venerdì 28 novembre 2014

Lacrime di Cenere - Volume 1: In Fuga dalla Morte - Capitolo 3 (Anteprima)

Il mondo stava finendo, tutto in una volta sola.
La solida visione della realtà che aveva impiegato vent’anni a costruirsi si stava inesorabilmente sgretolando sotto i suoi occhi, mentre lui la osservava impotente.
Laggiù, all’esterno, oltre la sottile pellicola di vetro che lo separava dalla tiepida aria autunnale, era pieno di gente morta che camminava in strada. C’erano cadaveri che si spostavano, che passeggiavano con gli arti maciullati e il busto sfondato, che si guardavano intorno con sguardo spento ma allo stesso tempo spaventosamente vigile.
La ragazza bionda con gli occhiali aprì una delle finestre che correvano lungo tutta la parete, salendo progressivamente verso l’alto.
L’aria entrò e gli incendiò i polmoni. Poi la ragazza si sollevò sulle braccia e lentamente si issò fino a sedere sul bordo della finestra, pronta a scivolare dall’altra parte.
Era un salto di almeno quattro metri, se fosse precipitata disotto.
Ma forse era meglio cadere e spiaccicarsi sull’asfalto piuttosto che aspettare che i morti all’ingresso dell’aula si prendessero la briga di raggiungerli.
Gli studenti che tentavano invano di aprirsi un varco verso le uscite erano ancora parecchi. Altri correvano di qua e di là, senza una meta precisa, urlando e piangendo, lanciando verso il basso qualunque oggetto capitasse loro a portata di mano.
Era la follia umana di fronte alla morte, e Leonardo si rese conto che se l’avesse contagiato non ci sarebbe più stata alcuna speranza nemmeno per lui.

lunedì 24 novembre 2014

Le Anime di Eglon - Prima Stagione - Episodio 8

Venerdì 9 settembre

Qualcuno bussò alla porta.
Era tardo pomeriggio, e il lavoro da fare era sempre troppo. Amministrare una città non era semplice, ma amministrare una città in Arkansas, con almeno quaranta fattorie intorno che rientravano nella giurisdizione territoriale, era ancora più difficile.
Eglon contava per l’esattezza quarantaquattro fattorie, nei dintorni, che dal punto di vista burocratico facevano capo al Comune della città. E non c’è bisogno di dire che spesso davano parecchi grattacapi al sindaco John Donaldston, perché i contadini venivano da lui per ogni nonnulla, quando c’erano da richiedere permessi, quando erano in corso diatribe sulla proprietà di una pianta, quando un animale si infilava per l’ennesima volta nei campi del vicino e quest’ultimo non voleva più restituirlo. La gente non si sapeva arrangiare da sola. Specialmente la gente di campagna, a detta del sindaco Donaldston. E per lui si trattava soltanto di un altro carico di problemi extra da risolvere.
«Avanti» accolse John Donaldston da dietro la scrivania del suo ufficio, e la porta si aprì per permettere alla snella e graziosa figura di Nancy Vaugher di entrare.
«Sindaco Donaldston, mi spiace disturbarla quando so che ha molto lavoro da fare, ma ho bisogno che dia un’occhiata ad alcuni documenti…» esordì l’addetta all’anagrafe con fare titubante. Sembrava un po’ scossa, giudicò John. Probabilmente era solo stanca.
«Di che si tratta?»
«Alcune persone arrivate in città la settimana scorsa. Ho qui le loro carte d’identità e mi sono fatta lasciare anche i passaporti, per precauzione. Mi ha detto lei di controllare accuratamente la gente che si trasferisce nella nostra città, e di accertarmi che sia innocua» spiegò la donna, e John Donaldston annuì.
Sì, ricordava il discorsetto che le aveva fatto un paio di mesi prima. Ultimamente le cose non andavano troppo bene. C’erano stati dei tizi che lo scorso inverno avevano ottenuto la residenza a Eglon e si erano messi a spacciare cocaina nel bel mezzo del parco pubblico. Prenderli non era stato facile, e cacciarli dalla città si era rivelato un compito fin troppo dispendioso per i suoi gusti. Meglio prevenire che curare, diceva sempre suo nonno. L’aveva trasformato da banale motto in serio stile di vita.
«D’accordo. Qual è il problema?» s’informò il sindaco, sbuffando lievemente.
«Ci sono dei dati che non corrispondono» sussurrò Nancy posandogli sulla scrivania un pacchetto di fogli stampati tenuti insieme con due graffette di plastica gialla. «Niente di cui preoccuparsi, molto probabilmente,» si affrettò a soggiungere, «ma la prudenza non è mai troppa.»
«Grazie, Nancy. Darò un’occhiata a queste carte domattina come prima cosa quando rientrerò in ufficio» promise il sindaco Donaldston, e l’addetta all’anagrafe oltrepassò la porta e sparì.
Nancy Vaugher era tutta un fremito. Si guardò attorno con circospezione ed entrò nel proprio angusto ufficio, chiudendosi la porta alle spalle con mano tremante e lasciandosi sfuggire un singhiozzo e l’accenno di una lacrima oltre le lenti degli occhiali.
«Brava, Nancy, ben fatto» approvò l’uomo che se ne stava tranquillamente seduto dietro la scrivania del suo piccolo ufficio, con lo schienale inclinato, le gambe accavallate sul ripiano del tavolo e una pistola provvista di silenziatore puntata in direzione dell’addetta all’anagrafe.

