Trasfigurazione, l’avevano chiamata. E non si trattava del nome di un incantesimo tratto dai libri di Harry Potter. Dopo i primi attacchi terroristici nucleari, in seguito ai quali il mondo aveva cambiato faccia, tramutandosi in una maschera grottesca e imperturbabile, era questo il nome che era stato assegnato a quel processo di trasformazione che aveva portato il pianeta ad assumere le sembianze di un luogo ostile e inospitale, più che di un’accogliente casa per l’umanità.
La Trasfigurazione era stata inevitabile, si sapeva. Gli interessi delle compagnie petrolifere, i soprusi nei Paesi del Terzo Mondo per assicurarsi le ultime risorse di combustibili fossili rimanenti, il continuo inquinamento delle acque, con la conseguente desertificazione di intere nazioni un tempo fertili e abbondantemente popolate. Tutto era stato previsto. E ogni cosa si era susseguita, immancabilmente, allo stesso modo in cui era stata anticipatamente descritta.
Dopotutto, si era trattato semplicemente di una serie ripetuta di incalcolabili errori umani. Ma quante vite erano costati, quegli sbagli? Impossibile saperlo. D’altro canto, forse era addirittura meglio non venire a conoscenza di un dato tanto spaventoso. A volte, bisogna ammetterlo, certi segreti è meglio che rimangano tali per il bene di tutti.
Charlie lo ricordava. Era un ragazzo sveglio, e buona parte delle informazioni che transitavano per la sua piccola comunità, passando di bocca in bocca, non se ne andava inosservata. Sapeva che dei rigogliosi, idilliaci territori australiani non rimaneva altro che un cumulo di cenere. Aveva anche sentito dire che negli Stati Uniti restavano poche città ancora in piedi. Così poche che si potevano persino contare sulle punte delle dita.
Aveva solo cinque anni, all’epoca della Trasfigurazione, e adesso ne erano trascorsi tredici da allora, ma ancora ricordava bene tutto quanto. Gli allarmi lanciati in tivù e alla radio quando le prime flotte aeree provenienti dall’Oriente avevano sorvolato l’Europa, attraversato l’Atlantico e bombardato le maggiori capitali americane. Gli appelli dei vari capi di Stato, quando avevano chiesto alle rispettive popolazioni di trovare un rifugio sicuro in vista di un possibile conflitto nucleare. La preghiera del papa, a Roma, che supplicava le parti coinvolte di gettare le armi per il bene dell’umanità, pochi minuti prima che Piazza San Pietro fosse spazzata via assieme al resto della gloriosa città eterna – non più eterna, ormai, pensò con una punta di amarezza.
Lui e la sua famiglia, quella notte, avevano dormito in cantina, senza aver cenato. Mamma pregava, snocciolando spasmodicamente, con mani tremanti, i grani di un Rosario. L’angoscia le aveva dipinto il volto di nero, calandole sugli occhi un velo di lacrime. Papà invece se ne stava zitto, in disparte, e teneva lo sguardo inespressivo fisso sulla porta, probabilmente pensando che non sarebbero arrivati vivi all’indomani. Il suo viso, criptico, pareva abbozzato con il carboncino.
Per quell’unica volta in vita sua, papà si era sbagliato. Dopo una notte buia e straziante, dell’apparente durata di una settimana e mezza, l’alba del mattino seguente li aveva salutati con un rosso cipiglio di fuoco e sangue che aveva spruzzato le nuvole di una tetra tonalità cremisi.
La nottata successiva l’avevano trascorsa in un bunker appositamente allestito al centro della regione, dove un gruppetto di soldati aveva trascinato ciò che rimaneva dei cittadini per tenerli al sicuro. Le strade erano affollate di pazzi che correvano in ogni direzione, sparando contro le case e gridando che l’apocalisse era arrivata. Charlie aveva avuto paura, quando ne aveva intravisto uno venire verso di loro, e i militari lo avevano freddato lì sul momento, sotto i suoi occhi inorriditi e la sua pelle accapponata, mentre mamma piangeva.
