lunedì 30 marzo 2015

Le Anime di Eglon - Prima Stagione - Episodio 20

«Per adesso, l’essenziale è non farci beccare. Abbiamo tempo, e senz’altro le risorse non ci mancano. Ma il progetto va escogitato minuziosamente, altrimenti rischiamo di far saltare l’intera copertura. D’accordo?»
Gli occhi erano puntati su di lui. Tutti gli occhi, e questo significava che lo stavano ascoltando. Era sicuro di aver esposto con sufficiente chiarezza la situazione, ma allo stesso tempo temeva che qualcuno dei presenti non avesse pienamente afferrato la delicatezza dell’operazione in ballo. Ma, d’altro canto, non era un problema suo: i rischi erano stati svelati, e adesso spettava a ciascuno di loro prendere una decisione.
Bisognava agire, e bisognava farlo in fretta se si voleva arginare il problema prima che assumesse le colossali proporzioni di una calamità biblica.
«Io ci sto, sceriffo. Conti pure su di me» approvò Jason Krain con fare deciso e sprezzante.
«Non lo so, a dire il vero scorgo molta foschia su quest’operazione…» borbottò incerto Steve Corall, grattandosi furtivamente la punta del naso.
«Ti capisco, Steve. Gli elementi che abbiamo sono pochi, ma forse stavolta basteranno a incastrare quel bastardo una volta per tutte» sentenziò risoluto lo sceriffo Gordon Fillback.
Passò in rassegna le espressioni assorte dell’esiguo grappolo di poliziotti che sedevano attorno alla scrivania del suo ufficio. Erano confusi e insicuri, ma allo stesso tempo leggeva sui loro volti la convinzione che fosse necessario agire in fretta.
«Ascoltatemi. Non è come quella volta in cui lo abbiamo messo dentro con l’accusa di corruzione e ne è uscito due settimane dopo con la mente occupata dall’idea di vendicarsi dei poliziotti che lo avevano beccato: stavolta è diverso. Ce l’abbiamo praticamente nel sacco, e lo possiamo schiacciare sotto il tacco della scarpa come uno scarafaggio!»
«E chi ci dice che l’informatore sia completamente affidabile, o che non sia stato addirittura depistato?» intervenne uno dei poliziotti, dubbioso.
«L’informatore è troppo vicino al nostro uomo perché possa essere stato raggirato, e allo stesso tempo lo detesta talmente tanto da essere disposto a qualunque cosa pur di vederlo finire dietro le sbarre per un lungo, lunghissimo periodo di tempo» ribatté tranquillamente Gordon Fillback. «Parlo di sua sorella, naturalmente.»
Un mormorio concitato attraversò l’ufficio da una parete all’altra, smuovendo la polvere che si era accasciata sugli angoli più inaccessibili del pavimento. Lo sceriffo Gordon Fillback avvertì chiaramente la tensione elettrica che per qualche istante fluì all’interno dell’ambiente.
«Sua sorella? Questo cambia le carte in tavola, sceriffo. Decisamente» commentò Steve Corall massaggiandosi l’estremità del mento.
«Già. Allora, che ne dite?»
«Dico che ci stiamo tutti quanti. Non è vero?»
Un unico cenno d’assenso sgattaiolò da uno sguardo all’altro, emergendo come un’automobile a fari spenti da un banco di nebbia particolarmente fitto.
«Allora andiamo ad ammanettare quel cane di Joey Goode!» concluse lo sceriffo Fillback alzandosi senza indugio dalla sedia e afferrando vigorosamente la pistola d’ordinanza riposta all’interno del primo cassetto della scrivania.

