venerdì 11 dicembre 2015

Racconto nella rivista "Robot"

Buongiorno, mio Carissimo Lettore!
Ci tenevo a farti sapere che è uscito il nuovo numero della prestigiosa rivista di fantascienza Robot, e che all'interno c'è anche un mio breve racconto.
Si tratta di Fantasmi dal passato, una storia di duemila battute ispirata alla serie Trainville di Alain Voudì (Delos Digital).
Il mio contributo è stato selezionato nel corso di un contest, I vagoni di Trainville, promosso da Writers Magazine Italia, e si trova ora a pagina 96 del numero 76 di Robot, in versione digitale (link) e cartacea (link).
Ecco l'incipit:

Fuori dal finestrino scorreva la prateria. Dall'altra parte, all'interno dello scompartimento buio del vagone 54, nelle vene di John fluiva soltanto la paura.

lunedì 16 novembre 2015

Lacrime di Cenere - Volume 3: la copertina ufficiale

Ci siamo quasi, mio Carissimo Lettore: il nuovo Volume di Lacrime di Cenere è in piena fase di stesura. Conto di riuscire a pubblicarlo molto presto; in ogni caso, appena sarà possibile ti farò sapere la data d'uscita esatta.
Nel frattempo, per ingannare l'attesa, ecco in esclusiva la copertina ufficiale di Lacrime di Cenere - Volume 3: Sangue d'Autunno.

lunedì 28 settembre 2015

Le Anime di Eglon - Prima Stagione - Episodio 32

Una colonna di furgoncini blindati neri passò per Neighbour Street a tutta velocità, oltrepassando Stan Payton, che aspettava di attraversare la strada, e procedendo senza indugio verso Main Street.
La città stava per sprofondare un’altra volta nell’oscurità. L’energia elettrica era stata ripristinata soltanto nei punti chiave di Eglon, grazie ad alcuni generatori arrivati con il treno della settimana precedente. Così, l’ospedale e il supermercato dei Goldbert erano illuminati ventiquattro ore su ventiquattro, mentre le strade, subito dopo il tramonto, affondavano nelle tenebre più terrificanti che i cittadini di Eglon avessero mai avuto modo di sperimentare.
La giornata era stata incredibilmente densa di vicende importanti. Dopo l’assalto al ponte da parte dell’Esercito degli Stati Uniti, con il conseguente fallimento dell’attacco e la ritirata dei militari sotto i colpi dei mortai, era venuta l’ora delle esecuzioni.
Dei circa cinquanta soldati rimasti intrappolati in città, sedici avevano gettato le armi e giurato fedeltà ai ribelli, gli altri si erano fatti ammazzare e gettare nel fiume Arkansas. I sopravvissuti erano stati scortati nei pressi di un incrocio lungo Main Street, dove le sette unità speciali del Commando Alfa stavano per subire la pena di morte. Ma il comandante di questi ultimi aveva barattato con un’informazione la salvezza dei compagni, e alla fine era stato l’unico a venire giustiziato. Un ribelle aveva afferrato le estremità della corda che gli chiudeva il cappuccio sulla testa e aveva tirato, strangolando il militare. Poi Maschera Blu aveva dichiarato che i sei soldati scelti sarebbero stati rinchiusi in altrettante celle di massima sicurezza, e che anche i sedici soldati dell’esercito regolare avrebbero fatto la stessa fine: non ci si poteva fidare alla cieca di persone che avevano rinnegato il proprio Paese con tanta leggerezza, aveva spiegato, perciò era meglio saperli dietro le sbarre.
Ripensando a tutte queste cose assieme, al rumore degli spari che avevano lacerato il silenzio dell’alba e ai volti dei soldati condannati a una prigionia senza prospettive, Stan si sentì rabbrividire.
Ma aveva una missione da compiere, adesso, e doveva essere lucido. Quindi avrebbe fatto meglio a levarsi dalla testa tutti questi pensieri e concentrarsi sull’obiettivo.
Mente sveglia, cuore pronto, occhi spalancati. Dopo quest’operazione devo ritornare da Sarah, Michael e Christine. Non posso permettermi di morire qui, stanotte. Devo tornare da loro.
La sua famiglia non sapeva cosa stesse facendo. Aveva detto a Robert che sarebbe uscito a prendere una boccata d’aria, e l’uomo non aveva battuto ciglio. Dal suo sguardo si capiva che aveva intuito le reali intenzioni di Stan, ma preferiva fingere di non sapere nulla. «Buona fortuna» aveva sussurrato, e poi era rientrato in cucina per aiutare Sarah a preparare la cena.
Stan attraversò la strada sulle strisce pedonali, riuscendo a malapena a distinguere i profili dei lampioni, delle panchine e dei cestini per le immondizie, nonché quelli degli edifici e dei cartelli stradali. Era difficile muoversi a Eglon di notte, ultimamente. Nonostante questo, da quando l’elettricità era scomparsa c’era più movimento. Spacciatori, venditori di merce di contrabbando, gente curiosa che gironzolava con le mani in tasca. Ribelli mascherati che se ne fregavano di queste persone e si limitavano a controllare che l’ordine generale fosse comunque rispettato.
«Sono qui. Andiamo» annunciò sottovoce ai tre uomini che lo aspettavano in fondo al marciapiede. Greg Donington, Brian Jones e Jeremy Barton confermarono con un muto cenno d’assenso. Sollevarono il braccio per avvisare il vicesceriffo Wieler e gli altri quattro poliziotti dell’inizio dell’operazione. Infine, con molta calma, si avviarono verso il palazzo buio nel quale Jeff Turner, poche sere prima, aveva visto entrare alcuni rivoluzionari con delle casse piene di batterie.

lunedì 21 settembre 2015

Le Anime di Eglon - Prima Stagione - Episodio 31

«E adesso, signore?» bisbigliò uno degli ufficiali alle sue spalle. Ma il comandante Smith non lo sentì. I suoi uomini erano agitati, si spostavano da un piede all’altro in attesa del suo segnale. Lui, però, non riusciva ad aprire bocca. Non riusciva più a parlare. Non sapeva che cosa dire, ma tutti quei soldati dipendevano da lui. Dalle parole che sarebbero uscite attraverso le sue labbra nei prossimi istanti.
Un grosso blocco di cemento e asfalto lacerato dall’esplosione si staccò dal mezzo metro di ponte rimasto prodigiosamente appiccicato alla riva orientale del fiume. Il frammento di pietra precipitò al rallentatore nella mente di Smith, compiendo nell’aria movimenti di pochi centimetri alla volta. Finché alla fine non scomparve, rigettando nell’aria, come unico segnale del proprio arrivo, il rumore del tonfo prodotto nel momento in cui raggiunse il pelo dell’acqua e vi si immerse.
«Fuoco!» aveva appena urlato un ribelle dall’altra parte del fiume, e la sua voce alterata da un megafono investì i soldati dell’Esercito degli Stati Uniti come un’ondata di piena.
Ma ancora non erano incominciati gli spari. Il nuvolone di fumo nero innalzatosi dall’esplosione del ponte era stato disperso, spazzato via dal vento. Le urla degli uomini precipitati nel fiume assieme ai resti del viadotto si erano spente in fretta. Adesso rimanevano il vuoto e il silenzio a fare da cornice a quello scenario spietato, alla fotografia scattata oltre quel tratto di barricata infranta. I militari americani, con le armi impugnate e i volti scolpiti nella carne dalle mani del terrore, si stringevano in un gruppo compatto e agitato, circondati da quella moltitudine di maschere variopinte che li tenevano sotto tiro. I carri armati, immobili come moderne statue totemiche di un’era macchiata di sangue, lasciavano presagire con la loro sola presenza quello che sarebbe successo di lì a poco.
«Signore, che cosa dobbiamo fare?» insistette l’ufficiale alle spalle del comandante Smith, la voce sempre più fievole e incrinata.
Il capo dei ribelli aveva già berciato il suo ordine, quel «Fuoco!» che aveva spinto i soldati intrappolati sul suolo della città di Eglon a richiudersi in un drappello più omogeneo. Ma erano poche decine di uomini isolati e spaventati, messi di fronte a una moltitudine di bestie senza volto e senza umanità che li avrebbero macellati alla stregua di sanguinolenti pezzi di carne disossata. Nessuno aveva ancora premuto il grilletto, ma era questione di qualche istante prima che l’esecuzione spruzzasse di sangue la corrente limpida del fiume Arkansas.
Esitavano, e Smith non riusciva a capire perché. I suoi uomini stavano immobili, le mitragliatrici spianate, pronti a morire per quella pace e quella libertà che speravano di portare alla città di Eglon, e che invece era stata affondata con le macerie del ponte distrutto.
Ma, soprattutto, non riusciva a capacitarsi di quello che era accaduto. Pareva che filasse tutto per il verso giusto. Il Commando Alfa era penetrato in città e aveva fatto saltare dall’interno un tratto della barricata. Il ponte era preso, il passaggio si presentava libero, e non rimaneva che trasferire le truppe da un versante all’altro e intraprendere le prime fasi di una lenta ma vittoriosa riconquista.
Che cosa era andato storto, maledizione?
«Signore, attendiamo ordini. Dobbiamo fare qualcosa… ritirarci, perlomeno» perseverò l’ufficiale dietro di lui, che ancora non aveva udito alcuna risposta da parte del superiore.
«Fuoco!», aveva urlato quel ribelle con il megafono. E i fucili non cantavano, le pistole non gridavano, gli uomini non morivano. Che cosa stava capitando?
Un fischio acuto e penetrante, sibilato da immense labbra screpolate, si impadronì dell’aria e del silenzio con un abile colpo di mano, incenerendo ogni incertezza e trasformando l’attesa e l’esitazione nella prospettiva di un bagno di morte.
Il cielo plumbeo, nuvoloso, che scaricava la sua pioggia debole e irritante sulla città di Eglon, fu solcato da un’infinità di profonde artigliate scure. E solo quando i mortai lanciarono il secondo attacco il comandante Smith si riprese e ordinò bruscamente la ritirata.

