«Avete finito di caricare il vagone
numero quattro?» volle sapere una voce sconosciuta, levandosi dal gruppo con il
tono di chi comanda.
«Mancano un paio di casse e siamo a
posto» rispose una seconda voce dal profilo più basso.
La segnalazione che era arrivata a
John Perkins, poliziotto della contea dell’Arkansas, parlava di movimenti sospetti nella campagna appena
fuori da Little Rock. Aveva subito chiamato Freddy, che come sempre si era
infilato in casa dell’amante, o meglio sotto le sue lenzuola, sebbene fosse in
servizio, e l’altro gli aveva risposto con voce trafelata e spazientita di
andarsene a fare in culo. John aveva replicato che non c’era nessun problema,
poteva anche coprirlo e cavarsela da solo, tanto doveva essere una cosa da
niente, ma se lo fossero venuti a sapere i loro superori avrebbe riversato su
di lui ogni responsabilità. Freddy, dall’altra parte della linea, aveva
riattaccato e si era rimesso a lavorare sulla cameriera venticinquenne che si
sbatteva da un paio d’anni all’insaputa della moglie.
Sbuffando irritato, John aveva preso
la sua volante e aveva abbandonato il parcheggio dell’ipermercato per andare a
dare un’occhiata alla zona in cui erano stati segnalati quei movimenti sospetti. Alla peggio, poteva
trattarsi di qualche contadino zuccone che si era messo a dar fuoco alle sterpaglie
senza prima avvisare i vicini. Non aveva bisogno di Freddy, per quel genere di faccende.
Adesso, l’agente John Perkins si
trovava immerso in una nube di fumo incredibilmente denso, impenetrabile.
Nessun tipo di sterpaglia poteva generare un fumo così. Non c’era fuoco che
avesse un odore come quello, e John cominciava a domandarsi se quella foschia
non fosse stata prodotta artificialmente.
Afferrò la radio che teneva appesa
alla cintura e l’accese, sintonizzandola sulla frequenza della polizia di
Little Rock. Una scarica statica gli suggerì che non avrebbe funzionato, ma
provò ugualmente e bisbigliò: «Qui è l’agente John Perkins. Mi trovo sul luogo
di una segnalazione, nella campagna a sud di Little Rock. Qui i movimenti sono ben più che sospetti. Credo che siano
stati adoperati dei fumogeni, ma non ne sono del tutto certo.» Niente, la radio
non dava segno di vita. Non riusciva a sintonizzarsi su alcuna frequenza, e
questo non gli piaceva affatto.
«Mi raccomando, con quei generatori.
Cercate di non sbatacchiarli troppo, ci servono funzionanti. Il vagone sette è
pronto?»
«Sì, signore. Il vagone sette è stato
chiuso, e anche il vagone otto.»
«Qui ai vagoni uno, due e tre non ci
sono problemi.»
«Bene, ci manca solo il quattro.
Datevi una mossa, abbiamo una tabella di marcia da rispettare.»
John si fece coraggio e avanzò di
qualche altro passo in mezzo alla fitta cortina di fumo, stringendo gli occhi
il più possibile per tentare di penetrare la nebbia cremosa che gli impediva di
scorgere i proprietari di quelle voci.
D’un tratto, il suo piede urtò
qualcosa. Portò subito gli occhi in direzione delle proprie scarpe e intravide
una lunga striscia metallica che sembrava essere stata sovrapposta a una serie
di assicelle di legno. Sembrava… Ma sì, era un binario!
«Vagone quattro pronto, possiamo
partire!» annunciò una voce stridula, emergendo dalla caligine.
«Ehi, un momento… E quello chi cazzo
è?»
John tirò su la testa, sorpreso, ed
ebbe appena il tempo di indovinare la sagoma della carrozza di un treno prima
di focalizzarsi sulla figura dell’uomo che correva nella sua direzione.
Uno sparo e finì tutto quanto.
L’agente John Perkins stramazzò sui binari con la testa fracassata da un colpo
di doppietta e il suo corpo venne rimosso rapidamente per permettere al treno
di partire.