lunedì 23 marzo 2015

Le Anime di Eglon - Prima Stagione - Episodio 19

Correva nelle tenebre. Anzi, meglio: fuggiva nelle tenebre, e le sue gambe erano pale di un mulino a vento che guizzavano nell’aria sopra l’infinita campagna olandese.
Tutto ciò che rimaneva di lui, adesso, era quel paio di gambe che correvano a perdifiato nel buio. I suoi passi giungevano attutiti, ovattati alle sue orecchie. Il contatto delle suole con l’asfalto era smorzato da qualcosa che non riusciva a individuare. Però… Era qualcosa, e questo è quanto.
La confusione che l’immagine di quel mulino sullo sfondo gli suscitava era a dir poco dolorosa. Dolorosa? Sì, avanti, diciamo pure dolorosa. Anche se… No dai, andava bene. Andava bene così, e Gary Hullman non avrebbe saputo spiegare con un aggettivo migliore le proprie sensazioni.
Le sue gambe continuavano a correre nelle tenebre, a fuggire, e i suoi passi e il suo respiro affannato giungevano da lontano, come se fossero rumori separati e distanti dal suo corpo. Il che era impossibile, giusto? Eppure lo percepiva, e quello che avvertiva dentro di sé era innegabile. Come poteva d’altronde giustificare il contrario di ciò che sentiva, se lo sentiva?
Più confusi di così non si può essere, valutò tra sé e sé senza smettere di correre né rallentare l’andatura. Main Street era ai suoi piedi, si srotolava sotto i suoi
(piedi di pietra)
piedi, e lui non si sarebbe fermato finché le luci del giorno non si fossero svelate ai suoi occhi confusi e cerchiati di oscurità.
«Sono Rapidoman, e sto volando sulla strada a velocità spaventosa sulla mia motocicletta fatta di burro fuso! Prova a prendermi, se ci riesci, Uomo Nero!» strillò con un tono di voce paurosamente acuto, per certi versi quasi femminile.
Scoppiò a ridere e subito smise, perché di nuovo fu ipnotizzato dal movimento ipnotico che le sue gambe producevano mulinando nelle tenebre in una folle fuga
(corsa)
dalle ombre della sua fantasia
(l’Uomo Nero)
che lo inseguivano senza pietà.
La sedia sulla quale si trovava finì pericolosamente in bilico sulle due gambe posteriori, si sbilanciò e cadde all’indietro, producendo un sonoro schiocco sul pavimento di linoleum della cucina accompagnato dalle risate di Gary.
L’acido che si era sparato quella sera era più forte di quelli che usava di solito, ma lui non se ne rendeva nemmeno conto. Tutto ciò che gli importava, in quel momento, erano le sue gambe che come un mulino a vento cercavano di scappare dall’aria ma non ci riuscivano, condannate per l’eternità a farsi afferrare dalla loro nemica e a farsi sbattere di qua e di là come delle puttane.
L’Uomo Nero provava una certa pena per lui, nel profondo del suo animo dilaniato. Ma in superficie, per dirla tutta, lo disprezzava intensamente e lo trovava sfacciatamente patetico.
«Vediamo quanto corri veloce, Rapidoman, con un pallino di piombo nel cervello…» sussurrò l’Uomo Nero appoggiando la canna della pistola sulla fronte imperlata di sudore di Gary Hullman, in mezzo a quegli occhi arrossati e lucidi in cui le pupille erano diventate grosse come fori di proiettile.
Gary esplose in una fragorosa risata, l’ultima della sua miserabile esistenza. «Bye bye baby» canticchiò l’Uomo Nero, e premendo il grilletto si ritrovò la maschera schizzata di sangue fresco.