Avevano trascorso nel rifugio antiatomico quattro, forse cinque settimane – dopo i primi giorni aveva smesso di contare, mamma continuava a mormorare le sue invocazioni e papà non apriva bocca per ore intere, assorto nei propri insondabili pensieri. Quando erano usciti, alla fine, non avevano trovato altro che polvere. Del mondo intero, dopo appena un mese, era rimasta soltanto una vasta, interminabile distesa di polvere costellata di macerie.
Ripensando a quei terribili momenti, quando in piena estate, sotto un sole cocente, il sangue gli si era ghiacciato nelle vene, smettendo per qualche attimo di circolare e facendogli percepire un inesprimibile, macabro brivido lungo la schiena, Charlie si sentì disorientato. Dovette sedersi per qualche istante, su una roccia che affiorava dal versante del colle, per riprendere fiato. Chiuse gli occhi, rivedendo stampigliate dietro le palpebre le figure dei suoi genitori – mamma che pregava, come sempre, gli occhi verdi che affogavano nelle lacrime, senza via di scampo; papà che non lasciava trapelare alcuna delle sue emozioni, serio e taciturno, la fronte aggrottata e le mani affondate nelle tasche dei pantaloni. Il fuoco aveva cancellato quelle immagini dalla realtà ancora molto tempo prima, lasciando che continuassero a vivere soltanto nella sua mente. Mamma e papà erano morti già da quattro anni. Non c’era più niente che potesse fare per loro, così come in quell’occasione non aveva potuto fare niente per impedire che se ne andassero, si ripeté mentalmente, afferrandosi la testa tra le mani. Ma questo non gli impediva di soffrire ugualmente.
Almeno di una cosa era cosciente: non erano i ricordi a fargli male, ma era lui che, giorno dopo giorno, rinnovava il proprio dolore per mezzo di essi.
Si rialzò, dopo qualche secondo di pausa per scacciare quelle memorie, e riprese a muoversi di buon passo lungo il sentiero che si inerpicava verso la sommità della collina, percorrendone la delicata pendenza con assoluta tranquillità. Era l’alba, e il sole indorava l’erba giallognola che occupava i due lati della via, conferendole un lugubre aspetto ancora più esangue. Charlie osservò le nuvole che veleggiavano serene e sicure all’orizzonte, rosee e gonfie. Non erano nubi che avrebbero portato pioggia, purtroppo. Doveva sperare in una fonte poco più in alto, quando avrebbe cominciato a salire la montagna dietro quel colle, perché ormai la riserva nella sua borraccia era quasi del tutto esaurita.
Ripercorse con la mente i primi mesi successivi alla Trasfigurazione, quando le principali potenze mondiali erano state messe in ginocchio e i superstiti principiavano a radunarsi in piccole comunità nelle zone più lontane dai resti delle vecchie città, alla ricerca di un luogo sicuro dove rifugiarsi. C’erano molti gruppi che scorrazzavano per le pianure saccheggiando e depredando tutto quello che riuscivano a trovare, e ancora adesso capitava molto spesso di imbattersi in qualche carovana di uomini che puntavano le armi contro le comunità e pretendevano tutto il cibo e l’acqua per sé. Bisognava stare attenti a quei tipi. Erano la faccia oscura di ciò che dell’umanità non si era ancora estinto.
