martedì 20 gennaio 2015
Le Anime di Eglon - Breve Pausa
Buongiorno, mio Carissimo Lettore. Ti scrivo per comunicarti che la pubblicazione della Prima Stagione revisionata del romanzo a puntate Le Anime di Eglon subirà una breve pausa, dettata dagli impegni di studio della sessione d'esami. Non ti preoccupare, comunque: tutto riprenderà regolarmente con l'Episodio 16 a partire da lunedì 2 marzo 2015, nel frattempo ti segnalerò qualche novità (già nei prossimi giorni) in merito alla pubblicazione dell'edizione integrale di Lacrime di Cenere, ormai imminente!
venerdì 16 gennaio 2015
Lacrime di Cenere - Volume 1: In Fuga dalla Morte - Capitolo 10 (Anteprima)
L’urlo che sgorgò dalla bocca di
Giorgio fu raccapricciante. Congelò ogni altro rumore per alcuni secondi,
frantumando il silenzio del tiepido pomeriggio autunnale e facendo accapponare
la pelle.
La prima cosa alla quale pensò
Leonardo fu che adesso, molto probabilmente, gli zombie di fronte al cancello
del parco si sarebbero accorti di loro.
La seconda fu che Giorgio era
spacciato.
Saltò sul sedile del passeggero, senza
starci troppo a pensare, e valutò rapidamente la situazione.
Giorgio gridava fuori tutto il fiato
che gli era rimasto nei polmoni. Una buona metà del suo braccio proteso verso
la portiera era nascosta da una testa umana con i capelli neri impastati di
sangue. Si sentiva lo scricchiolio dell’osso sgranocchiato da denti famelici, e
in sottofondo si poteva percepire lo sciacquio sanguinolento di una lenta
masticazione.
Leonardo impiegò pochi istanti a
capire che cosa fosse accaduto. Era il ragazzino. Il ragazzino morto che
avevano appena scaricato dai sedili posteriori della Panda. Si era rialzato mentre ripulivano il resto dell’abitacolo, e
ora aveva morso Giorgio.
Marta si affacciò all’interno della
vettura e cacciò un grido di terrore che si affrettò a soffocare.
«Merdaaa!» strillò Giorgio,
afferrandosi la spalla sinistra con la mano destra e tirando più forte che
poteva, nel vano tentativo di strappare il proprio braccio alla morsa spietata
del ragazzino morto.
«Sta’ fermo!» ordinò Leonardo, e
facendo leva con una mano sul sedile e l’altra sul cruscotto sferrò un calcio
in avanti in direzione della testa con i capelli impastati di sangue,
costringendo lo zombie a lasciar andare la presa.
Il ragazzino morto arretrò e Giorgio
poté ritirare il braccio insanguinato.
Un ringhio sordo scaturì dalle labbra
pallide e screpolate del cadavere del ragazzino. Aveva occhi vitrei,
dolorosamente vuoti, e a guardarlo sembrava di vedere un animale ferito in
procinto di attaccare.
Leonardo lanciò un’occhiata oltre il
parabrezza. Come temeva, erano riusciti a catturare l’attenzione degli zombie
davanti al parco. Ora avanzavano verso di loro, piano, con l’andatura incerta e
ciondolante e le bocche spalancate in nere voragini infernali.
lunedì 12 gennaio 2015
Le Anime di Eglon - Prima Stagione - Episodio 15
«Bobby, puoi darmi una mano per
piacere?» borbottò senza fiato Fred, comparendo nella penombra della stalla con
un grosso sacco di fertilizzante tra le braccia. Aveva il viso arrossato e
sudato. Lo sforzo che stava compiendo, abbracciato a quell’enorme carico, era
visibilmente troppo per il suo fisico. La malattia lo aveva debilitato, e
questa fu probabilmente la prima volta che suo figlio Bobby se ne rese davvero
conto. Eh già, perché fino a due anni prima papà portava quei sacchi di
fertilizzante con un solo braccio, senza troppa fatica, invece adesso…
«Eccomi papà» intervenne prontamente,
afferrando il sacco e levandolo dalle braccia esauste del genitore. Fred tirò
un sospiro di sollievo e si asciugò la fronte passandoci sopra la manica del maglione
a scacchi imbrattato di sporcizia, lasciandosi sulla pelle un leggero striscio
di terriccio.
«Grazie. Non ce la facevo più…»
confessò pensosamente Fred guardando il figlio che si allontanava con il suo
carico, riflettendo assai probabilmente sulla stessa cosa che era appena venuta
in mente a Bobby riguardo gli effetti che la malattia aveva abbandonato nel suo
corpo.
