riportare a casa qualche
vittoria. Da quello che ho capito, il mio collega, qui, Gregory Donington, ha
una buona idea.»
Greg si ritrovò ad avere tutti gli
sguardi puntati su di sé. Aspettavano che parlasse. Prese un bel respiro e
partì: «La mia idea, come ha accennato Brian, si basa sulla teoria di una
controffensiva coperta. Che cosa significa? Significa innanzitutto niente
attacchi inutili, niente sprechi di uomini e munizioni per il raggiungimento di
obbiettivi inutili e insignificanti. Dobbiamo risalire al cuore del problema e
colpire con forza, concentrare su quell’unico punto tutte le nostre energie. E
il problema maggiore, in questa particolare situazione, è quello delle
comunicazioni.»
Joey Goode incrociò le braccia in
silenzio, attento alle parole di Gregory. Tutti gli altri stavano assorti ad
ascoltarlo, e un cenno d’intesa da parte di Brian Jones lo spinse a proseguire.
«Ristabilendo le comunicazioni potremmo
metterci in contatto con l’Esercito, con la sede dell’FBI di Little Rock, con il governo e con le alte sfere del
comando. Potremmo trasmettere le coordinate delle basi dei ribelli, indicare i
punti deboli delle loro difese, smascherare le loro strategie. Potremmo far
capire alla gente di fuori che cosa sta accadendo dentro queste barricate, e
aiutarci così a uscirne senza troppe perdite. Io propongo di ripristinare le
comunicazioni con l’esterno, di porre questo obiettivo in cima alla lista delle
priorità.»
Joey Goode attese qualche istante.
Quando ebbe finito di passare in rassegna tutti i presenti, si mise a battere
ironicamente le mani in un applauso canzonatorio. «Bravo, bravo. I miei
complimenti. E come conta di riuscirci, signor Donington?»
«Basterebbe localizzare uno dei jammer
e distruggerlo. In questo modo, avremmo una piccola area entro la quale
comunicare con l’esterno» saltò fuori Stan Payton, che fino a quel momento era
rimasto indietro e in silenzio ad ascoltare i discorsi degli altri.
«Come, prego?» domandò Goode,
sorpreso.
Stan si schiarì la voce, avanzando di
qualche passo. «Dicevo… Basterebbe eliminare uno dei jammer che hanno quasi
sicuramente adoperato per oscurare le comunicazioni. Così facendo, in
prossimità di quel jammer distrutto sarebbe possibile utilizzare il cellulare,
la radio, la connessione internet…»
«Che cosa sono questi jammer?» volle
sapere Goode, interessato.
«Dispositivi per il blocco del
segnale. L’Esercito dispone di versioni piuttosto potenti, ma il raggio non è
sufficientemente ampio da coprire un’intera città» illustrò Brian Jones,
altrettanto curioso di capire quale fosse la proposta di Stan.
«Certo, è vero. Ma, come mi ha fatto
notare il mio amico Robert,» proseguì, indicando il compagno della sua ex
moglie che se ne stava in disparte, «attivando numerosi jammer dislocati nei
punti chiave della città si potrebbe coprire l’intera superficie. Sarebbe come
prendere una cartina di Eglon e tracciare una serie di cerchi, intersecandoli
fino a rivestire tutta la mappa. I centri di questi cerchi sarebbero i luoghi
in cui sono stati posizionati i jammer.»
«È geniale!» commentò Gregory
Donington, entusiasta. «Basterebbe scoprire dove si trova uno di quei jammer e
potremmo contattare l’Esercito!»
«Sì, e per dire cosa? Che siamo chiusi
qui dentro? Che non abbiamo idea di chi siano questi uomini mascherati che
hanno preso possesso della città? Avanti, signori. È una cazzata» protestò contrariato
Joey Goode, battendo il pugno su un tavolo. «Dobbiamo puntare a togliere di
mezzo il sindaco, abbiamo suo figlio che può fare da esca!»
«Non vi aiuterò a uccidere mio padre!»
lo contraddisse Daniel Green, con voce tremante. «A fermarlo sì, ma non a ucciderlo.»
«Sono d’accordo con il ragazzo, Joey»
lo appoggiò Steve Corall. «Thomas Green è sempre stato un buon uomo, tutto
sommato. Non so che cosa gli sia preso, ma ammazzarlo non porterebbe a niente.