lunedì 16 marzo 2015

Le Anime di Eglon - Prima Stagione - Episodio 18

Quella notte, particolarmente densa e scura, non era uguale a tutte le altre. Le nuvole che nascondevano la città di Eglon dagli sguardi indiscreti e a tratti maliziosi della luna erano fitte come una vallata di neve al buio. Ci si sarebbe potuto sciare piuttosto piacevolmente, se soltanto il cielo e la terra si fossero capovolti, scambiandosi di posto. Ma le nubi rimanevano sempre lassù, spostandosi pigramente da una parte all’altra come una mandria intenta a brucare, mentre quaggiù restavano immobili gli edifici e i palazzi, le strade e le vie, le auto spente e i lampioni accesi.
Ciò che rendeva diversa quella specifica notte rispetto a tutte le altre era il profondo silenzio che ammantava la città, intimo e intenso come un segreto sussurrato in un orecchio. Nelle zone prossime alle rive del fiume Arkansas, l’unico rumore che infrangeva quella barriera di silenzio era il lento mormorio dell’acqua che scorreva senza fretta, trascinando con sé minuti, foglie secche, vite e ricordi.
Per impedire che qualcuno si potesse arrampicare lungo le sponde del fiume, risalendo con un’imbarcazione il corso d’acqua e penetrando in città, erano state innalzate numerose torrette di controllo e la riva era stata bloccata da un reticolato di filo spinato alto almeno due metri. Ciononostante, lo sciacquio lento del fiume passava lo stesso, camminando adagio sulle strade dei quartieri circostanti e procedendo tranquillo oltre le soglie delle abitazioni più vicine.
Ma uno dei vicoli era dominato da un rumore isolato, che da solo spezzava il ritmo uniforme e impalpabile dello sciabordio del fiume Arkansas.
Era un rapido scalpiccio, un tamburellare di passi che si rincorrevano veloci sull’asfalto freddo. E il respiro corto di due persone, rimaste quasi senza fiato.
Una ragazza di una ventina d’anni sbucò fuori dall’angolo formato da due case vicine, affaticata e con il viso arrossato. Indossava jeans stretti e un maglioncino leggero e correva rapida lungo il marciapiede che costeggiava il vicolo, gettandosi un’occhiata ansiosa alle spalle di quando in quando.
Dietro di lei apparve uno dei rivoluzionari, con una maschera completamente nera sul viso che lasciava trapelare soltanto gli occhi e la bocca attraverso sottili fori bordati da cuciture grigie. Inseguiva la ragazza che cercava di sfuggirgli, guardandole il sedere e la coda di capelli castani che si muovevano a destra e a sinistra seguendo lo stesso ritmo.
Era un vicolo cieco, e quando la ragazza realizzò di non poter proseguire oltre il suo viso si drappeggiò di un’espressione d’orrore. Era in trappola. Rallentò e le salirono le lacrime agli occhi. Il ribelle le fu dietro in meno di un secondo, la afferrò con entrambe le mani e le si premette contro, immobilizzandola.
«No, ti prego!» strillò la giovane tentando di divincolarsi, singhiozzando e piangendo. L’uomo la spinse in malo modo contro una porta a lato della strada e le infilò fulmineamente una mano sotto il maglioncino, prendendole un seno e stringendolo con forza, senza curarsi del male che le fece. Lei ansimò sconsolata, il petto scosso dai singulti e il volto inondato di lacrime.
Il rivoluzionario le premette la maschera sul collo e riuscì a sfiorarle la pelle con la lingua, mentre con la mano rimasta libera armeggiava con il bottone dei jeans della ragazza. Riuscì ad averla vinta e le tirò giù i jeans e le mutandine con un unico strattone, obbligandola a piegarsi in avanti e accarezzandole le natiche lisce e sode, tremanti.
Si abbassò i pantaloni frettolosamente, allargando le gambe alla ragazza con una mano mentre con l’altra continuava a schiacciarle brutalmente un seno, e di colpo la giovane sentì allentarsi la pressione esercitata dalle mani dell’aggressore e percepì il corpo dell’uomo crollare a terra alle sue spalle, finendo disteso sull’asfalto con la testa sfondata su di una pozzanghera di sangue in espansione.
Si voltò e tutto ciò che vide fu una maschera blu con una ragnatela rossa sulla sinistra e una croce avvolta dalle fiamme sulla destra, sovrastata da un elmetto da soldato color verde militare.
Poi mise a fuoco, e si rese conto che quell’uomo impugnava una pistola munita di silenziatore con la quale aveva appena sparato in testa al ribelle che aveva cercato di stuprarla.

venerdì 13 marzo 2015

Lacrime di Cenere: qualche anticipazione

Buongiorno, mio Carissimo Lettore!
Allora, come andiamo? È già passata una settimana dalla pubblicazione ufficiale del Volume 1 di Lacrime di Cenere: l'edizione integrale del romanzo sta andando bene, su Amazon. Per essere una nuova uscita di un autore pressoché sconosciuto, sta raccogliendo i suoi consensi, e devo dire di esserne soddisfatto.
Ma non ho intenzione di rimanere qui con le mani in mano: sto già lavorando al Volume 2, che conto di riuscire a pubblicare nel giro di qualche mese. Il titolo del Volume 2 di Lacrime di Cenere è già stato svelato nel Commento dell'Autore al termine del Volume 1, per chi ha acquistato l'edizione integrale.
A questo punto te lo posso dunque comunicare anche qui. Il titolo ufficiale del Volume 2 di Lacrime di Cenere sarà: A Un Passo dalla Vita.
Presto ti potrò mostrare anche la copertina. Non vedo l'ora di fartelo leggere! Ti ricordo, comunque, che mentre il Volume 1 è stato in parte pubblicato anche qui, su Scrivere Sotto la Luna, in versione ridotta, il Volume 2 sarà disponibile esclusivamente nell'edizione integrale, prossimamente acquistabile su Amazon a 0,99 euro.
Non mi resta che riproporti il link al Volume 1: In Fuga dalla Morte. Ti auguro una buona lettura e, soprattutto, un buon viaggio!