Un anno dopo la Trasfigurazione, dall’Asia era sopraggiunta una terribile zaffata di un’epidemia denominata “Morte Rossa”, il cui nome derivava da quello di un morbo descritto da Edgar Allan Poe in uno dei suoi racconti – i sintomi coincidevano alla perfezione. Le persone morivano a centinaia, in atroci sofferenze, e le comunità avevano cominciato a spostarsi sempre più verso ovest, dove la Morte Rossa pareva non avesse ancora conficcato le proprie radici. Si era venuti a sapere, qualche tempo più tardi, che quell’orribile contagio era stato creato in laboratorio negli Stati Uniti, alcuni mesi dopo la Trasfigurazione, ed era stato diffuso per tutta l’Asia allo scopo di eliminare quei nuclei terroristici che ancora persistevano in alcune zone. L’effetto più triste si era ripercosso sulla stessa America: un bel giorno, mentre un’equipe di scienziati lavorava ad una nuova mutazione dell’infezione, volta a renderla più forte e maggiormente trasmissibile, si era verificata una minuscola, imprevista fuoriuscita dai laboratori, e così… Dopo le bombe nucleari, l’altra metà degli Stati Uniti era stata spazzata via dall’agonia della Morte Rossa.
Charlie evitò accuratamente un enorme masso che ostruiva il passaggio, probabilmente rotolato giù dalle montagne durante una frana chissà quanto tempo prima, e avanzò in direzione della macchia d’alberi che si scorgeva in lontananza – alberi nuovi, ancora giovani, rappresentanti di una generazione che avrebbe forse ritinteggiato quei territori di verde. Si guardò rapidamente attorno, senza fermarsi. I boschi erano pericolosi. Potevano esserci dei predoni in agguato, o peggio ancora delle comunità ostili che avevano cercato riparo tra le ombre del sottobosco. Doveva prestare attenzione, si ammonì mentalmente senza variare l’andatura.
Il sole pian piano si stava sollevando dalla sua rosseggiante valle di nascita, lontano, dietro i profili frastagliati delle grandi catene montuose dell’est. Sarebbe stata una giornata fredda, comunque, sole o non sole. Ultimamente faceva sempre un gran freddo, nonostante l’inverno apparisse ancora lontano.
Charlie si tuffò languidamente nel ricordo del giorno in cui lui e i suoi genitori si erano recati in biblioteca. Era un mattino identico a quello, con il sole che rifulgeva all’orizzonte e un’aria talmente gelida da incollare le palpebre se solo si provava a tenerle chiuse per troppo tempo. Si erano vestiti di tutto punto, con pesanti cappotti, sciarpe, berretti, guanti, scarponi e occhiali scuri, e assieme ad un paio di uomini della comunità si erano incamminati per raggiungere il centro della metropoli le cui rovine si stendevano a dieci chilometri dal loro accampamento. Avevano camminato per un paio d’ore buone, prima di arrivare sul tetto della biblioteca, l’unica parte dell’edificio che ancora affiorasse dalla sabbia che aveva conquistato la città. Suo padre era un giornalista, prima della Trasfigurazione, e un uomo colto, perciò quando toccava a lui andare a cercare il cibo muoveva sempre la sua squadra in quella zona e ne approfittava per sottrarre un paio di libri a quei vecchi scaffali polverosi dov’erano stati lasciati – e dove probabilmente sarebbero rimasti per l’eternità, se suo padre non fosse andato a salvarli per riportarli al campo.
Sorrise, quasi impercettibilmente, alla reminiscenza di quello che diceva certe volte suo padre. “Figliolo, tieni sempre bene a mente una cosa sola: per quanto gli uomini possano odiarsi e combattersi l’un l’altro, fino a raggiungere la soglia dell’estinzione, i libri non smetteranno mai di rendere immortali i nobili sentimenti che aleggiano nei loro animi da quando sono venuti al mondo. Il pianeta potrà anche scomparire, ma il sapere degli uomini, contenuto nei libri che hanno scritto durante secoli di storia, non tramonterà mai.” Era tutto vero, si disse con una punta di rimpianto. Tutto quanto vero, dall’inizio alla fine.