«Non ti preoccupare, papà» cercò di
rasserenarlo Bobby con un sorriso, ma il padre non rispose e restò a fissare il
pavimento con aria abbattuta.
Bobby uscì nel cortile e si avviò di
buon passo verso casa. Un bicchiere di vino era quello che ci voleva per tirare
un po’ su il morale. Era lunedì pomeriggio, e la settimana appena iniziata si
prospettava molto più ardua del previsto. C’erano parecchi lavori da fare, e ad
essere del tutto sincero temeva che papà non avrebbe retto. Era a casa da un
mese soltanto, e finora aveva sempre evitato di fare lavori pesanti. Ma adesso
Bobby aveva bisogno di lui, e se Fred non fosse stato in grado di aiutarlo si
sarebbe trovato nei pasticci. Quel cancro al fegato lo aveva consumato più di
quanto i dottori avessero osato ammettere, e anche la cura non era stata da
meno…
Sospirò mentre metteva piede sulla
soglia di casa, e il sussurro del suo sospiro venne sovrastato dal ronzio cupo
di un motore. Anzi, no, di due motori. Forse anche tre.
Bobby si fermò con la mano a mezz’aria
davanti alla maniglia della porta d’ingresso e lentamente si volse in direzione
della strada. Più avanti, a un mezzo chilometro di distanza, un nuvolone di sabbia
e polvere sollevate dall’asfalto asciutto si stava muovendo rapidamente sui
suoi terreni, avanzando verso la sua fattoria.
Fred uscì dalla stalla e si fermò nel
cortile, schermandosi gli occhi con una mano sulla fronte sebbene il cielo
fosse nuvoloso.
Padre e figlio si avvicinarono senza
nemmeno rendersene conto di fronte alla stradicciola che sbucava dai campi e si
allargava per dare forma al cortile della loro fattoria. Involontariamente assunsero
la stessa identica espressione accorta.
Tre fuoristrada color verde militare
entrarono a tutta velocità nel cortile impolverato, uno dopo l’altro, frenando
a pochi passi dai due proprietari e allineandosi con i motori ancora accesi.
Un finestrino oscurato si abbassò e
una mano comparve dall’interno, sbucando all’improvviso e puntando senza
indugio una pistola munita di silenziatore all’indirizzo di Bobby e Fred.
Il primo colpo fece stramazzare al
suolo Fred prima ancora che la polvere sollevata dalle jeep terminasse di
posarsi sulla strada e sul cortile. Bobby cercò di buttarsi a terra per evitare
di fare la stessa fine del genitore, e fu così veloce da scansare ben due
proiettili… ma non il terzo, che lo prese alla spalla e lo inchiodò al suolo.
Rapidamente una dozzina di uomini armati
scese dai fuoristrada e si lanciò verso la porta d’entrata della fattoria,
calpestando con noncuranza il sangue che si stendeva sul cortile.
venerdì 9 gennaio 2015
Lacrime di Cenere - Volume 1: In Fuga dalla Morte - Capitolo 9 (Anteprima)
Leonardo si spostò verso destra,
salendo per metà sullo zoccolo del marciapiede.
Rimaneva poco spazio tra la fiancata
destra della Panda e la facciata del
condominio rivolta verso la strada, principalmente a causa delle portiere
aperte. Ma si poteva passare, e almeno fino all’altezza del muso dell’auto
sarebbero stati al riparo.
Gli zombie che si aggiravano intorno
all’ingresso del parco erano troppi per tentare una sortita. Ce n’erano altri
lungo la strada, poco più in là, ma sufficientemente distanti da poter essere
lasciati indietro con uno scatto abbastanza deciso. Bisognava solo capire come
distrarre gli zombie davanti al cancello e farli allontanare.
«Qualche idea?» mormorò Marta alle sue
spalle.
«Ci sto ancora pensando» farfugliò
Leonardo, sbirciando ancora una volta la situazione da dietro il profilo rosso
della Panda, badando bene a rimanere
nascosto.
«Potremmo salire nell’auto» propose
Giorgio, col tono di voce in cui si comunica una sensazionale scoperta.
«Potrebbero esserci ancora le chiavi all’interno. L’accendiamo e ci lanciamo
verso il cancello del parco, investiamo gli zombie e poi scendiamo dall’altra
parte per proseguire a piedi.»
«Si potrebbe fare…» ammise Leonardo,
pensoso.