lunedì 9 marzo 2015

Le Anime di Eglon - Prima Stagione - Episodio 17

Il comandante Smith ammirava la visione cupa e densa di orrore della città di Eglon, sdraiata languidamente sotto un cielo rannuvolato in mezzo alla splendida e feroce campagna dell’Arkansas. Il silenzio era tremendamente sterile. Eppure così pieno… Le luci degli edifici si riflettevano sulle acque placide del fiume che scorreva accanto al centro abitato. La notte, in quell’insieme, dava quasi un’impressione di tregua. Ma Smith sapeva che la città stava soffrendo, ed era consapevole della propria terribile impotenza.
Sospirò, le mani affondate nelle tasche e l’espressione assorta. Stava in piedi, da solo, sulla sommità di una collinetta ai margini dell’accampamento militare. Da lì si scorgevano bene le barricate erette attorno a Eglon e, di quando in quando, si poteva persino intuire qualche figura al di là delle finestre illuminate più vicine.
Sapere che quello che stava succedendo là dentro era fuori dal suo controllo lo faceva stare incredibilmente male. Non era facile digerire tutto questo. Non per un uomo che aveva votato la vita alla pace e alla giustizia, come lui. Eppure c’era qualcosa di marcio anche al di fuori di quelle barriere apparentemente sottili e inconsistenti. Sì, qualcosa che non gli piaceva. Non era sicuro di comprendere pienamente di che cosa si trattasse, ma ad ogni modo si sentiva certo di queste sue percezioni.
Qualcosa non quadrava. Questo, ormai, era lampante. Li stavano incastrando senza nemmeno lasciare loro il tempo di rendersene conto. Non era passata neppure una settimana e la battaglia era già in un certo senso perduta. Era come se giocassero d’anticipo su ogni loro mossa, come se… come se conoscessero i loro propositi e si affrettassero a ostacolarli prima che fossero messi in atto.
Gli attacchi della scorsa notte avevano danneggiato alcuni edifici e raso al suolo diverse abitazioni. Il comandante Smith non osava nemmeno chiedersi quanti civili potessero essere morti. La domanda che gli martellava la testa restava una sola: chi era stato ad attaccare?
Da dove venivano quegli elicotteri, chi li aveva mandati a bombardare Eglon e perché accidenti lo aveva fatto? Questi interrogativi scaturivano immediatamente dal primo e seguitavano a tormentarlo, quasi che fosse stato loro affidato il compito di torturarlo per strappargli importanti informazioni che in realtà non possedeva affatto. E intanto dall’alto non arrivavano ordini perché il Dipartimento della Difesa era in alto mare e non sapeva che pesci pigliare. Il Presidente era teso, la situazione mediatica rischiava di esplodere da un momento all’altro. L’opinione pubblica mondiale si chiedeva come mai l’Esercito degli Stati Uniti avesse aperto il fuoco sulla città di Eglon, condannando a morte Dio solo sapeva quante decine di innocenti. L’assalto non era stato approvato, e questo significava che qualcuno aveva disobbedito agli ordini. Stando così le cose, lui era l’imputato numero uno. E se la verità non fosse venuta a galla se la sarebbero presa solo ed esclusivamente con lui per quello che era successo la scorsa notte.
«Comandante!» lo richiamò alla realtà uno dei suoi sottoposti. Il comandante Smith si voltò di scatto, colto di sorpresa, e gli scoccò un’occhiata interrogativa.
«Comandante, deve venire immediatamente!» esclamò il militare con fare concitato, tradendo una certa agitazione.
«Che cosa c’è?» domandò, avvertendo il battito cardiaco farsi più accelerato.
«Il vicecomandante Gray è tornato.»

