venerdì 23 agosto 2013

Sospiro

Uscì nelle tenebre, richiudendo la porta di casa alle proprie spalle. Subito fu colpito da una sferzata di aria pungente. Era ancora buio, ma il sole stava iniziando faticosamente a sorgere, comparendo sulla linea dell’orizzonte e indorando languidamente il cielo scuro, spruzzando di un leggero rosso le nuvole che veleggiavano a est, lungo le vie che il vento aveva loro creato. Pigramente, i primi raggi dell’alba stavano tentando di scaldare la città ancora in parte addormentata, scagliandosi abbastanza svogliatamente contro l’oscurità predominante. Le sagome degli edifici si stagliavano indistinte nelle ombre della notte appena trascorsa, che non sembrava essere ancora pronta a cedere il mondo alla luce.
Si incamminò con calma lungo il marciapiede deserto, l’aria sottile e pungente che gli carezzava il volto senza troppa delicatezza e gli scompigliava i capelli con le proprie dita invisibili, profumo di prima mattina. Il caffè gli aveva lasciato un piacevole sapore sulle labbra e un gradevole tepore nello stomaco. Stava bene. Addirittura, quasi gli sembrava strano di sentirsi tanto bene. A quell’ora, di solito, era sempre stanco e debole, gli occhi ancora offuscati dal sonno, la mente assopita, in attesa di doversi risvegliare del tutto all’arrivo a scuola. Solitamente, non aveva proprio voglia di mettersi in piedi e uscire nell’aria gelida e affilata. Quel giorno, però, sembrava diverso, e per lui era impossibile fornire un perché a questo sereno stato d’animo. Semplicemente, si sentiva bene.
Raggiunse la fermata dell’autobus senza troppa fretta, dove già altri ragazzi attendevano in piedi, sagome indefinite nel rosseggiante chiaroscuro dell’alba appena cominciata.
Si voltò, osservando dietro di sé il municipio del paese. Un edificio alto e robusto, dall’aspetto autoritario. Se avesse potuto avere sembianze umane, senz’altro sarebbe stato un uomo dal cipiglio severo, una statua tesa ad indicare con il proprio dito ammonitore chiunque vi si trovasse di fronte. La parete su quel lato era costituita in gran parte da ampie vetrate dietro le quali prendevano posto gli uffici. In uno di questi, attraverso uno spiraglio generato dalle tende color rosso vermiglio lasciate scostate, si intravedevano i barbagli di una pallida luce al neon lasciata accesa, flash evanescenti che a colpi rischiaravano una scrivania abbandonata di fretta, stracolma di scartoffie. Il neon era rotto e andava a tratti, lampeggiando come saette tra le gonfie e plumbee nubi di un temporale, producendo un tremolante sfolgorio che abbracciava con la propria morbidezza l’ufficio silenzioso. Il ragazzo rimase a scrutare immobile quei bagliori e quei riflessi per un po’, perduto nei propri pensieri, quindi distolse di scatto lo sguardo, come risvegliandosi e riemergendo dal flusso incessante delle riflessioni che gli attraversavano la testa e che avrebbero rischiato di annegarlo.
Dopotutto, sentirsi bene non era poi così fantastico. Avvertiva nello stomaco un leggero sentore d’ansia, come se qualcosa stesse per accadere. Qualcosa di terribilmente importante, che gli avrebbe cambiato la vita per sempre, anche se ancora non sapeva se in meglio o in peggio. Già, qualcosa sarebbe successo, quel giorno. Ne era più che sicuro.
Lì accanto, a lato della pizza antistante il municipio, c’era una piccola fontanella d’acqua potabile. Il suo flebile mormorio, al momento, era l’unico soffuso respiro che rompeva il silenzio attorno al ragazzo, e la sua mente non poté non venirne attratta. Era affascinante, quel sussurro perpetuo. Affascinante e allo stesso tempo incredibilmente rilassante, come un massaggio ai pensieri, una carezza al cervello spossato. Si abbandonò tranquillo a quel bisbiglio piacevole e sommesso, finché il suo fruscio inebriante fu sostituito dal fastidioso ronzio dell’autobus in avvicinamento che lo avrebbe accompagnato a scuola.
Le portiere anteriori del rumoroso trasporto pubblico si spalancarono sbuffando e protestando sonoramente. Salì i gradini che portavano all’interno del mezzo, pensando che l’apertura che lo stava accogliendo sembrava la bocca spalancata di un gigantesco animale bramoso di trangugiarlo. Sorrise con fare incerto al conducente, quindi mosse un paio di passi cauti e…

…sospirò, e in quel preciso istante il suo cuore si fermò. Morì, sdraiato su un letto d’ospedale, e mentre l’aria usciva per l’ultima volta dai suoi polmoni il sogno nel quale si stava rifugiando sfumò in una macchia di inchiostro nero indelebile.

Nessun commento:

Posta un commento