venerdì 21 novembre 2014

Lacrime di Cenere - Volume 1: In Fuga dalla Morte - Capitolo 2 (Anteprima)

Le tre porte dell’aula D del complesso didattico erano ormai ostruite dai cadaveri e dal sangue. Leonardo osservava con orrore le persone chine sui corpi a divorarli, credendo – e sperando – di trovarsi nel bel mezzo dell’incubo più vivido e spaventoso della sua vita.
Ma era sveglio, e le urla che gli squassavano i timpani ne erano la prova più dolorosa.
I ragazzi cercavano di scappare in ogni direzione, ma i morti continuavano ad avere la meglio e a scaraventarsi su di loro. Si lanciavano con le bocche spalancate, li agguantavano e li mordevano con forza, stritolandoli, spesso in più di uno alla volta. Lo spettacolo era a dir poco raccapricciante.
Che cos’erano? Da dove venivano, e cosa stavano facendo? Una folla di domande gli si accalcava in testa con violenza, pretendendo di ricevere risposte che potessero avere anche solo la parvenza di essere sensate.
Ma non aveva tempo per questo. Doveva ricacciarle indietro e pensare, o non ne sarebbe uscito.
Valentina…

lunedì 17 novembre 2014

Le Anime di Eglon - Prima Stagione - Episodio 7

Estratto di un articolo mai pubblicato indirizzato al New York Times, datato 12 settembre 2001:

«[…] Sconvolta dal terrore, l’America è rimasta senza parole. Perché questo orrore? Perché questa follia? Che cosa significa tutto questo sangue che sporca le strade di New York, quest’unico grido che si è levato all’unisono da una città martoriata?
«Gli aerei dirottati trasportavano passeggeri innocenti. Le Torri erano piene di persone innocenti. Il Pentagono, altro bersaglio dell’attacco terroristico, ha perso uomini innocenti.
«Era tutta gente libera! Tutta gente libera che non aveva colpa, se non quella di trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato. E ha dovuto pagare, per questo, pagare a caro prezzo, versando una moneta di scambio dal valore inestimabile che nessuno potrà mai restituire: il proprio sangue, le proprie vite di cittadini liberi!
«Il conto che ieri, 11 settembre 2001, è stato presentato agli Stati Uniti è risultato troppo salato per poter essere saldato. Il mondo ha un debito con queste persone e con le loro famiglie. Tutte vittime di un gioco di potere immenso, al quale si erano rifiutate di prendere parte.
«E adesso, che cosa rimane di tutti loro? Nient’altro che cenere…
«Cenere che fiocca sulle strade di New York come una macabra nevicata fuori stagione.
«Che cosa possiamo chiedere noi, a questo punto? Possiamo rendere grazie a qualcuno? Dobbiamo puntare il dito e imbronciarci, pretendendo che venga fatta giustizia? Giustizia… Che cosa significa giustizia, quando quasi tremila cittadini liberi e innocenti perdono la loro vita inutilmente? Quale valore assume quest’unica parola, dinnanzi agli eventi che ieri hanno violato brutalmente i nostri occhi e gettato un’ombra incancellabile sopra i nostri pensieri?
«Non esiste giustizia. Non c’è niente di giusto in ciò a cui le strade di New York sono state obbligate ad assistere. Non rimangono parole in grado di descrivere lo stato di panico raccapricciante in cui la città è precipitata immediatamente dopo l’attacco.
«Che cosa possiamo augurarci, allora, se non resta orizzonte di giustizia in grado di consolarci? Possiamo forse pregare che quelle anime libere e innocenti finiscano in un posto migliore? Possiamo sperare che le loro famiglie siano ancora capaci di dormire sonni tranquilli, e di svegliarsi la mattina senza versare una sola lacrima e di tirarsi in piedi senza maledire se stessi, senza ricadere nei rimorsi e nelle recriminazioni? No. Tutto questo non è più auspicabile. E chi ha partorito questa strage, questo attentato alla libertà umana, diretto al cuore pulsante della vita, lo sa meglio di tutti quanti noi.
«Che cosa ci resta da fare a questo punto, dunque? Permettetemi di concludere dicendo che io, in fondo, un’idea ce l’avrei.
«Possiamo desiderare, in cuor nostro, che chi ha rubato paghi. Possiamo anelare alla cancellazione dei nostri terribili ricordi. Possiamo mirare a una giustizia terrena che, per quanto inconsistente, ci faccia sentire appagati. Oppure, e questa a mio avviso è la strada migliore, possiamo prometterci di fare tutto ciò che è in nostro potere per difendere la libertà e l’innocenza del popolo umano, e per far sì che questo 11 settembre, orrendo e devastante oltre ogni naturale concezione, non si ripeta.»

venerdì 14 novembre 2014

Lacrime di Cenere - Volume 1: In Fuga dalla Morte - Capitolo 1 (Anteprima)

La solita solfa, come sempre. Come ogni dannatissima mattina.
A volte aveva come l’impressione che Trenitalia ce l’avesse con lui. Con lui e con la scelta che aveva preso, solo perché aveva affrontato quello stupido test d’ammissione a Medicina ed era passato. Ogni volta che posava gli occhi su quegli stramaledetti tabelloni digitali non faceva altro che leggere RITARDO, o peggio ancora CANCELLATO. Come se gli studenti del primo anno di Medicina e Chirurgia non meritassero di arrivare in orario alle lezioni.
Ad ogni modo, quel giorno era entrato in aula giusto in tempo, anche se senza fiato. I posti migliori erano ovviamente tutti occupati. Aveva imprecato e con calma si era messo a scalare la collina alla ricerca di una sedia libera.
Penultima fila. Fantastico. L’ideale per chi voleva seguire la lezione, come quello alla sua destra che giocava con l’iPad mentre il professore di Chimica Organica cominciava a spiegare le forme di risonanza degli alcani.
Leonardo sospirò in silenzio e cercò di buttare giù un appunto veloce prima che la diapositiva proiettata venisse sostituita dalla successiva. Gli mancavano un paio di elementi quando l’immagine cambiò, così fu costretto a cerchiare il punto in cui li avrebbe dovuti inserire nel pomeriggio, riguardando le slide a casa.
Un coro di clacson si levò dalla strada. Qualche grana all’attraversamento pedonale in fondo alla via, probabilmente.
Abitare a dieci chilometri da Vicenza e frequentare l’Università di Padova aveva i suoi svantaggi. Ci voleva quasi mezz’ora di treno, in media, per spostarsi da Vicenza a Padova, e se per raggiungere la stazione di Vicenza occorreva usare l’autobus allora era necessario aggiungere quasi un’altra ora intera ai calcoli. Ne venivano fuori un’ora e mezza di andata e altrettanto di ritorno. Per due ore di lezione, era già tanto se ne bastavano cinque fuori casa.
Udì le sirene di un’ambulanza passare poco distanti.
Posò la penna sul quaderno aperto e guardò fuori. C’era qualche nuvola, ma il cielo era tutto sommato sereno. Il sole manteneva l’aria piuttosto calda, sebbene fosse già passata la metà di ottobre. La natura si accartocciava su se stessa, eppure l’estate non sembrava ancora essersi sciolta del tutto. Ci voleva un po’ di freddo per consumarla fino in fondo, ma finché durava il bel tempo era meglio così. Dopotutto, mancavano soltanto la pioggia e la neve a peggiorare la situazione con i treni…
Altri clacson, subito zittiti dalle sirene di un’altra ambulanza. Là fuori doveva essere una mattinata particolarmente movimentata, valutò.
Le file più in basso erano completamente immerse nella lezione. Tutti prendevano diligentemente appunti, senza lasciarsi sfuggire una parola. C’erano libri che passavano silenziosamente di mano in mano, occhiate veloci per vedere se il compagno avesse trascritto la formula del composto sfuggito, mormorii di comprensione che saltellavano lungo le gradinate.
Si sentiva terribilmente fuori posto. E non era la prima volta che provava questa spiacevole sensazione, purtroppo. Né probabilmente sarebbe stata l’ultima.