Giunti sul tetto della biblioteca, quel mattino di tanti anni addietro, suo padre gli aveva mostrato il passaggio che aveva scoperto nella sua prima visita alcuni mesi prima, rivelando un abbaino coperto da alcune tavole di legno. Con l’aiuto di una scala a pioli si erano calati all’interno, e le tremule fiammelle delle candele che si erano portati appresso li avevano aiutati a leggere i titoli e gli autori scritti sui dorsi delle centinaia di migliaia di tomi che si scorgevano a perdita d’occhio su quegli scaffali senza età.
Prima di inoltrarsi tra gli alberi del boschetto che gli stava dinanzi, i mille occhi pigri delle foglie che agitandosi sui rami ad un alito di vento lo invitavano a seguire il sentiero che si immetteva tra quel colonnato di tronchi, si fermò per riprendere un attimo fiato. Salire era dura, anche se quella via di collina transitava ancora su di un pendio piuttosto lieve. Stava tenendo da parte l’acqua per quando ne avrebbe davvero avuto bisogno, e non aveva alcuna garanzia di trovarne più tardi, salendo di altitudine, perciò doveva servirsene con l’avveduta accuratezza di un contagocce. Sulla pianura che si allargava sotto i suoi piedi c’era gente ben disposta ad uccidere una famiglia intera per quelle quattro sorsate d’acqua che gli rimanevano sul fondo della borraccia.
Si spostò adagio sul versante più esterno del sentiero e rimase immobile per qualche minuto a contemplare l’agghiacciante panorama. La pianura che si allargava oltre le punte rinforzate dei suoi scarponi, un tempo fertile e lussureggiante, si presentava adesso come un arido, brullo deserto dai contorni vaghi e deformi, spesso delineato da profondi crateri generati chissà quando – la loro comunità si era trasferita in quei territori soltanto da due anni – e con Dio solo sapeva quali generi di armi di distruzione di massa. Il riverbero che i raggi del sole producevano sulla sabbia dorata era accecante, tuttavia si riusciva lo stesso a intravedere molto. Le strade, minuscole striscioline di neri manti d’asfalto arsi dal sole, erano state in gran parte cancellate, ma alcune erano ancora distinguibili per via delle interminabili colonne di automobili arrugginite che sfilavano su di esse, rimaste lì per il riposo eterno dopo che i proprietari in fuga dalla città, anni addietro, le avevano abbandonate per tentare di scappare a piedi con le proprie famiglie.
Che scenario spettrale, sussurrò una voce dentro la testa di Charlie. Davvero c’erano stati uomini che avevano fatto tutto questo ai propri simili? A Charlie non risultava poi tanto difficile capire che certe persone avessero commesso quei genocidi per interessi, perché d’altronde nella realtà in cui viveva, dove l’umanità era divisa in piccole o grandi comunità in lotta costante per accaparrarsi le poche risorse disponibili su quei pezzi di terra non ancora del tutto morti, questo genere di massacri era all’ordine del giorno. Ma il fatto che durante la Trasfigurazione le stesse risorse naturali che il mondo donava incessantemente all’uomo fossero state spazzate via con una successione di bombardamenti nucleari… Questo sì gli appariva inconcepibile. Nessuno, in quel mondo martoriato che i sanguinosi padri della Trasfigurazione avevano lasciato loro in eredità, nemmeno il più vile tra gli assassini, avrebbe mai commesso consapevolmente un atto simile.
Sospirò, quindi si separò da quella visione surreale per avventurarsi nei meandri ombrosi oltre la soglia del fitto bosco. I suoi passi lì sotto erano attutiti, ma il fruscio che producevano le suole degli scarponi sulle foglie secche risultava inconfondibile. La vegetazione era così folta che i raggi del sole riuscivano a malapena a stampigliare un tappeto di monetine di luce sul sottobosco scuro. L’umidità, in quella galleria fatta di rami intrecciati, era la vera padrona di casa.
Dopo aver attraversato qualche centinaio di metri di bosco, Charlie si immobilizzò. I suoi occhi, attenti, scivolarono su uno spiazzo libero poco più avanti, dove un carro di legno stava accostato al margine del sentiero, fermo e apparentemente abbandonato.