lunedì 14 settembre 2015

Le Anime di Eglon - Prima Stagione - Episodio 30

Le labbra dell’uomo si lasciano sfuggire uno sbuffo di fumo che va a mescolarsi rapido con l’aria che respirano, imbevendola di un odore acre e penetrante.
L’ultima sigaretta di un soldato prima di scendere al fronte. Quella sigaretta che a ogni buon soldato è giusto concedere, quando non sa se tornerà vivo per l’ora di cena. L’ultima sigaretta della quiete che precede la tempesta, fumata con la consapevolezza del fatto che potrebbe essere l’ultima in assoluto di un’intera esistenza.
Anche il vizio, tutto sommato, si prende il suo spazio quando la morte incombe. In fondo, si potrebbe quasi dire che ha il diritto di farlo. Si tratta di un rito puro e semplice, compiuto con il massimo della freddezza e del distacco per allontanare il più a lungo possibile il momento dello scontro. Quasi che il fumo che esce dalla sigaretta, annebbiando la vista, possa nascondere il campo di battaglia ancora pulito. Un campo di battaglia che, si sa, prima di sera diventerà una distesa di sangue e resti umani.
È quasi l’alba, e i soldati fumano la loro ultima sigaretta. Gli unici a non farlo in tutto il campo sono probabilmente Tom Davis e il comandante Smith. Non si sentono fuori posto per questo. Niente affatto. Non avvertono il peso della morte sulle proprie spalle, e non percepiscono il bisogno di dire addio alla vita con quel piccolo gesto d’umanità palpitante proprio di un corpo ancora caldo.
L’alba si avvicina, e la mattinata si prospetta nuvolosa. Quasi sicuramente pioverà. Ma sarà una pioggerellina leggera, sottile, che picchietterà debolmente sui tetti di Eglon e sugli elmetti dei soldati. I soldati in marcia, quella distesa di uomini che fumano la loro ultima sigaretta in attesa di imbracciare il fucile e correre a conquistare la prima linea.
La battaglia sarà sanguinosa. Finalmente, però, il morale degli uomini sembra essersi risollevato. D’altro canto, sono tutti soldati: sono lì per combattere, non per passare le giornate a fumare e giocare a carte in un accampamento poco lontano da casa. L’assedio è terminato. Le alte sfere hanno dato l’okay: adesso è possibile attaccare. Anzi, meglio ancora: adesso bisogna attaccare!
È il momento buono, non si può sprecare un’occasione così propizia. Aprire una breccia nelle barricate di Eglon e penetrare in città rappresenta la priorità assoluta della giornata. Poi il conflitto si sposterà nelle strade, lungo i quartieri, dentro i palazzi e le case. La parte più difficile sarà evitare di coinvolgere i civili, ma lo stesso Presidente ha ammesso che il costo di vite umane già pagato è fin troppo alto per sopportare ancora. È necessario agire, ora, anche con il rischio di sacrificarne pochi per il bene di molti.
Il discorso tenuto dal Segretario della Difesa pochi minuti prima, via radio, è stato ascoltato con trasporto dalle truppe. Le parole chiave sono state brevi e concise: proteggere i civili, eliminare i ribelli, riprendere la città. L’obiettivo è uno e uno soltanto, dall’inizio alla fine delle operazioni militari: liberare Eglon dalla presenza dei rivoluzionari, per assicurare pace e sicurezza rinnovate a una popolazione che ha dovuto subire fin troppe atrocità.
«Soldati» parla finalmente il comandante Smith, vedendo che quasi tutte le sigarette sono ormai state esaurite. Gli uomini si radunano rapidamente attorno al loro superiore e si pongono in ascolto, muti e tesi. «Soldati. È tempo di combattere. Ci è stato ordinato direttamente dal Presidente degli Stati Uniti di riprenderci questa città americana in suolo americano, una città in cui vivono i nostri fratelli e le nostre sorelle, nostri connazionali che hanno piena fiducia in noi. Oggi dobbiamo essere baluardo della loro salvezza, realizzazione della loro speranza, vessillo della loro libertà! Siete soldati dell’Esercito degli Stati Uniti d’America: non dimenticatelo mai, soprattutto quando vi troverete a dover lottare lungo quelle strade per garantire la sopravvivenza vostra o dei vostri concittadini. Siate uomini d’onore, uomini di coraggio. Siate le stelle e le strisce sulla bandiera della libertà! E se darete il massimo di voi stessi, questa notte ci addormenteremo sereni tra le case di Eglon!»