venerdì 6 marzo 2015

Lacrime di Cenere - Volume 1: In Fuga dalla Morte

Ci siamo, mio Carissimo Lettore: è finalmente disponibile per l'acquisto l'edizione integrale in formato eBook di Lacrime di Cenere - Volume 1: In Fuga dalla Morte, su Amazon al prezzo di 0,99 euro. Nel libro troverai una Prefazione appositamente scritta, il Prologo, i dieci Capitoli del Volume 1 e un Commento dell'Autore conclusivo.
Ti auguro dunque una buona lettura e soprattutto un buon viaggio tra le pagine del mio romanzo:

lunedì 2 marzo 2015

Le Anime di Eglon - Prima Stagione - Episodio 16

«Padre nostro, che sei nei Cieli…»
Il mormorio soffuso si spense di colpo all’interno della chiesa di Eglon, affacciata su Main Street, e il rumore che lo tranciò di netto fu uno sparo proveniente dalla strada antistante l’edificio. L’anziana donna che aveva avviato la preghiera, i capelli grigi raccolti in una crocchia polverosa e il sobrio vestito nero che le ricadeva addosso annullando ogni forma umana, si volse con aria inorridita verso l’ingresso chiuso e si pose in ascolto.
La gente dentro la chiesa rimase immobile con lo sguardo rivolto a lei, che dal primo banco recitava ininterrottamente il Rosario da almeno due giorni, sillabandolo sottovoce e snocciolando i grani di una grossa Corona.
Altri spari agguantarono il silenzio e lo stritolarono, facendolo sanguinare dolorosamente. La donna riportò lo sguardo sul grosso crocifisso di legno che troneggiava al di sopra dell’altare e percorse con gli occhi il volto di Gesù, dando l’impressione di interrogarlo. Era affranta, e lo si poteva intuire senza alcuno sforzo dalla sua espressione atona e compunta. Ma allo stesso tempo aveva fede in quel volto di legno dall’aria sofferente, e anche questo era facilmente percepibile per via della luce che le sprizzava vivace attraverso le pupille scure.
Una dispotica esplosione fece vacillare per un attimo i suoi tratti marcati e immobili, e in quell’istante la sua espressione salda e irremovibile si rivelò più stanca e impaurita di quanto volesse far credere. Ma si affrettò a nascondere tutto questo dietro una smorfia di devota alienazione, e girandosi a osservare i fedeli che aspettavano di udire la sua voce sentenziò: «Non abbiate paura, figli di Dio. Lui è qui per proteggerci. Nelle mura della Sua casa rimarremo al sicuro. Non dobbiamo temere alcun Male!»
I fedeli, rincuorati dalle parole di estrema fiducia, balbettarono qualche formula d’assenso e la preghiera riprese da dove era stata interrotta.
«Padre nostro, che sei nei Cieli, sia fatta la Tua volontà. Venga il Tuo Regno…»
La voce dell’anziana donna che recitava dal primo banco fu sovrastata dallo scroscio tremendo di una nuova esplosione a distanza incredibilmente ravvicinata, e il portone in fondo alla chiesa si spalancò all’improvviso rivelando la figura scomposta dell’uomo trafelato appena sopraggiunto. Sullo sfondo, dietro di lui, la facciata di un palazzo sembrava essere crollata e le fiamme divampavano in spaventose lingue a spirale che risucchiavano e consumavano i resti deformati di quello che pareva essere stato un velivolo dell’esercito, un Black Hawk abbattuto sui cieli della città.
«Altri elicotteri…» sussurrò amaramente uno dei vecchi in secondo banco, guadagnandosi per questo un’occhiataccia terrificante da parte dell’anziana signora con il Rosario annodato attorno alle dita pallide e ossute.
«Stanno attaccando! Eglon è sotto attacco!» riuscì a gridare con voce roca e cedevole l’uomo in piedi sulla porta d’entrata, restando di nuovo completamente senza fiato.
L’anziana donna si voltò ancora in direzione del crocifisso che la guardava dall’altare, e il suo sguardo incrociò quello triste e muto del Cristo scolpito nel legno. Lo sondò per qualche istante, come per vedere in esso il futuro che li attendeva, quindi dalle sue labbra secche e screpolate trapelarono due sole parole, pronunciate alla stregua di un’ultima supplica: «Dio, salvaci.»