lunedì 10 novembre 2014

Le Anime di Eglon - Prima Stagione - Episodio 6

Melanie Winget si allacciò le cinture, come era stato appena annunciato di fare, e si lasciò uscire dalle labbra un sospiro nervoso nel vano tentativo di far sbollire l’agitazione.
Volare la rendeva sempre molto tesa, per questo cercava di evitarlo il più possibile. Ma alle volte non c’era scelta: quando bisognava percorrere centinaia di chilometri per raggiungere un’altra città, l’aereo era il mezzo più pratico e rapido con il quale spostarsi.
Avere i genitori nell’Oregon, poi, e abitare in Arkansas era decisamente scomodo. Si poteva adoperare anche il treno, certo, ma prendere tutte le coincidenze e sopportare interminabili ore di viaggio seduti in cabine strette e affollate faceva andare fuori di testa. E a Melanie, per essere del tutto onesta, dava più fastidio dover condividere un compartimento del treno con altre cinque persone che l’interno di un intero aeroplano con circa duecento passeggeri. Era strano, d’accordo, ma tra le due opzioni prediligeva la seconda.
Si accese la spia che ordinava di allacciarsi le cinture, spegnere tutti gli apparecchi elettronici e, di conseguenza, prepararsi all’atterraggio. Melanie gettò un’occhiata al proprio cellulare e lo trovò diligentemente spento. Bene, pensò. Abbassare gli occhi a questo punto del viaggio mi fa venire la nausea, e almeno non devo stare a smanettare con il telefonino durante tutto l’atterraggio.
Appoggiò gli avambracci agli appositi braccioli posti a lato del sedile e chiuse gli occhi, inspirando ed espirando profondamente.
Accanto a lei stava seduto un tipo dall’aria annoiata, lineamenti asiatici e abiti costosi. Reggeva in mano un palmare e quando Melanie riaprì gli occhi per sogguardare i sedili adiacenti mentre iniziava la manovra di atterraggio lo stava ancora utilizzando. Melanie strabuzzò gli occhi, atterrita. Se l’aereo precipita per colpa tua, Jackie Chan, e per colpa di quel tuo stupido palmare, giuro che ti vengo a cercare all’inferno e ti faccio desiderare di non essere mai morto!
«Il pilota del volo 185 della US Airways vi invita a rimanere seduti con le cinture allacciate fino alla fine della manovra di atterraggio. È prevista una certa turbolenza a causa del banco di nuvole che sovrasta la città, e abbiamo qualche problema a contattare la torre di controllo. Ci saranno un po’ di scossoni, ma l’atterraggio avverrà ugualmente in tutta sicurezza» comunicò una voce che Melanie valutò essere troppo calma alla luce delle considerazioni appena espresse. Ci mancava solo questa, pensò la ragazza, e scrutando torvamente il palmare di Jackie Chan si domandò se fosse a causa di quello che il pilota faticava a mettersi in contatto con la torre di controllo.
L’aereo scendeva piuttosto rapidamente, e Melanie sentiva la forza di gravità attrarla prepotentemente in direzione del suolo. Ci schianteremo, rifletté in un attimo di disagio avvertendo un violento scossone e intravedendo le fitte nubi che circondavano il finestrino oltre il profilo scuro e concentrato di Jackie Chan.
Un altro tremito spaventoso, come se l’aereo tentasse di scrollarsi di dosso l’umidità che la nebbia gli stava depositando sopra. Melanie trattenne un gridolino, sussurrando tra sé e sé che andava tutto bene e che la prossima volta, accidenti, si sarebbe sorbita le infinite ore di treno che separavano Eglon da Portland piuttosto che salire di nuovo su uno di quei…
L’ala sinistra del volo 185 della US Airways, quella cioè che si poteva scorgere attraverso il finestrino della fila nella quale si trovavano Melanie e Jackie Chan, fu colpita all’improvviso da qualcosa ed esplose fragorosamente, facendo assumere all’aereo un assetto di caduta più o meno verticale che lo rese identico a una fenice in fiamme in procinto di precipitare in un pozzo nero di follia.