Meglio essere prudenti, ragionò in fretta Charlie. Si abbassò, con movimenti lenti e misurati, e, dopo aver tirato su il risvolto dei pantaloni in jeans che indossava, afferrò saldamente l’impugnatura di un pugnale nascosto in un piccolo fodero all’altezza del polpaccio. Fece scivolare fuori la lama, silenziosamente, e la nascose nella manica affinché il riflesso della luce del sole sul metallo non tradisse la sua presenza. La mano rimasta libera, nel frattempo, andò taciturna alla cintura di pelle che gli cingeva la vita. Quando i suoi polpastrelli saggiarono timidamente la sensazione gelida del ferro della pistola che portava sul fianco, percepì un’insperata ondata di sicurezza che lo travolse con l’impeto e la subitaneità di un impetuoso acquazzone primaverile.
Era abile nella caccia, esperto nell’uccidere gli animali con i quali doveva nutrire se stesso e la propria comunità, ma non si era mai dovuto scontrare faccia a faccia con un altro uomo. Almeno non prima di allora, soggiunse tra sé e sé quasi istintivamente.
Si avvicinò al carro a passi felpati, senza fare rumore. Non era stato scoperchiato: un drappo di tela occultava alla vista ciò che conteneva. Che ci fossero dei viveri, lì dentro? Oppure qualche brigante che si nascondeva, pronto ad aggredire il primo passante e a sgozzarlo senza pietà per sottrargli le armi e l’acqua? Non rimaneva che scoprirlo, si convinse, così, senza indugiare oltre, scattò in avanti, ghermì con una mano la stoffa che copriva il carro e la scostò con un solo, rapido colpo, facendola svolazzare di lato e ricadere pesantemente sulla polvere del sentiero.
Indietreggiò, inorridito di fronte ad uno scenario che aveva già visto innumerevoli volte. Era sempre così difficile stare a guardare quando si presentavano agli occhi immagini del genere… Si avvertiva un tormentoso senso di impotenza, come se ci si fosse ridotti ad essere degli inermi pupazzi inanimati sui cui occhi vitrei scorrevano fiumi di lacrime e sofferenza.
Riversi sul carro, scomposti, c’erano i corpi di un’intera famiglia: padre, madre e due figlie piccole. L’uomo reggeva una pistola tra le dita fredde della mano destra. Senza caricatore – probabilmente qualcun altro era passato prima di lui e aveva pensato bene di recuperare le munizioni, forse quel qualcuno che aveva coperto il carro con quel drappo di tela che lui aveva appena rimosso. I quattro cadaveri giacevano in una pozzanghera di sangue raggrumato, e avevano gli occhi vacui ancora spalancati – proprio come quelli di inermi bambolotti di pezza – come a chiedere ad un’entità invisibile di avere un briciolo di misericordia.
Charlie non poteva sopportare oltre la vista di quell’orripilante scena. Basta sangue. Ne aveva già dovuto vedere a sufficienza, nei suoi diciotto anni di vita. Recuperò il telo dal sentiero, lo riadagiò sui corpi della famiglia e riprese il suo cammino. Non poteva permettersi di ritardare troppo. La sua borraccia sembrava diventare più pesante ad ogni minuto che passava, come a suggerirgli che l’acqua al suo interno, in fin dei conti, non era poi così poca. Non doveva starla a sentire. Lo sapeva che era poca. Lo sapeva eccome. Doveva sbrigarsi, o il peso della borraccia sarebbe diventato insostenibile.
Aumentò l’andatura e poco dopo uscì da quel bosco in cui si aggirava, presente e palpitante, la densa e gravosa atmosfera di una cupa maledizione. Si volse a sondare con lo sguardo l’oscurità di quel porticato d’alberi, e scorse qualcosa muoversi al suo interno. Preferì non approfondire, così riprese a camminare rapidamente e ad allontanarsi da quel posto dimenticato da Dio.
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