Dobbiamo riuscire piuttosto a comprendere quali siano le sue intenzioni e a
portarlo dalla nostra parte, negoziando. Un aiuto da parte sua sarebbe
quantomeno prezioso.»
«Chiamatemi fuori» ribatté Patrick
Wieler. «Non voglio saperne nulla dei vostri complotti. Io resto dell’idea che
il modo migliore per uscirne sia individuare ed eliminare uno di quei jammer.
Dunque sto dalla parte di Stan, e lo appoggerò assieme a tutta la mia squadra.»
Cercò un cenno di conferma da parte di Jeremy, Phil e Brian, e questi
annuirono.
«Anch’io aiuterò Stan, vicesceriffo
Corall. Perciò non contatemi tra i vostri» sentenziò Gregory Donington.
«Perfetto» acconsentì Joey Goode, con
aria di disprezzo. «Le nostre strade si dividono qui. Il gruppo è spaccato.
Cercate pure i vostri dispositivi fantasma, se ci tenete. Noi agiremo in
maniera più concreta e prenderemo il municipio. E alla fine vedremo chi
riuscirà a salvare Eglon.»
«D’accordo, cominciamo a scaricare»
disse finalmente la voce più forte e vigorosa, quella che doveva appartenere al
capogruppo. «Dobbiamo smistare i generi alimentari dei vagoni uno, due e tre
nei furgoni blindati e mandarli immediatamente al supermercato di Goldbert.
Forza, innanzitutto occupiamoci di quelli.»
«E i generatori?» volle sapere la seconda
voce, che sembrava provenire da un uomo senza maschera.
«I generatori sono sei, perciò ne
dobbiamo destinare uno alla Eglon Tower, uno al municipio, uno al negozio di
alimentari. Gli altri tre li metteremo da parte, nel caso in cui possano
tornarci utili. I nostri alloggi sono già provvisti di generatori autonomi,
dunque non ci saranno problemi.»
«Abbiamo anche i vagoni sette e otto
pieni d’acqua. Taniche da dieci litri, come pattuito. Non ci conviene
distribuirla dal negozio di Goldbert?»
«Una metà sì, ma l’altra metà la
voglio in municipio. La gente passerà di lì a prenderla, e noi la faremo
distribuire dagli uomini di Green e Johnson. Così potranno iniziare a parlare
alla popolazione in maniera più capillare.»
«Restano due vagoni di carburante, uno
di medicinali assortiti e un altro di munizioni. E poi c’è il vagone quattro»
riepilogò l’uomo senza maschera, andando probabilmente a memoria.
«Sì, lo so. Medicine e munizioni vanno
scaricate più tardi, mentre il carburante lo distribuiremo i prossimi giorni nei
principali incroci di Main Street. Avete anche sigarette?»
«Solo tre casse. Sono nel vagone
dodici, assieme alle munizioni.»
«Bene. Mi raccomando, tenete per
ultimo il vagone quattro. Voglio che venga aperto soltanto dalla squadra
autorizzata, e che nessun altro dei presenti ci vada a ficcare il naso.
Smisteremo il contenuto con calma, per non farci beccare.»
Emily, addossata alla parete esterna
della stazione, seguiva lo scambio di battute con estrema attenzione.
Informazioni come quelle potevano valere davvero molto, e quasi sicuramente lei
era l’unica civile ad essere riuscita a ottenerle. C’erano solo ribelli, dentro
alla stazione, e nessuno di loro immaginava che lei fosse in ascolto.
La prima cosa che le venne da pensare fu
che Joey sarebbe stato felicissimo di ricevere quelle notizie. Lo avrebbe
conquistato, illustrandogli il contenuto di quei dodici vagoni altrimenti
inspiegabili. Le mancava soltanto il vagone quattro, ma stava ancora aspettando
che trapelasse qualcosa.
In parole povere, i rivoluzionari si
erano fatti arrivare le scorte da fuori. Carburante, generatori di corrente,
cibo e acqua, medicine. Tutto ciò che serviva per tenere in piedi la città e resistere
all’assedio, insomma. Quello che adesso mancava alla popolazione e che loro, al
contrario del Governo che aveva deciso di tagliare l’accesso a ogni risorsa,
avrebbero distribuito gratuitamente.