venerdì 7 novembre 2014

Programmazione

Buongiorno, mio Caro Lettore. Allora, che te ne pare? Hai letto il Prologo del nuovissimo romanzo a puntate Lacrime di Cenere? Spero che tu lo abbia trovato interessante. Naturalmente, il Prologo costituisce soltanto un'apertura: si inserisce in medias res nella vicenda, ma già dal Capitolo 1 del Volume 1 comincerò a raccontarti la storia completa dall'inizio, con ordine.
Il Capitolo 1 uscirà la prossima settimana, di venerdì, e sarà seguito per le nove settimane successive dagli altri nove Capitoli del Volume 1. La versione che pubblicherò qui su Scrivere Sotto la Luna, in ogni caso, sarà una versione ridotta: quella integrale verrà infatti raccolta nell'edizione eBook, presto disponibile per l'acquisto su Amazon al prezzo di soli 0,99 euro - meno di un caffè, se ci pensi.
Non ci saranno differenze nella trama tra versione ridotta e versione integrale: la storia rimarrà la stessa, ma nell'edizione a pagamento si presenterà più ricca, meglio delineata, con tutti gli elementi che fanno di un romanzo un vero e proprio viaggio da vivere e scoprire. L'eBook conterrà inoltre una Prefazione e un Commento dell'Autore appositamente scritti.
Appena avrò completato gli ultimi dettagli creerò anche una Pagina ufficiale per Lacrime di Cenere qui nel blog, dove inserirò di volta in volta i link per l'anteprima dei vari Capitoli e quelli per l'acquisto su Amazon degli eBook disponibili.
La versione ridotta, o anteprima se vogliamo, del Capitolo 1 uscirà dunque il prossimo venerdì, qui su Scrivere Sotto la Luna. Assieme ad essa verrà reso noto anche il titolo del Volume 1. Nel frattempo, lunedì ci aspetta la nuova versione revisionata dell'Episodio 6 de Le Anime di Eglon: La Battaglia.
A presto, mio Carissimo Lettore. Mi trovi sempre qui, su Scrivere Sotto la Luna, pronto a raccontarti altre storie. Ti aspetto.