«Prima dobbiamo scaricare i cadaveri
che sono rimasti a bordo. Chi dei tre ha il coraggio di farlo? Io mi chiamo
fuori» li smontò Marta, sbirciando anche lei un’altra volta per controllare che
nessuno zombie avesse registrato la loro presenza.
«Lo faccio io» la rassicurò Giorgio.
«L’idea è mia, è giusto che sia io a portarla fino in fondo.»
giovedì 8 gennaio 2015
Je suis Charlie
Di solito qui su Scrivere Sotto la Luna non si parla molto di attualità: abbiamo le nostre storie da raccontarci, mio Carissimo Lettore, e ogni tanto ci facciamo una chiacchierata, ma poi ci si ferma lì.
Oggi, però, farò un'eccezione.
Ho sentito la necessità di scrivere qualche parola in merito alla strage di Parigi, un attacco terroristico rivolto non soltanto contro la libertà e la democrazia, ma anche e soprattutto contro una libera espressione artistica, cosa, a mio avviso, che lo rende ancora più disumano.
Non sono state uccise solamente delle persone: ieri a Parigi si è tentato di uccidere anche un'idea, e questo fa davvero paura. Non sto mettendo le due cose sullo stesso piano, anzi. Sto cercando di separare i due attentati, quello fisico e quello ideologico, per poter enfatizzare al meglio l'importanza dei danni inflitti ad entrambi.
Esprimo la mia solidarietà per le vittime e i loro famigliari, e intendo parlare di loro con il massimo del rispetto. Quello che voglio dire è che la loro uccisione non si è limitata a una cancellazione fisica: gli attentatori hanno colpito loro, ma il vero bersaglio dell'attacco erano le loro idee.
Le idee sono la massima espressione del genere umano, sopravvivono a coloro che le fanno nascere e ci elevano al di sopra della nostra bestialità, rendono civile la nostra civiltà. Credo sia una questione molto importante da trattare.
La strage di Parigi fa riflettere, e spaventa tanto quanto quella di quell'11 settembre che rimane impresso nella nostra memoria, se non addirittura di più. Perché nel 2001 furono le cifre a metterci paura: il numero dei morti, la loro assoluta estraneità ai fatti, e la minaccia alla sicurezza. Oggi, nel 2015, nuovi attentatori ci fanno temere per le nostre idee. Ci dicono che non siamo liberi di pensare, e di esprimere il nostro pensiero, nel momento in cui esso si trovi in disaccordo con i loro principi.
L'attacco si è evoluto, la minaccia si è estesa, e le nostre sicurezze vacillano ulteriormente.
C'è chi si spinge oltre, e arriva persino a giustificare quanto accaduto, affermando che la satira di Charlie Hebdo rappresentasse un insulto nei riguardi della religione islamica, e che questo possa essere considerato come una sorta di attenuante.
Il fondamentalismo religioso è follia, è delirio di onnipotenza, e non va giustificato in alcun modo, per nessuna ragione.
Sai che cosa penso, mio Caro Lettore? Penso, onestamente, che il vile atto di terrorismo compiuto ieri a Parigi sia stato un insulto alla religione musulmana di gran lunga più offensivo di qualsiasi vignetta prodotta da Charlie Hebdo. Non solo: un vero e proprio insulto all'umanità, un enorme vaffanculo alla vita, alla libertà e alle idee.
Uccidere un uomo non è come uccidere un'idea. Ma ci sono uomini pronti a morire per difendere le proprie idee, ci sono sempre stati e sempre ci saranno, e questo a parer mio rende le vittime della strage di Parigi ancora più degne del rispetto dell'umanità. Loro sono morti a causa di un'idea, ed è nostro compito far sì che quell'idea continui a vivere, anche dopo di loro: soltanto così riusciremo a rendere incompleto il compimento della strage.
Oggi, però, farò un'eccezione.
Ho sentito la necessità di scrivere qualche parola in merito alla strage di Parigi, un attacco terroristico rivolto non soltanto contro la libertà e la democrazia, ma anche e soprattutto contro una libera espressione artistica, cosa, a mio avviso, che lo rende ancora più disumano.
Non sono state uccise solamente delle persone: ieri a Parigi si è tentato di uccidere anche un'idea, e questo fa davvero paura. Non sto mettendo le due cose sullo stesso piano, anzi. Sto cercando di separare i due attentati, quello fisico e quello ideologico, per poter enfatizzare al meglio l'importanza dei danni inflitti ad entrambi.
Esprimo la mia solidarietà per le vittime e i loro famigliari, e intendo parlare di loro con il massimo del rispetto. Quello che voglio dire è che la loro uccisione non si è limitata a una cancellazione fisica: gli attentatori hanno colpito loro, ma il vero bersaglio dell'attacco erano le loro idee.
