Ovunque
si guardasse attorno, Roberto vedeva solo gente spaventata. Stavano capitando
loro cose che avevano dell’incredibile, questo bisognava per forza ammetterlo, e pochi
sembravano in grado di digerirle con facilità.
Stranamente,
il prete era l’unico ad apparire tuttora calmo. Come un’isola di tranquillità
in mezzo al mare tumultuoso, se ne stava in disparte con un gruppetto sempre
più nutrito di passeggeri attorno, parlava con loro e rivolgeva a destra e a
manca sguardi comprensivi e rassicurazioni. Teneva in piedi una parte della
folla, la sorreggeva e si assicurava che non inciampasse nella paura. Il suo
era un compito importante, rifletté Roberto mentre tornava a concentrarsi sul
respiro lento e regolare del signor Nicola. Forse il compito più importante tra
tutti quelli che avrebbero potuto svolgere.
La
confusione era diventata il nuovo nemico da combattere. In molti volevano
andarsene, ancora di più da quando avevano visto materializzarsi la figura
insanguinata di Nicola. Era una questione spinosa, perché Carlo non aveva più
detto nulla al riguardo nelle ultime ore. Se ne stava seduto con Giacomo a pochi
passi da Nicola e non mormorava una parola. Il controllore, dal canto suo, era
risalito sul treno e nessuno lo aveva più visto scendere.
«Pensi
si riprenderà presto?» sussurrò Francesca. Stava seduta di fianco a Roberto e
parlò a bassa voce per non farsi sentire dalla moglie del signor Nicola, che era
poco distante assieme a un paio di altre donne più o meno della sua età.
«Credo
di sì. Ma non sappiamo perché abbia perso i sensi. Non di certo per le ferite,
perché sono tutte superficiali. Dev’essere stato qualcos’altro. Dà quasi
l’impressione di essere rimasto sveglio per una settimana intera, da quanto
sono profonde le sue occhiaie…» considerò Roberto. Si sentiva irrequieto ed era
una sensazione che non gli piaceva. Come se le cose gli fossero
irrimediabilmente sfuggite di mano e l’istinto gli suggerisse che ogni
tentativo di recuperarle sarebbe risultato vano.
«Siamo
in pericolo?» domandò ancora Francesca, abbassando ulteriormente la voce.
«Non
lo so. Penso di no, per ora. Ma lo saremo presto» rispose accennando a Nicola.
«L’auto con cui lo abbiamo mandato a cercare aiuto non c’è nel parcheggio della
stazione. Significa che è tornato indietro a piedi, in quelle condizioni. Non
possiamo neanche immaginare cosa gli sia capitato, ma dubito sia qualcosa di
buono.»
«Già…»
accettò Francesca senza riserve, e gli rivolse un sorrisetto malinconico.
Roberto
la guardò teneramente. Coprì il mezzo passo che li separava e le posò
delicatamente una mano sulla pancia. «Andrà tutto bene. Ne usciremo presto. Poi
potremo occuparci di tutto il resto.»
«Lo
so. Continuo a pensarci. Non riesco a togliermelo dalla testa. Nemmeno quello
che è successo al signor Nicola è riuscito a distogliere i miei pensieri dal
bambino. Che cosa dovremmo fare?»
Roberto
guardò l’orizzonte dietro di lei. Si rese conto per la prima volta che faceva
freddo, e che forse le due coperte che avevano disteso sul signor Nicola non lo
avrebbero tenuto al caldo ancora per molto. Il sole di mezzogiorno aveva fatto
ben poco per intiepidire l’aria e adesso il pomeriggio incominciava già a
lavorare sui contorni delle ombre, divorando sempre più brandelli di luce.
Anche
lui aveva pensato intensamente al loro bambino, per tutto il giorno, senza mai
riuscire a toglierselo dalla testa. Non aveva idea di che cosa avrebbero dovuto
fare, di come si sarebbero dovuti comportare. Per il momento erano gli unici
due a saperlo, non lo avevano rivelato a nessuno. Ma i segreti si sgretolavano
in fretta, e questo in particolare era talmente grande che quando si fosse
frantumato sarebbe potuto tranquillamente crollare loro addosso e schiacciarli
sotto le macerie.
«Francamente?
Non lo so, ci sto ancora pensando. Si tratta del nostro futuro, in fin dei
conti. Di un’infinità di possibilità cancellate per sempre, nel momento in cui
decidessimo di tenerlo. Ma allo stesso tempo mi domando: è giusto cancellare le
sue, di possibilità?»
«Me
lo domando anch’io» ammise Francesca. Adesso aveva gli occhi lucidi, ma non
piangeva. Si rendeva conto che era una decisione che avrebbe trasformato le
loro vite per sempre, in entrambi i casi. Più che altro, a loro non restava che
scegliere in quale modo il loro futuro sarebbe cambiato.
«Niente
più università, non all’inizio almeno, e dovremmo cominciare a lavorare per
mantenerci il prima possibile. I miei genitori non ne sarebbero molto
entusiasti. Contano molto sui miei studi, sul mio futuro. E lo stesso vale
anche per tutti gli altri miei parenti, così come, immagino, anche per i tuoi.
Ma negare completamente un qualsiasi futuro a questo bambino… Non lo so, mi
sembra… Sbagliato, ecco tutto.»
Francesca
annuì in silenzio. Roberto le sorrise. Era un bel momento. Non erano più
riusciti a parlarsi così apertamente, negli ultimi tempi, e gli mancava poterle
confidare paure e speranze come aveva sempre fatto in passato. Si erano un po’
allontanati, anche e soprattutto per la questione della gravidanza e per il
semplice fatto che avevano preferito rimandare l’argomento il più a lungo
possibile. Ma adesso si stavano finalmente riavvicinando, e le cose
cominciavano ad andare meglio. Avrebbero rimesso al proprio posto tutti i
pezzi, ne era sicuro.
«Non
so nulla» proruppe la voce fievole di Nicola, emergendo dal silenzio in un
rantolo soffocato. Aveva gli occhi chiusi, ma si dimenava nel sonno come se
qualcuno lo stesse tenendo fermo. Stava avendo un incubo.
Carlo
e Giacomo si fiondarono accanto a Roberto e Francesca e il poliziotto chiamò
più volte il nome del signor Nicola, tentando invano di ridestarlo.
«Non
so nulla, non so nulla! Vi prego, lasciatemi andare! Lasciatemi!»
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