lunedì 7 settembre 2015

Le Anime di Eglon - Prima Stagione - Episodio 29

«William…» biascicò il comandante Smith varcando la soglia della tenda. Il suo vice stava sdraiato per terra e due paramedici gli si affaccendavano attorno. Rivolse al comandante un mezzo sorriso amaro e strinse i denti per sopportare il dolore. Gli stavano ricucendo una profonda lacerazione sulla gamba, e Smith pensò che dovesse fare un male d’inferno.
«Sono tutti morti, signore. Tutti tranne il soldato Davis. È riuscito a tornare e fare rapporto?» pigolò Gray, visibilmente sofferente.
«Sì, Tom è tornato. Mi ha già raccontato tutto. Come sei riuscito a fuggire dalla fattoria dei Gallagher?» volle sapere Smith, terribilmente preoccupato.
Quando Tom Davis gli aveva riferito quello che era successo, aveva creduto che il suo vice fosse morto. Gli dispiaceva di aver perduto William Gray, perché era un uomo leale, uno che sapeva il fatto suo. Senza di lui l’assedio alla città di Eglon sarebbe stato insostenibile. Invece, adesso, eccolo qui. Un po’ ammaccato, ma ancora vivo. A poche ore dal fallimento della missione, William Gray era riuscito a ritornare tutto intero al campo.
«Quando ho visto che la situazione si metteva male, e che tutti i miei uomini erano morti, mi sono fiondato in mezzo ai campi e ho cominciato a correre come non ho mai corso prima in vita mia. Non sapevo in che direzione stavo andando, mi sono limitato a continuare a correre.
«Dietro di me sentivo le raffiche degli spari farsi sempre più fievoli. Eppure, allo stesso tempo, ero certo che mi stessero inseguendo. Sapevo che non mi avrebbero lasciato andare così, senza perlomeno tentare di acciuffarmi.
«E poi, sapevo che il soldato Davis si trovava ancora all’interno della camionetta. Attirando la loro attenzione su di me, potevo permettergli di fuggire. Così, prima di sparire in mezzo ai campi, ho scaricato alle mie spalle la pistola d’ordinanza. Credo di averne beccato uno, prima di gettare a terra la pistola e pensare solo a correre. Ma non ne sono del tutto sicuro. Magari, è stata solo un’impressione.
«Ho continuato a correre per almeno due ore, anche se i muscoli delle gambe strillavano pietà, anche se l’aria faticava a entrarmi nei polmoni. Il rumore degli spari si è esaurito dopo mezz’ora, ma io ho continuato a correre. Perché sapevo che mi stavano inseguendo. Sapevo che mi avrebbero dato la caccia, questo era inevitabile.
«Ho raggiunto una fattoria al calar del sole. Non so a chi appartenesse, ma mi ci sono infilato dentro e ho trovato il soggiorno imbrattato di sangue. Erano passati di lì. E ci stavano ritornando per prendermi. Io non avevo più la mia pistola, e tutte le armi di riserva si trovavano nella camionetta. Ma avrei venduto cara la pelle. Sissignore, non mi sarei fatto prendere tanto facilmente.
«Mi sono nascosto dietro la porta d’ingresso e ho aspettato, con il coltello stretto nella mano. Loro sono arrivati dieci minuti dopo, a bordo di un furgone. Sono scesi in quattro e si sono sparpagliati per scovarmi e catturarmi. Il primo è entrato dalla porta principale: gli ho lasciato il tempo di superare la soglia e poi gli ho infilato il coltello nel collo. Aveva addosso una maschera.
«Avrei potuto aspettarli e farli fuori uno a uno, ma era troppo rischioso. Ho preso la pistola del ribelle morto e sono partito di corsa, cercando di orientarmi alla bell’e meglio con le stelle. Ma uno di quei bastardi mi ha visto ed è partito all’inseguimento. Ha sparato e mi ha preso la spalla. Il tempo di voltarmi e mi era addosso, ha sfoderato un coltello e me l’ha piantato nella gamba. L’ho buttato a terra e gli ho sottratto il coltello. Sono stato più veloce e preciso di lui, e gliel’ho conficcato nel petto. Poi l’ho lasciato lì e mi sono costretto a zoppicare fino al campo.»
«Adesso il vicecomandante deve riposare, signore…» lo avvisò uno dei dottori, iniettando del sonnifero nel braccio di Gray, il quale chiuse gli occhi e sprofondò in un sonno inquieto.
«Per quanto tempo dovrà stare a letto?» s’informò il comandante Smith, abbattuto.
«Non saprei dire, signore. Sembra sia stato lacerato soltanto un muscolo, ma dobbiamo ancora capire l’entità del danno. Forse non si potrà muovere per un po’.»
Il comandante Smith annuì gravemente e uscì dalla tenda del suo vice, sospirando.

lunedì 31 agosto 2015

Le Anime di Eglon - Prima Stagione - Episodio 28

Stan Payton uscì all’aperto per prendere una boccata d’aria e squadrò rapidamente i contorni scuri del quartiere, passando in rassegna i profili degli edifici bui e proseguendo nelle tenebre, fino al punto in cui Main Street scompariva in un oceano nero sul quale sarebbe stato impossibile navigare.
Era tutto calmo, lì fuori. Come se il mondo fosse finito e lui fosse precipitato in una bizzarra realtà post-apocalittica. L’aria era rarefatta, immobile, gli unici rumori percepibili erano i fruscii di movimenti poco sospetti che provenivano da lontano. Non dovevano essere automobili, valutò Stan, perché di benzina non ce n’era più. E probabilmente non erano neppure fontane, perché l’acquedotto non portava più acqua a Eglon, e nemmeno il ronzio dei lampioni, perché l’erogazione di elettricità era stata bruscamente interrotta. Per tutti questi motivi, quei fruscii non parevano essere provocati da esseri umani; il che rendeva l’ambiente ancora più morto e desolato agli occhi di Stan.
Respirò profondamente e sondò ancora una volta lo scenario circostante. Ci dovevano essere sicuramente delle persone, lì da qualche parte. I rivoluzionari, per esempio, che ogni notte pattugliavano scrupolosamente le strade. Oppure qualche cittadino uscito a fumare o a portare a spasso il cane. Era impossibile che lui fosse l’unico fuori casa, in una città di quarantamila abitanti!
Sospirò e lasciò perdere. La pistola gli premeva ancora contro il fianco, implacabile, come un tizzone rovente infilato nella tasca dei pantaloni. Non poteva gridare. Non poteva buttare fuori tutta la tensione che si era accumulata dentro di lui in quelle ultime ore, perché altrimenti sarebbe successo il finimondo. Nessuno doveva sapere che quella pistola era ancora nascosta nei suoi pantaloni. Perché se i ribelli lo avessero saputo… anzi no, meglio ancora, se Sarah lo avesse saputo, allora lui avrebbe dovuto incominciare a temere seriamente per la propria incolumità.
Erano andati tutti a dormire, ma malgrado la stanchezza Stan non era ancora riuscito a prendere sonno. Forse perché il rapporto tra lui e il suo vecchio divano non si era ancora ricucito a sufficienza. Più probabilmente perché aveva un sacco di cose per la testa a cui pensare, prima fra tutte la riunione di quella mattina nel covo segreto di Joey Goode. Gli elementi più importanti della controrivoluzione si trovavano là dentro con lui, in quell’occasione, e aveva avuto modo di conoscerli, di studiarli e di scegliere da quale parte stare. Ma la situazione non era delle più felici, e Stan se ne rendeva conto. C’era mancato poco che non scoppiasse una guerra civile in scala ridotta, all’interno di quel salone: era una fortuna che nessuno fosse passato alle mani, e che la soluzione finale fosse stata individuata in maniera pacifica.
Adesso, la chiave di tutta l’operazione era riuscire a localizzare uno dei jammer di cui aveva parlato quella mattina. Sperava di non sbagliarsi. Sperava che Robert sapesse il fatto suo, e che i loro nuovi amici poliziotti non passassero dei guai per colpa di una supposizione infondata. Ma, d’altro canto, a questo punto occorreva rischiare. Non c’erano garanzie di vittoria, ma la posta in gioco era davvero alta e bisognava agire al meglio. Le sorti di Eglon e dei suoi abitanti dipendevano da un pugno di uomini e da un’idea. Sperava con tutto il cuore che l’intuizione si rivelasse esatta.
Un fruscio più forte degli altri, alla sua destra, crebbe improvvisamente d’intensità. Stan girò la testa in quella direzione e intravide nell’oscurità la sagoma nera di una vettura che procedeva con i fari spenti. L’automobile lo superò piano e tutto d’un tratto si bloccò in mezzo alla strada. La portiera del passeggero si aprì e il vicesceriffo Steve Corall buttò fuori un’occhiata per accertarsi che la zona fosse pulita. Jeff Turner si affrettò a compiere una manovra di parcheggio sbrigativa e scese assieme al poliziotto, incamminandosi verso Stan che li guardava avanzare con il cuore in gola.