Le idee sono la massima espressione del genere umano, sopravvivono a coloro che le fanno nascere e ci elevano al di sopra della nostra bestialità, rendono civile la nostra civiltà. Credo sia una questione molto importante da trattare.
La strage di Parigi fa riflettere, e spaventa tanto quanto quella di quell'11 settembre che rimane impresso nella nostra memoria, se non addirittura di più. Perché nel 2001 furono le cifre a metterci paura: il numero dei morti, la loro assoluta estraneità ai fatti, e la minaccia alla sicurezza. Oggi, nel 2015, nuovi attentatori ci fanno temere per le nostre idee. Ci dicono che non siamo liberi di pensare, e di esprimere il nostro pensiero, nel momento in cui esso si trovi in disaccordo con i loro principi.
L'attacco si è evoluto, la minaccia si è estesa, e le nostre sicurezze vacillano ulteriormente.
C'è chi si spinge oltre, e arriva persino a giustificare quanto accaduto, affermando che la satira di Charlie Hebdo rappresentasse un insulto nei riguardi della religione islamica, e che questo possa essere considerato come una sorta di attenuante.
Il fondamentalismo religioso è follia, è delirio di onnipotenza, e non va giustificato in alcun modo, per nessuna ragione.
Sai che cosa penso, mio Caro Lettore? Penso, onestamente, che il vile atto di terrorismo compiuto ieri a Parigi sia stato un insulto alla religione musulmana di gran lunga più offensivo di qualsiasi vignetta prodotta da Charlie Hebdo. Non solo: un vero e proprio insulto all'umanità, un enorme vaffanculo alla vita, alla libertà e alle idee.
Uccidere un uomo non è come uccidere un'idea. Ma ci sono uomini pronti a morire per difendere le proprie idee, ci sono sempre stati e sempre ci saranno, e questo a parer mio rende le vittime della strage di Parigi ancora più degne del rispetto dell'umanità. Loro sono morti a causa di un'idea, ed è nostro compito far sì che quell'idea continui a vivere, anche dopo di loro: soltanto così riusciremo a rendere incompleto il compimento della strage.
lunedì 5 gennaio 2015
Le Anime di Eglon - Prima Stagione - Episodio 14
Terry McCallister richiuse il garage
senza fare troppo rumore e si infilò le chiavi di casa nella tasca dei jeans,
accanto al pacchetto sgualcito di vecchie Marlboro
che aveva riesumato la sera precedente da un cassetto della scrivania
rimasto inesplorato forse per mesi.
Era tempo di ricominciare, aveva
stabilito quella notte mentre ci rifletteva su senza troppo impegno. Quale
momento migliore di questo per riprendere con le sigarette? Dopo una pausa
forzata di quindici anni, non c’era niente di meglio che lasciarsi riempire la
gola e i polmoni di fumo per riprendere a vivere nella maniera più adeguata.
Queste furono le conclusioni alle quali giunse Terry mentre saliva a bordo
della sua motocicletta e la avviava. L’Imperatrice,
così come la chiamava lui, rispose alla dolce carezza della sua mano sulla
chiave d’avvio con un ruggito potente e voglioso, che come un gemito sessuale
lo scosse da capo a piedi e gli fece venire i brividi.
Oh
sì, sei pronta a divorare l’asfalto, pensò Terry, sentendosi incredibilmente
eccitato. Udire il rombo accattivante del motore della sua motocicletta era
come rinascere per una seconda volta e uscire di nuovo dal grembo della madre
per vedere la luce a lungo proibita. Il sangue nelle sue vene stava ribollendo,
questo era poco ma sicuro.
Partì con un lieve scatto in avanti,
uscendo dal vialetto di casa e immettendosi nella carreggiata senza prima
controllare che la corsia fosse libera. Gli andò bene, perché nonostante
fossero le dieci del mattino non stava passando nessuno di lì. Rallentò per
fare la curva e si sistemò al centro della strada, quindi diede gas e filò via
come un razzo.
Il casco gli vibrava attorno alla
testa, e tutto il suo corpo era teso a contrastare il vento impetuoso che
tentava invano di disarcionarlo. Svoltò a sinistra e accelerò, superando
un’auto che procedeva lentamente nella sua stessa direzione ed evitando un paio
di pedoni che attraversavano la strada.