lunedì 3 novembre 2014

Le Anime di Eglon - Prima Stagione - Episodio 5

Gerald McGale si trovava in ufficio, la mattina del cinque settembre, a compilare una pila di polizze assicurative per conto di alcuni clienti che sarebbero passati in giornata a stipulare i contratti. Dovevano ancora accordarsi sugli ultimi dettagli, ma la catasta di documenti stampati che stava prendendo in esame apparteneva a quella categoria di clienti che gli avevano dato carta bianca, concedendogli ogni libertà di manovra, fiduciosi che li avrebbe consigliati oculatamente. Il mucchio più in là, invece, all’altro angolo della scrivania, era riservato ai contratti dei clienti più sospettosi, quelli che gli avevano mormorato, mentre gli stringevano la mano, che avrebbero controllato con accuratezza ogni singola clausola prima di apporre la propria firma. Non c’era bisogno di aggiungere che quest’ultimo cumulo di fotocopie era decisamente più voluminoso.
Gerald indossava il tipico completo dell’assicuratore, grigio, con scarpe nere. Aveva optato per una cravatta blu scuro, quella mattina, perché non gli andava di vestirsi colorato. Non era giornata. Si sentiva grigio, proprio come il completo che si era messo addosso, e non avvertiva assolutamente la necessità di associare a se stesso alcuna tonalità allegra. Non era allegro. Non era felice. E, in un certo senso, se si vestiva in questo modo la gente poteva capirlo e, magari, stare alla larga.
Non che Gerald fosse un uomo poco socievole. Solo che negli ultimi tempi si era un po’ lasciato andare, ecco. Colpa della solitudine che aleggiava nel suo appartamento, sempre così freddo e vuoto e angusto da far spavento. Colpa anche del suo lavoro, in fin dei conti. Un lavoro noioso al quale era stato sostanzialmente costretto dalle vicissitudini.
Quando era ragazzo neanche si sognava di prendere in considerazione il monotono mestiere dell’assicuratore. Voleva fare il programmatore di computer, ed entrare in qualche compagnia produttrice di antivirus per poter lavorare dietro uno schermo a fare la cosa che più gli piaceva. Invece adesso era obbligato a entrare ogni giorno nello stesso ufficio e sopportare gli stessi sguardi diffidenti di clienti preoccupati dall’idea di essere truffati. Doveva compilare pile su pile di polizze assicurative, elargire una miriade di sorrisi forzati e stringere un numero fortunatamente imprecisato di mani callose e sudaticce, che gli lasciavano un immancabile alone di umidità sulle dita, impossibile da scacciare.
Non ne poteva più. Doveva ammetterlo: era parecchio stanco della sua vita, del grigiore sfocato che lo circondava e della nitida presenza di un nodulo di depressione che gli si sviluppava nel cervello come un tumore in fase terminale. Era tutto troppo dannatamente ripetitivo.
Non vedeva luce nel proprio avvenire, né speranza. Poteva soltanto augurarsi che tutto finisse relativamente in fretta. Ed era questo ciò a cui pensava quando saliva sul tetto del suo palazzo, ogni sera, e guardava giù, ammirando il traffico che ronzava pigramente lungo i tappeti d’asfalto distribuiti per la città di Boston, contando i lumicini dei lampioni accesi, domandandosi chi ci fosse dietro quelle finestre illuminate che punteggiavano i grattacieli, chiedendosi se quelle persone, le cui ombre transitavano fugacemente oltre i vetri, fossero più felici di lui e interrogandosi sulle loro enigmatiche, impenetrabili esistenze che gli sarebbero rimaste ignote per sempre.
Si trovava per l’appunto in ufficio, la mattina del cinque settembre, e stava compilando la polizza assicurativa di un certo Gary Thompson, di cui non ricordava la fisionomia, quando entrò un uomo in abito scuro che andò a prendere posto sulla seggiola posizionata davanti alla sua scrivania, levandosi gli occhiali neri ed esibendo un distintivo dell’FBI.
«Devo porle una sola domanda, signor McGale» principiò con calma il nuovo arrivato, squadrandolo con attenzione.
«Mi dica» lo invitò a proseguire Gerald.
«Ci sta?» chiese l’uomo, senza perdere altro tempo, e Gerald McGale sorrise apertamente.