lunedì 24 agosto 2015

Le Anime di Eglon - Prima Stagione - Episodio 27

«Hanno caricato i furgoni con le casse, ma non li hanno fatti partire subito. Sono ancora là, spenti, in attesa di un qualche segnale. Forse vogliono aspettare che sia notte fonda per smistare tutte quelle batterie. Non sono riuscita a scoprire quali siano le loro destinazioni, ma dalla segretezza delle operazioni posso affermare con certezza che si tratta di un affare piuttosto importante» concluse Emily, terminando la sua narrazione con un seducente sorriso d’importanza.
«Ben fatto. Davvero brava, Emily» si complimentò Joey con sincerità, accendendole la sigaretta che si era appena portata alle labbra. «Mi avevano già detto del cibo, del carburante e dei medicinali, ma di quelle batterie non sapevo davvero nulla. È un’informazione piuttosto preziosa.»
«Lieta di avertela fornita» rispose tranquillamente Emily, osservandolo e sentendosi stranamente a proprio agio. Ormai aveva capito che Joey Goode non era un uomo che si sarebbe potuto definire perbene, ma non le importava. Che fosse un criminale, uno spacciatore oppure un contrabbandiere, Joey Goode per lei era innanzitutto un uomo elegante e gentile, e tutto il resto, messo a confronto con questa verità, perdeva immancabilmente di significato.
«Steve, ho bisogno di una mano!» tuonò Joey, e il vicesceriffo Corall comparve sulla soglia del salottino come un cane fedele attirato da un osso o, meglio ancora, da un biscotto.
«Ci sono. Dimmi tutto.»
«Raggiungi Jeff Turner e andate con la sua auto nei pressi della stazione ferroviaria. Ho bisogno che seguiate uno dei furgoncini blindati che usciranno di lì durante la notte e che mi diciate con esattezza dove si va a fermare e in quali punti della città distribuisce il carico.»
«Un carico di armi?»
«No. Qualcosa di molto più utile, suppongo. Qualcosa che tengono molto in considerazione, dunque è meglio scoprire dove va a finire. Mi raccomando: non fatevi beccare.»
«Senz’altro» confermò il vicesceriffo, e abbandonò in fretta il salottino per sparire in direzione dei garage.
«A cosa pensi che servano quelle batterie?» volle sapere Emily, soffiando fuori fumo attraverso le labbra bagnate di rossetto. Il suo viso illuminato dalle candele era davvero bello, considerò Joey guardandola. Tutto sommato, la totale assenza di energia elettrica non era poi così male. Il viso di Emily Cooper appariva molto più sensuale quando veniva rischiarato soltanto dalle fiammelle tremolanti delle candele, e di questo doveva essere grato all’Esercito e alla compagnia elettrica che si erano messi d’accordo per far precipitare nel buio l’intera Eglon.
«Non ne ho la minima idea. Di’ un po’, bella… Hai un ragazzo, fuori di qui?» le chiese direttamente, senza tanti giri di parole.
Emily arrossì e distolse lo sguardo per un secondo, schiacciando il mozzicone di sigaretta sul posacenere e rialzando gli occhi dopo un attimo di esitazione. «Ce l’avevo. Ma adesso mi sa che sono di nuovo libera.»
«Interessante» mormorò Joey, sorridendole. «Allora immagino che non gli dispiacerà…»
«Di che cosa?»
«Di questo.» E senza aggiungere altro le si avvicinò e la baciò, posando le proprie labbra sulle sue e cercando senza indugio la sua lingua per provarne il sapore. Inutile dire che la trovò assolutamente squisita.

lunedì 17 agosto 2015

Le Anime di Eglon - Prima Stagione - Episodio 26

«Dove vai, vecchio?» gli chiese Terry McCallister vedendolo avvicinarsi alla porta. Terry se ne stava seduto in cucina, vicino alla finestra che dava sul giardino, a fumare in silenzio. Sonny non aveva idea di dove si fosse procurato quelle sigarette, ma di sicuro ne doveva avere parecchie, perché se ne faceva fuori almeno sei al giorno. Non sapeva molto sul conto del padrone di casa, realizzò in quel momento, mentre stava per oltrepassare la soglia e uscire. Ma, d’altro canto, poco importava. Se non fosse stato per Terry, il buon vecchio Sonny sarebbe morto già da un pezzo.
«Vado a trovare un amico» rispose Sonny, come se si trattasse di una faccenda banale. Come se andare a trovare un amico, in una città ridotta nelle condizioni in cui versava Eglon, fosse un’azione ancora normale.
«Cerca di tornare prima che scatti il coprifuoco.»
«Quale coprifuoco?» sghignazzò Sonny, e uscì di casa chiudendosi la porta alle spalle.
Chissà come se la cava quel buono a nulla di Terence, pensò Sonny mentre attraversava il cortile della casa di Terry e si allontanava imboccando il marciapiede. Terence Duke era forse il figlio di buona donna più coriaceo e testardo che Sonny avesse mai conosciuto. Aveva fatto il poliziotto per oltre trent’anni, in servizio permanente a Eglon, e conosceva la città probabilmente meglio di chiunque altro, sindaco, sceriffo o contrabbandiere che fosse. Se c’era qualcuno che sapeva come uscire da quello schifo di situazione, quell’uomo era sicuramente Terence Duke. Ed era proprio a lui che Sonny intendeva rivolgersi, adesso, per chiedere consiglio su come muoversi.
Aveva trascorso fin troppi giorni nell’inattività, chiuso nella casa di Terry a respirare il fumo micidiale esalato dalle sue sigarette. Era ora di darsi un po’ da fare, di svegliarsi fuori. Si sentiva stanco, sconfitto e sfiduciato, e queste sensazioni tutte insieme non gli piacevano per niente. Aveva bisogno di riscattarsi, e l’unica cosa da fare era mettersi al lavoro per porre fine a quel disastro.
Che cosa potrà mai fare un vecchio contro tutta quella gente incazzata? Poco o niente, si rispose automaticamente. Ma quando avesse recuperato anche Terence allora sarebbero stati in due vecchi, e forse avrebbero potuto fare qualcosina di più.
Con questi propositi in testa, Sonny Dangerwood evitò accuratamente di passare per l’angolo della strada sorvegliato da un ribelle con un mitra imbracciato e deviò verso un’altra direzione, raggiungendo qualche minuto più tardi la facciata dell’abitazione di Terence Duke.
La porta era aperta, e il dettaglio fece saltare subito il cuore in gola a Sonny. Non era normale che la porta di Terence fosse aperta, perché l’ex poliziotto era sempre stato un maniaco della sicurezza e non avrebbe mai
(e sottolineo mai)
lasciato aperta la porta di casa, nemmeno se si fosse piazzato appena al di là dell’uscio con un fucile in mano.
Si avvicinò con circospezione all’entrata, guardandosi attorno per controllare che nessuno lo spiasse. Lanciò un’occhiata alla cucina dalla finestra, ma non intravide nulla di anomalo. Si diresse verso la soglia d’ingresso, preparandosi a scappare.
«Terence, sei in casa?» domandò, a voce abbastanza alta. Attese una risposta che non arrivò. Quando fu stufo di aspettare, spinse leggermente la porta per entrare e si bloccò sul gradino d’accesso, sconvolto dall’immagine del vecchio amico riverso sulla moquette lorda di sangue con il petto bucherellato.

domenica 12 luglio 2015

Japanimando, numero 49


Buongiorno, mio Carissimo Lettore!
Oggi ti scrivo per farti sapere che nel nuovo numero di "JAPANIMANDO", webzine gratuita che si occupa di fantastico (fantasy, fantascienza e horror in tutte le loro sfaccettature), le pagine 14-15-16 sono interamente dedicate a me, a Scrivere Sotto la Luna e ai suoi progetti, nonché alla serie Lacrime di Cenere e al nuovo racconto La danza dei morti.
Puoi scaricare l'intero numero della webzine (numero 49) a questo link, gratuitamente: JAPANIMANDO 2015-2016.

martedì 7 luglio 2015

La danza dei morti (Delos Digital, collana "Chew-9", a cura di Franco Forte)

Ci siamo, mio Carissimo Lettore: da oggi è disponibile in tutti i principali store il mio racconto lungo di fantascienza "La danza dei morti", edito da Delos Digital nella collana "Chew-9", a cura di Franco Forte. Di seguito un breve abstract, la sinossi e i link alle pagine d'acquisto negli store più importanti.

Alla Elektrica denaro, sesso e droga danzano a braccetto nel silenzio di una notte eterna. Ma la danza dei ricchi e potenti sta per trasformarsi in una danza di morti...