Aveva intenzione di fumarsi una bella
sigaretta, una volta finito quel rapido giro della città in sella alla sua
Imperatrice. La sua prima sigaretta dopo una pausa forzata durata quindici
lunghi anni. Ora che poteva permetterselo, la motocicletta e le sigarette
sarebbero state le sue uniche compagne di vita. In fondo, adesso tutti erano
liberi di fare tutto a Eglon, giusto? Entro le restrizioni poste dai
rivoluzionari, certo, ma pur sempre al di fuori delle costrizioni precedenti
che adesso erano immancabilmente decadute…
Sorrise e accelerò ancora, inserendosi
in Main Street e abbassandosi per assumere una posizione più aerodinamica.
Nessun vento poteva farlo vacillare, nessuno stop poteva mettersi tra lui e lo
spazio infinito che si sarebbe srotolato sottoforma di asfalto a contatto con
le gomme dell’Imperatrice. Era libero, finalmente libero di volare per conto
proprio.
Era la mattina del dodici settembre, e
Terry McCallister era finalmente, ufficialmente, inderogabilmente libero. Quanto gli piaceva crogiolarsi
in questi pensieri mentre correva sulla sua moto, accidenti! Era come avere uno
speciale orgasmo mentale!
Il suo sorriso si storse e assunse le
sembianze di una smorfia d’orrore. Non fece in tempo a registrare ogni
dettaglio di ciò che aveva visto, e ben presto l’istantanea scattata dal suo
cervello sfumò in un’inquadratura sfocata. Strinse le dita attorno ai freni, e
le ruote dell’Imperatrice si bloccarono e gli pneumatici stridettero
sull’asfalto secco, lasciandoci impressa una scia di gomma nerastra che odorava
di bruciato.
L’Imperatrice si fermò in mezzo alla
strada semivuota. Terry McCallister alzò la visiera del casco e si volse con
aria sconcertata, facendo cigolare i tendini del collo nel tentativo di
costringerli a una rotazione irregolare.
Oltre le sue spalle, appeso per una
corda la cui estremità era legata attorno alla testa di un lampione aggettante
verso il centro della carreggiata, il cadavere di un uomo con gli occhi
strabuzzati e la pelle gonfia e violacea penzolava a un paio di metri
dall’asfalto, morto impiccato.
venerdì 2 gennaio 2015
Lacrime di Cenere - Volume 1: In Fuga dalla Morte - Capitolo 8 (Anteprima)
Avere una pistola con sé era tutta
un’altra storia. Gli dava giusto quel pizzico di sicurezza in più da farlo
andare avanti con maggior fermezza. Ormai era stabilito: bisognava raggiungere
i binari del treno e uscire da Padova, in direzione Vicenza. Non gli restava
altro da fare che convincere i suoi compagni di viaggio della necessità di
questa decisione.
«Da questa parte» mormorò Marta,
guardandosi intorno con circospezione.
Un paio di zombie si affacciarono da
una finestra mezza aperta, protendendo le mani nella loro direzione e tentando
di afferrarli.
Giorgio si scansò appena in tempo per
evitare di essere agguantato. «Merda, sono dappertutto!» brontolò, allungando
il passo per allontanarsi il più in fretta possibile dalla finestra infestata.
Stavano percorrendo un vicolo
secondario, un senso unico con alte file di condomini da entrambi i lati,
automobili parcheggiate per metà sui marciapiedi e il furgoncino di un
idraulico ribaltato in mezzo alla strada.
«Finché rimaniamo tra tutti questi
edifici siamo prede facili» osservò Leonardo. La sua voce conteneva una sottile
venatura di rimprovero, senza tuttavia trattenerla.
«Cosa suggeriresti di fare, allora?»
domandò la ragazza, stizzita.
«Tagliamo per il parco e ci dirigiamo
verso la periferia, da quella parte» sussurrò, indicando la direzione con un
cenno del capo. «Da lì cerchiamo di raggiungere gli argini del fiume e proseguiamo
fino ai campi, e poi giù verso i binari ferroviari. In questo modo eviteremmo
la stazione dei treni, che probabilmente brulica di morti, e potremmo comunque
indirizzarci verso Vicenza.»
«Hai ancora in mente di arrivare fino
a là? È una pazzia. Rimarremmo troppo esposti, soprattutto durante la notte»
gli fece notare Marta.
«Lo so. Ma è un rischio che io devo correre.»
«D’altro canto, restare in città è
ancora più folle. Grossi centri urbani significano tante persone, e tante
persone equivalgono a una marea di zombie. Questo non è in discussione:
dobbiamo uscire da Padova, se vogliamo cavarcela» bisbigliò Giorgio con fare
pensieroso.