Non c’era modo migliore di comprarsi
il favore del popolo, pensò Emily, che dargli da mangiare. In pochi giorni la
gente avrebbe cominciato a guardare in modo diverso quelle maschere armate che
giravano per le strade. Alcuni, forse, sarebbero arrivati addirittura ad
appoggiare la loro causa, come già stavano facendo il sindaco Green e quel
Victor Johnson.
Le cose sarebbero cambiate, nelle
prossime ore. E i rivoluzionari avrebbero potuto trarre soltanto vantaggi da
questi cambiamenti.
Ma adesso, più di tutto il resto, a
Emily interessava scoprire che cosa ci fosse nel vagone numero quattro. Voleva
correre da Joey e raccontargli del treno e di quello che conteneva, certo, ma
desiderava anche poter essere l’unica a sapergli dire che cosa ci fosse in quel
determinato vagone. Vista la segretezza con la quale gli stessi ribelli lo
trattavano, doveva contenere qualcosa di davvero molto, molto importante.
Qualcosa per cui forse Joey Goode le
sarebbe stato grato per sempre.
«Buone notizie, David!» annunciò
Maschera Bianca e Rossa, irrompendo nel supermercato attraverso la porta
lasciata aperta per far entrare luce. David e Gabriella, indaffarati a sistemare
alcuni vecchi scatoloni vuoti accatastati su uno scaffale, alzarono la testa e
lo fissarono curiosi. «Il treno è arrivato. Questo significa che il tuo negozio
potrà riaprire già da domani mattina, se tutto andrà bene!»
David si lasciò cadere per terra lo
scatolone che aveva appena sollevato. «Davvero?» chiese, incredulo. «Ma è una
notizia meravigliosa!» Si voltò a cercare l’approvazione di Gabriella e lei gli
rispose con il suo splendido sorriso luminoso, che parve rischiarare l’interno
semibuio del negozio molto meglio di quanto avrebbero potuto fare mille
lampadine assieme.
«Ci saranno molte faccende da sbrigare,
oggi. Forse dovremo lavorare tutta la notte» considerò il ribelle assestando
un’amichevole pacca sulla spalla al ragazzo, e lui annuì allegramente.
«Sono pronto.»
«Anch’io. Ce la faremo» confermò
Gabriella, e di nuovo il suo sguardo si intrecciò con quello di David e i due
rimasero per qualche secondo a guardarsi e a sorridersi in silenzio, parlandosi
senza aprire bocca.
Era il tramonto, ormai, e il viavai
all’interno della stazione ferroviaria di Eglon si era a poco a poco
affievolito, fino quasi a consumarsi. Emily Cooper, ancora nascosta dietro la
parete esterna dell’edificio da quella mattina, aveva le gambe doloranti e lo
stomaco che brontolava. Non aveva mangiato né bevuto niente per tutto il
giorno, ed era stata costretta a fare pipì dietro un cespuglio a pochi metri di
distanza dai binari. Oltretutto iniziava anche ad avere freddo, e non vedeva
l’ora di andarsi a sdraiare a letto e dimenticarsi di quella brutta giornata.
I ribelli non avevano fatto altro che
scaricare i vagoni dalla mattina alla sera e caricare i furgoncini blindati che
andavano e venivano senza sosta. Parevano instancabili, e francamente Emily si
domandava dove trovassero tutta quell’energia. In ogni caso, avevano ormai
finito di svuotare gli undici vagoni elencati, e all’appello mancava solamente
il quarto, ancora chiuso.
La voce del capogruppo, inconfondibile
in mezzo a quelle dei rivoluzionari che avevano lavorato nella stazione per
tutto il giorno, si levò nuovamente mentre il sole stava per calare
all’orizzonte, tingendo di rosso le nuvole basse. «D’accordo,» disse, «adesso
che siamo rimasti solo noi, possiamo aprire il vagone quattro e iniziare a
scaricarlo.»
Emily buttò un’occhiata dentro alla
stazione, illuminata da potenti riflettori alimentati da un generatore
autonomo, e tutto ciò che vide scendere dal vagone quattro fu un’immensa pila
di casse di legno stracolme di grosse batterie Duracell Plus di tipo D.
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