La Elektrica, la più grande discoteca intergalattica mai costruita, troneggia sulla piccola luna di Celos, nel cuore di un'imponente fortezza di pietra e acciaio eretta ai bordi di una sconfinata città di baracche. Dentro, lo sfarzo e la ricchezza dettano il ritmo delle danze. Fuori, povertà e malattie seminano morte per ogni dove. Alecs Di Iodio, un "self-made-man" venuto dalla strada, mette piede per la prima volta in questa violenta contraddizione. Vittima di un'inguaribile bruttezza, è in cerca soltanto di un'occasione per sentirsi accettato. E per un attimo riesce a trovarla, quando una bellissima donna lo prende per mano e lo conduce con sé in un mondo fatato, finché il Chew-9 non si intromette, sovvertendo gli equilibri...


mercoledì 17 giugno 2015

Il primo racconto con Delos Digital

Buondì, mio Carissimo Lettore!
Gli ultimi giorni hanno portato con sé una novità molto interessante, e voglio renderti partecipe: un mio racconto di fantascienza è stato accettato per la pubblicazione dalla casa editrice Delos Digital, costola digitale di Delos Books, diretta da Franco Forte (editor e autore Mondadori).
Oggi ho dunque sottoscritto il contratto editoriale con Delos Digital per la pubblicazione del racconto in questione, intitolato La danza dei morti, all'interno della collana fantascientifica Chew-9, ideata dallo stesso Franco Forte.
La danza dei morti uscirà in edizione ebook in tutti i principali store online già martedì 7 luglio. Sarà il numero 35 della collana, ma si tratta comunque di un racconto autoconclusivo.
Ti terrò al corrente sugli sviluppi, nel frattempo ti invito a dare un'occhiata alla serie Chew-9 per farti un'idea più precisa: ne vale davvero la pena.
Ecco il link alla pagina della collana nel Delos Store:

venerdì 22 maggio 2015

Lacrime di Cenere - Volume 2: A Un Passo dalla Vita

Il giorno è arrivato, mio Carissimo Lettore: il Volume 2 di Lacrime di Cenere, A Un Passo dalla Vita, è da oggi disponibile su Amazon in formato eBook, a soli 0,99 euro!
Ecco il link alla pagina d'acquisto ufficiale, basta premere il titolo qui sotto per iniziare il viaggio...
Ma mi raccomando, tieniti forte: la storia di Pietro non è facile da affrontare, e molti pericoli attendono nell'ombra, pronti a saltar fuori con le bocche già spalancate.

giovedì 21 maggio 2015

Lacrime di Cenere - Volume 2: A Un Passo dalla Vita - Incipit

Quella volta era stata davvero brutta.
Più brutta delle altre, e Pietro lo sapeva. C’era poco da girarci intorno: era inutile che le sue figlie lo rassicurassero, perché lui vedeva gli occhi dei dottori. Vedeva i loro occhi, e non c’era altro da dire. Nessuna parola aggiunta a quegli sguardi avrebbe potuto dare loro più significato.
Gotta. Il dolore si diffondeva di continuo in tutto il corpo, specialmente lungo le gambe e nei piedi, e spesso era così intenso da farlo urlare nel sonno. Gli analgesici lo tenevano a bada, ma Pietro sentiva che era in agguato. Se ne stava lì, acquattato dietro un cespuglio, in attesa di spiccare il balzo finale e azzannarlo alla gola.
L’attacco che aveva subito nelle ultime ore era stato tremendo. Sommandosi ai problemi di cuore aveva generato un cocktail micidiale, che a detta dei medici aveva compromesso anche alcuni sistemi vitali.
Ormai era chiaro: dopo anni e anni di dura lotta era giunto il momento di mollare e lasciarsi trascinare via. Tanto, combattere gli avrebbe regalato solamente qualche dolorosissimo minuto in più. E prima finiva, meglio sarebbe stato per tutti.
Certo, doveva ammettere che quello che sarebbe avvenuto in seguito lo angosciava. Non aveva mai creduto completamente in Dio, come invece avevano sempre fatto i suoi fratelli. La fiducia nei riguardi del futuro preferiva riporla nelle proprie mani, piuttosto che in quelle di un’entità sconosciuta e senza volto. Però, che ci fosse inferno, paradiso o purgatorio al di là della recinzione faceva una bella differenza.
Ma c’era davvero qualcosa? O si trattava solo di una vana consolazione per far sentire meglio chi era obbligato a rimanere indietro?
Ad ogni modo, ora come ora aveva poca importanza. Se fosse successo qualcosa, dopo il suo ultimo sospiro, avrebbe accettato ciò che doveva essere. Altrimenti, l’idea di un sonno della durata dell’eternità era quantomeno allettante al termine di un’esistenza di lavoro e tribolazioni.
Ciò che più lo spaventava, comunque, era il dolore. Perché ne aveva provato tanto, tanto da fargli quasi perdere la testa, e a denti stretti aveva sopportato. Aveva urlato in silenzio.
Adesso era sotto l’effetto degli antidolorifici, appunto. Morfina e altra roba del genere, con ogni probabilità. Ma avrebbe avuto male negli ultimi momenti? Avrebbe provato un picco più acuto, più dannatamente insopportabile, o il cuore si sarebbe semplicemente fermato e poi basta?
Erano domande che lo tenevano sveglio più del dolore stesso. Non lo facevano dormire la notte. Assediavano la sua mente, come un nutrito esercito, e quanto più tentava di eliminarle tanto più esse si moltiplicavano, rimpinguando le file con truppe sempre fresche.
Non sapere niente di tutto questo era forse la parte peggiore. La mancanza di una piena consapevolezza del proprio destino era quasi intollerabile. Sarebbe morto, certo, ma questo che cosa implicava con esattezza?
Si nasceva soli e si moriva soli, sicuro. Ma quello che nessuno osava confessare era che probabilmente la solitudine sarebbe stata ancora più profonda, dopo il trapasso. Definitiva, oltretutto.
Ma ecco un’altra drammatica verità sulla morte: non lasciava alcuna libertà di scelta. Né sul dove, né sul come, né tantomeno sul quando.

lunedì 18 maggio 2015

Le Anime di Eglon - Pausa Estiva

Buongiorno, mio Caro Lettore. Ti scrivo, oggi, per comunicarti che il romanzo a puntate Le Anime di Eglon entrerà in pausa estiva per qualche settimana. Gli ultimi Episodi della Prima Stagione, nella loro nuova veste rivista e corretta, riprenderanno a uscire ad agosto.
Nel frattempo, però, altri progetti si affacciano all'orizzonte, e presto arriveranno a bussare alle porte di Scrivere Sotto la Luna, perciò rimani nei paraggi: ci sono molte storie che ti voglio ancora raccontare...

venerdì 15 maggio 2015

L'incipit nella Pagina Facebook

Buongiorno, mio Carissimo Lettore!
Ormai ci siamo quasi: manca una settimana all'uscita del Volume 2 di Lacrime di Cenere, per cui ho pensato di rendere l'attesa un po' meno snervante. Che ne diresti di dare un'occhiata all'incipit del romanzo?
A partire da oggi, e fino al 21 maggio, posterò ogni giorno nella Pagina Facebook di Scrivere Sotto la Luna un nuovo pezzetto dell'incipit del Capitolo 1, arrivando a coprire le prime 3000 battute.
Al termine del countdown, il 21 maggio, raccoglierò tutti i frammenti postati e pubblicherò le 3000 battute dell'incipit in un singolo post qui su Scrivere Sotto la Luna.
Coraggio, allora: cominciamo!

lunedì 11 maggio 2015

Le Anime di Eglon - Prima Stagione - Episodio 25

«Avete finito di caricare il vagone numero quattro?» volle sapere una voce sconosciuta, levandosi dal gruppo con il tono di chi comanda.
«Mancano un paio di casse e siamo a posto» rispose una seconda voce dal profilo più basso.
La segnalazione che era arrivata a John Perkins, poliziotto della contea dell’Arkansas, parlava di movimenti sospetti nella campagna appena fuori da Little Rock. Aveva subito chiamato Freddy, che come sempre si era infilato in casa dell’amante, o meglio sotto le sue lenzuola, sebbene fosse in servizio, e l’altro gli aveva risposto con voce trafelata e spazientita di andarsene a fare in culo. John aveva replicato che non c’era nessun problema, poteva anche coprirlo e cavarsela da solo, tanto doveva essere una cosa da niente, ma se lo fossero venuti a sapere i loro superori avrebbe riversato su di lui ogni responsabilità. Freddy, dall’altra parte della linea, aveva riattaccato e si era rimesso a lavorare sulla cameriera venticinquenne che si sbatteva da un paio d’anni all’insaputa della moglie.
Sbuffando irritato, John aveva preso la sua volante e aveva abbandonato il parcheggio dell’ipermercato per andare a dare un’occhiata alla zona in cui erano stati segnalati quei movimenti sospetti. Alla peggio, poteva trattarsi di qualche contadino zuccone che si era messo a dar fuoco alle sterpaglie senza prima avvisare i vicini. Non aveva bisogno di Freddy, per quel genere di faccende.
Adesso, l’agente John Perkins si trovava immerso in una nube di fumo incredibilmente denso, impenetrabile. Nessun tipo di sterpaglia poteva generare un fumo così. Non c’era fuoco che avesse un odore come quello, e John cominciava a domandarsi se quella foschia non fosse stata prodotta artificialmente.
Afferrò la radio che teneva appesa alla cintura e l’accese, sintonizzandola sulla frequenza della polizia di Little Rock. Una scarica statica gli suggerì che non avrebbe funzionato, ma provò ugualmente e bisbigliò: «Qui è l’agente John Perkins. Mi trovo sul luogo di una segnalazione, nella campagna a sud di Little Rock. Qui i movimenti sono ben più che sospetti. Credo che siano stati adoperati dei fumogeni, ma non ne sono del tutto certo.» Niente, la radio non dava segno di vita. Non riusciva a sintonizzarsi su alcuna frequenza, e questo non gli piaceva affatto.
«Mi raccomando, con quei generatori. Cercate di non sbatacchiarli troppo, ci servono funzionanti. Il vagone sette è pronto?»
«Sì, signore. Il vagone sette è stato chiuso, e anche il vagone otto.»
«Qui ai vagoni uno, due e tre non ci sono problemi.»
«Bene, ci manca solo il quattro. Datevi una mossa, abbiamo una tabella di marcia da rispettare.»
John si fece coraggio e avanzò di qualche altro passo in mezzo alla fitta cortina di fumo, stringendo gli occhi il più possibile per tentare di penetrare la nebbia cremosa che gli impediva di scorgere i proprietari di quelle voci.
D’un tratto, il suo piede urtò qualcosa. Portò subito gli occhi in direzione delle proprie scarpe e intravide una lunga striscia metallica che sembrava essere stata sovrapposta a una serie di assicelle di legno. Sembrava… Ma sì, era un binario!
«Vagone quattro pronto, possiamo partire!» annunciò una voce stridula, emergendo dalla caligine.
«Ehi, un momento… E quello chi cazzo è?»
John tirò su la testa, sorpreso, ed ebbe appena il tempo di indovinare la sagoma della carrozza di un treno prima di focalizzarsi sulla figura dell’uomo che correva nella sua direzione.
Uno sparo e finì tutto quanto. L’agente John Perkins stramazzò sui binari con la testa fracassata da un colpo di doppietta e il suo corpo venne rimosso rapidamente per permettere al treno di partire.

lunedì 4 maggio 2015

Le Anime di Eglon - Prima Stagione - Episodio 24

Musica a tutto volume. Energica, di quella abbastanza potente da far vibrare le tende della camera da letto. Hollywood Undead, sparati a un ritmo talmente sostenuto da far credere di essere in bilico sull’orlo della morte. Era così che gli piaceva. Oh sì, solo così poteva togliersi dalla testa tutto ciò che aveva visto quella mattina fuori di casa.
Il computer portatile, attaccato alla presa della corrente tramite il cavo di alimentazione, illuminava il viso di Rick McField. Il ragazzo, sdraiato sul letto, aveva collegato le cuffiette del suo iPod direttamente al portatile e adesso si stava gustando l’ultimo disco degli HU con l’amaro in bocca. Non poteva scaricarsi niente di nuovo, non poteva accedere a Facebook, non aveva modo di controllare la posta elettronica. Era tagliato fuori, in parole povere. Come il resto della sua dannatissima città.
Google non rispondeva alle sue insistenti suppliche di resurrezione, e alla stessa maniera si comportavano i beneamati Youtube, Blogger e iTunes. Una tremenda catastrofe, ma non pareva ancora del tutto irrimediabile. Nel senso che non si trattava di un virus informatico, dopotutto: non aveva bisogno di ripristinare il sistema, gli bastava aspettare che internet tornasse in vita. Appena le linee fossero state ricollegate, non ci sarebbero più stati problemi di connessione e la sua esistenza sarebbe ritornata a essere com’era prima di quell’incomprensibile vicenda.
Il suo computer funzionava, perlomeno. Aveva rimosso la batteria prima di collegare il portatile alla corrente di casa. Gli avevano spiegato di fare così, quando l’aveva comperato giù al negozio di Neighbour Street: in questo modo non rischiava di usurare la carica della batteria troppo in fretta e di ridurne l’autonomia nel giro di qualche mese. In quel computer aveva tutti i suoi film preferiti, le sue canzoni, i suoi giochi. Tutti i dati più importanti della sua vita erano contenuti in quell’hard disk da cinquecento giga, e finché continuava a sparargli musica nelle orecchie andava tutto bene.
Quella mattina, a scuola, aveva assistito a una scena terrificante. Le classi erano logicamente quasi del tutto vuote, e un quarto dei professori non si era presentato a lezione negli ultimi giorni. I genitori di Rick avevano insistito affinché non rimanesse a casa a poltrire, e lui aveva protestato un po’, ma alla fine aveva ubbidito al comando di mamma e papà. D’altronde, bisognava dire che in fin dei conti non aveva scelta.
La scena più raccapricciante della sua esistenza gli si era offerta quella mattina alle otto in punto, quando assieme a un paio di compagni di classe era entrato in aula. Era stata addirittura peggiore di quella volta in cui alcuni amici al campeggio avevano legato uno scoiattolo e gli avevano infilato in bocca un petardo acceso. Il botto aveva schizzato sangue da tutte le parti, persino sulla sua faccia. Ma entrando a scuola quella mattina, mettendo piede tra quelle quattro pareti che lo ospitavano cinque giorni su sette…
Trovare il prof di religione impiccato sopra alla cattedra rovesciata non era stato molto carino. Specie perché aveva gli occhi sbarrati, e perché la cintura per la quale era appeso oscillava ancora…
Ad ogni modo, era acqua passata. I suoi genitori avevano acconsentito a tenerlo a casa da scuola, e i pochi professori rimasti avevano pregato anche gli altri di fare lo stesso. La situazione era troppo drammatica per fingere che non stesse accadendo nulla. Non era possibile chiudere gli occhi di fronte a una realtà simile. Era semplicemente sbagliato.
D’un tratto il computer portatile di Rick si spense e il viso illuminato del ragazzo sprofondò nell’oscurità.

giovedì 30 aprile 2015

Lacrime di Cenere - Volume 2: A Un Passo dalla Vita

Ci siamo, mio Carissimo Lettore: è giunto il momento di annunciare la data ufficiale di pubblicazione del Volume 2 della serie Lacrime di Cenere, che si intitolerà, come preannunciato, A Un Passo dalla Vita.
Ne approfitto, inoltre, per presentarti la copertina ufficiale di questo nuovo capitolo della saga.
Lacrime di Cenere - Volume 2: A Un Passo dalla Vita sarà ufficialmente disponibile per l'acquisto su Amazon (Kindle Store) a partire da venerdì 22 maggio, a soli 0,99 euro come il Volume precedente.
La novità, con il Volume 2, sarà data dal fatto che non verrà accompagnato da un'anteprima dei capitoli qui su Scrivere Sotto la Luna, come invece era capitato con il Volume 1.
Anche se, forse, prima della pubblicazione posterò qui qualche stralcio promozionale, giusto per farti assaporare in anticipo le tonalità della nuova storia.
Non vedo l'ora di presentarti il Volume 2 nella sua versione integrale. Sto giusto apportando gli ultimi ritocchi. Preparati, perché il mondo di Lacrime di Cenere sta per arricchirsi di un nuovo personaggio molto importante...

lunedì 27 aprile 2015

Le Anime di Eglon - Prima Stagione - Episodio 23

Sabato mattina, finalmente. Quant’è bello il sabato mattina, quando si porta dietro la consapevolezza che un’altra settimana è finita? Impossibile rispondere a questa domanda. Impossibile quantificare la bellezza assoluta del sabato mattina. Specie di quel sabato mattina in particolare, che si prospettava sereno e invitante.
«Erika! Come stai, amore?» la riscosse la voce di Brittany, delineandosi nell’aria come il tocco magico di un angelo sospeso.
Erika si voltò e vide l’amica venire avanti con un ampio sorriso. Si fermò ad aspettare che la raggiungesse e si scambiarono un bacio sulle guance, abbracciandosi.
«Tesoro, sono felice di rivederti. Oggi è proprio una bella giornata, vero?» disse Erika, inalando il profumo della compagna di classe e lasciando che per qualche istante le coccolasse i sensi, abbandonandosi nella sua fragranza inconsistente.
«Sì, sono d’accordo» approvò Brittany, separandosi dall’abbraccio e studiando la migliore amica con i suoi occhi espressivi. Aveva gli occhi azzurri, Brittany. Di quella particolare tonalità di azzurro che il cielo assume soltanto quando è completamente sgombro. I capelli, biondo chiaro, le ricadevano sciolti sulle spalle e la pelle perfetta, liscia come la superficie di un foglio di carta appena pressato, si distendeva in un sorriso assolutamente disarmante.
Brittany squadrò l’amica, che aveva una lunga chioma bruna e occhi di un marrone incredibilmente profondo, quasi surreale. Anche la pelle di Erika era perfetta, valutò mentre la esaminava da vicino, e il suo corpo era snello e slanciato.
«Niente compiti e niente interrogazioni stamattina, giusto?» domandò ancora Erika, affiancandosi all’amica e avviandosi con lei in direzione del liceo, che si trovava lungo Main Street a circa due isolati di distanza dal municipio di Eglon.
«No, teoricamente no» confermò Brittany, sempre raggiante. Si volse a guardare in viso l’amica e i loro occhi si scambiarono sussurri di una complicità inestimabile, che nessun altro al di fuori di loro sarebbe riuscito a cogliere. Si misero entrambe a ridacchiare e si tennero giocosamente per mano, andando avanti per il marciapiede con estrema calma.
«Stasera che si fa?» riprese Brittany, mentre facevano il loro ingresso nel corridoio centrale del liceo, lasciandosi circondare da una fiumana di studenti in movimento.
«Devo fare da autista a mia sorella. Vuole andare alla festa di Tila Berkovich, e io la devo per forza accompagnare fino a là. Poi però sono libera» illustrò Erika.
«Beh, direi che uscire è escluso: sono troppo stanca, per questa settimana è meglio fare una cosa tranquilla… Vieni da me dopo aver mollato giù tua sorella e ci spariamo un film?» propose Brittany, lanciando una strizzatina d’occhio all’amica.
«Se è un horror ci sto!» accettò felice Erika, rispondendo con un sorriso d’intesa.
«Oro! Direi che siamo d’accordo, allora. Ti aspetto per le nove, nove e mezza al massimo. Ci buttiamo a letto in camera mia e ci guardiamo l’horror» concluse Brittany, scuotendo la cascata di capelli biondi e puntando i suoi occhi – scorci di cielo sgombro – in quelli marroni della compagna di classe. «Una serata tranquilla, come piace a noi.»
«Esatto» confermò Erika, ed entrarono assieme in classe.
Ancora non lo potevano sapere, naturalmente, ma non sarebbe stata affatto una serata tranquilla. Anzi.

lunedì 20 aprile 2015

Le Anime di Eglon - Prima Stagione - Episodio 22

«Se la situazione non fosse così drammatica, naturalmente eviteremmo più che volentieri di prendere simili provvedimenti. Ma a questo punto pare che non rimanga altra scelta. Mi capisce, non è vero?» lo interrogò la voce al telefono, a mo’ di domanda retorica.
«Certo, certo. Capisco» borbottò il comandante Smith, impotente. Stringeva la cornetta nella mano con troppa forza, tanto che le nocche gli si erano completamente sbiancate. Stava perdendo sensibilità, le dita gli facevano male. Se avesse premuto un po’ di più, pensò per qualche secondo di silenzio, forse avrebbe potuto addirittura distruggere quel giocattolo di plastica attraverso il quale le voci dei suoi superiori lo tenevano aggiornato sulle ultime decisioni.
Gli era stata tolta la libertà di manovra che inizialmente gli avevano accordato. Dopo l’incidente di quel bombardamento notturno, che non era stato lui ad autorizzare e che tuttora rimaneva avvolto dal mistero, i suoi superiori volevano essere informati a ogni ora. Il comandante Smith restava al suo posto, al vertice gerarchico di quella fetta di Esercito che si era appostata a pochi passi dalle barricate della città di Eglon, ma di fatto non era più lui a prendere le decisioni. Gli ordini arrivavano dall’alto, e lui non poteva fare altro che obbedire, senza controbattere alcunché.
«Il Segretario della Difesa ha incontrato il Presidente a Washington questo pomeriggio, in via del tutto eccezionale, per un colloquio privato. Sembra che l’opinione pubblica internazionale non stia vedendo molto di buon occhio questa situazione. I giornali di mezzo mondo l’hanno soprannominata rivoluzione terroristica, e ancora non si sa a chi attribuire la colpa. Di certo, il fatto che l’Esercito non sia capace di reagire ha insospettito molti Paesi. Ma d’altro canto sanno benissimo che ci sono troppi civili, di mezzo. L’importante, ora come ora, è non compiere passi falsi» spiegò per l’ennesima volta la voce telefonica, arrochita dai chilometri di cavi che era costretta a percorrere per poter giungere all’orecchio del comandante Smith.
«Me ne rendo conto, signore. Per adesso stiamo semplicemente qui. Aspettiamo.»
«E aspetterete ancora per poco, comandante. Stiamo organizzando un piano per infiltrare alcune unità all’interno delle barricate. L’unico punto debole, per adesso, è la completa assenza di informazioni sulle quali basarci. Ci occorrerebbero notizie dall’interno, ma le comunicazioni continuano a essere impedite. Ci stiamo lavorando.»
«Pensate davvero che tagliare le risorse possa servire a qualcosa?» domandò il comandante Smith, ancora lievemente perplesso.
«Senz’altro. Ne abbiamo discusso con il Segretario della Difesa, e il progetto è stato approvato. Entro poche ore sarà tagliato tutto quanto. Senza cibo, acqua, carburante, medicinali, gas ed elettricità, i ribelli non potranno fare altro che arrendersi. Forse resisteranno una settimana, magari anche due. Dopodiché, getteranno a terra le loro armi in cambio di una sorsata d’acqua. Glielo garantisco, comandante.»
«E per quanto riguarda la popolazione civile?»
Dall’altra parte ci fu una breve esitazione. Il silenzio riempì la linea per qualche istante. Poi, la voce telefonica lo neutralizzò: «Dovranno fare dei sacrifici anche loro, per il bene del Paese. Dopotutto, hanno già pagato un terribile prezzo. Un leggero aumento, a questo punto, risulterà quasi del tutto ininfluente.»
«Sta parlando di vite umane, signore» gli fece notare Smith, trattenendosi.
«Lo so. Ma in questo momento è come se anche loro fossero contro di noi.»

venerdì 17 aprile 2015

Lacrime di Cenere: la presentazione sul prossimo numero della Writers Magazine Italia


Notizia dell'ultima ora: l'ebook Lacrime di Cenere è stato selezionato per essere presentato sul prossimo numero della "Writers Magazine Italia", la più importante rivista di riferimento per gli autori italiani!
Il numero 43 della prestigiosa rivista, in uscita fra un mese in formato cartaceo e digitale, conterrà, tra le altre, la copertina di Lacrime di Cenere, accompagnata da una breve sinossi, all'interno di uno spazio dedicato agli "EBOOK DA LEGGERE".
Ringrazio molto la Redazione della "Writers Magazine Italia" e il suo celebre direttore responsabile, Franco Forte, per la meravigliosa opportunità!

lunedì 13 aprile 2015

Le Anime di Eglon - Prima Stagione - Episodio 21

«Avanti, Joey. Sapevamo tutti quanti che doveva andare a finire così, prima o poi. Adesso vieni fuori e getta la spugna, su. Non vogliamo altro sangue. Ce n’è già stato fin troppo.»
Lo sceriffo Gordon Fillback parlava con voce calma e misurata, avanzando adagio nella penombra del seminterrato con la pistola spianata. Uno dei suoi uomini, di sopra, aspettava che l’ambulanza arrivasse a prendere un collega ferito e un narcotrafficante morto. I suoi due vice Krain e Corall, invece, erano lì sotto con lui, in quel corridoio freddo e umido che si snodava apparentemente all’infinito un paio di metri più in basso del pavimento della fabbrica.
Dopo aver lasciato giù le auto di servizio all’ingresso del quartiere di periferia avevano proseguito a piedi fino all’enorme complesso indicato loro dall’informatrice. Avevano varcato il cancello aperto senza problemi e avevano raggiunto l’ampio salone principale passando per il portone spalancato. Dentro, tra i bancali rigonfi di droga e di armi, avevano individuato immediatamente Joey Goode intento a firmare un documento accanto a una finestra impolverata. Con lui c’era un uomo dall’aria sospetta che appena li aveva visti aveva sollevato la pistola già impugnata.
«Fermi, mani in alto!» aveva berciato lo sceriffo, spianando la sua arma. Il primo colpo era indirizzato a lui, ma l’aveva schivato nascondendosi dietro uno dei bancali. Poi era uscito allo scoperto e con uno sparo preciso aveva centrato il narcotrafficante a una spalla, disarmandolo.
Joey Goode aveva aperto il fuoco senza indugio, posando la penna e imbracciando un fucile semiautomatico. Aveva preso in pieno Ted, uno dei poliziotti che aveva accettato di seguire Gordon Fillback in quell’impresa che sarebbe stata narrata su tutti i giornali della contea per la settimana a venire, e Steve Corall rispondendo al fuoco aveva accidentalmente beccato il petto del narcotrafficante, che era stramazzato al suolo.
Joey si era riparato dietro alcuni bancali e lo sceriffo aveva fatto segno ai suoi vice di accerchiarlo, ordinando all’altro poliziotto che era con loro di andare ad assistere Ted e chiamare immediatamente un’ambulanza.
Avevano seguito Joey dopo che aveva imboccato la ripida gradinata che conduceva nei sotterranei della vecchia fabbrica abbandonata e gli erano stati dietro per un bel pezzo, finché non era sparito. Adesso, però, ce l’avevano in pugno: non gli restava più nessuna via di scampo.
«Al contrario, caro sceriffo. Voi dovete gettare la spugna, prima che finisca male» lo contraddisse la voce di Joey Goode, scaturendo da Dio solo immaginava quale direzione.
Gordon Fillback ispezionò con lo sguardo la metà oscura di corridoio che avanzava al di là delle sue sopracciglia aggrottate, cercando di indovinare da quale delle varie aperture laterali provenissero le parole di Joey.
«Sei in brutto guaio, Goode, e non credo che tu te ne renda conto. Traffico illegale di droga e armi, con un quantitativo del valore di un milione e mezzo di dollari, più che sufficiente a metterti dentro per un bel po’. Per colpa tua sono morte decine e decine di persone, in questa città, compresi molti dei miei poliziotti. Diamo la caccia alla tua banda da undici anni. Ma adesso è finita. Sei al capolinea, Joey.»
«Ma è proprio dal capolinea che l’autobus riparte per un altro giro» ribatté beffardamente il criminale, comparendo dal nulla con un grosso fucile imbracciato. Dietro di lui, una dozzina di uomini armati si fecero avanti, sprezzanti e pronti a tutto pur di difendere il vigliacco che li stipendiava.
Mercenari di Goode, pensò Gordon Fillback, e abbassò l’arma impotente, imitato dai suoi vice.
«Adesso detto io le condizioni, sceriffo. E ho giusto in mente un paio di commissioni per te. Ad esempio, potresti cominciare facendo sparire quel carico di droga e armi che c’è di sopra… Che cosa ne dici? Sei disposto a collaborare?»
Il ghigno sul volto di Joey Goode, in quel momento, fu talmente largo e malefico da far rabbrividire i poliziotti che lo tenevano sotto tiro.

lunedì 30 marzo 2015

Le Anime di Eglon - Prima Stagione - Episodio 20

«Per adesso, l’essenziale è non farci beccare. Abbiamo tempo, e senz’altro le risorse non ci mancano. Ma il progetto va escogitato minuziosamente, altrimenti rischiamo di far saltare l’intera copertura. D’accordo?»
Gli occhi erano puntati su di lui. Tutti gli occhi, e questo significava che lo stavano ascoltando. Era sicuro di aver esposto con sufficiente chiarezza la situazione, ma allo stesso tempo temeva che qualcuno dei presenti non avesse pienamente afferrato la delicatezza dell’operazione in ballo. Ma, d’altro canto, non era un problema suo: i rischi erano stati svelati, e adesso spettava a ciascuno di loro prendere una decisione.
Bisognava agire, e bisognava farlo in fretta se si voleva arginare il problema prima che assumesse le colossali proporzioni di una calamità biblica.
«Io ci sto, sceriffo. Conti pure su di me» approvò Jason Krain con fare deciso e sprezzante.
«Non lo so, a dire il vero scorgo molta foschia su quest’operazione…» borbottò incerto Steve Corall, grattandosi furtivamente la punta del naso.
«Ti capisco, Steve. Gli elementi che abbiamo sono pochi, ma forse stavolta basteranno a incastrare quel bastardo una volta per tutte» sentenziò risoluto lo sceriffo Gordon Fillback.
Passò in rassegna le espressioni assorte dell’esiguo grappolo di poliziotti che sedevano attorno alla scrivania del suo ufficio. Erano confusi e insicuri, ma allo stesso tempo leggeva sui loro volti la convinzione che fosse necessario agire in fretta.
«Ascoltatemi. Non è come quella volta in cui lo abbiamo messo dentro con l’accusa di corruzione e ne è uscito due settimane dopo con la mente occupata dall’idea di vendicarsi dei poliziotti che lo avevano beccato: stavolta è diverso. Ce l’abbiamo praticamente nel sacco, e lo possiamo schiacciare sotto il tacco della scarpa come uno scarafaggio!»
«E chi ci dice che l’informatore sia completamente affidabile, o che non sia stato addirittura depistato?» intervenne uno dei poliziotti, dubbioso.
«L’informatore è troppo vicino al nostro uomo perché possa essere stato raggirato, e allo stesso tempo lo detesta talmente tanto da essere disposto a qualunque cosa pur di vederlo finire dietro le sbarre per un lungo, lunghissimo periodo di tempo» ribatté tranquillamente Gordon Fillback. «Parlo di sua sorella, naturalmente.»
Un mormorio concitato attraversò l’ufficio da una parete all’altra, smuovendo la polvere che si era accasciata sugli angoli più inaccessibili del pavimento. Lo sceriffo Gordon Fillback avvertì chiaramente la tensione elettrica che per qualche istante fluì all’interno dell’ambiente.
«Sua sorella? Questo cambia le carte in tavola, sceriffo. Decisamente» commentò Steve Corall massaggiandosi l’estremità del mento.
«Già. Allora, che ne dite?»
«Dico che ci stiamo tutti quanti. Non è vero?»
Un unico cenno d’assenso sgattaiolò da uno sguardo all’altro, emergendo come un’automobile a fari spenti da un banco di nebbia particolarmente fitto.
«Allora andiamo ad ammanettare quel cane di Joey Goode!» concluse lo sceriffo Fillback alzandosi senza indugio dalla sedia e afferrando vigorosamente la pistola d’ordinanza riposta all’interno del primo cassetto della scrivania.