giovedì 8 agosto 2013

Solo andata, no ritorno - 6

Dal finestrino Roberto osservò il signor Nicola mentre scendeva attraverso la porta scorrevole del primo vagone, aperta manualmente dal controllore. I suoi movimenti erano impacciati. I movimenti di un vecchio ormai in pensione da una vita e mezza, pensò. Ma c’era dell’altro. Pareva che esitasse. Era come se in un certo senso avesse timore di ciò che avrebbe potuto trovare dentro quella stazione silenziosa.
«Pensa che ci metteranno molto a mandarci un treno sostitutivo? Perché io ho un appuntamento importante a Firenze questa sera, e da qui non posso chiamare per avvisare del ritardo…» disse un uomo verso il fondo del vagone, rivolgendosi al controllore.
«Per ora non posso dirle niente con sicurezza, mi dispiace» rispose quest’ultimo, tornando a guardare fuori con aria assente.
«Be’, spero almeno che fra poco ci permettiate di uscire. Comincia a fare caldo qua dentro, e siamo piuttosto stretti» borbottò un altro, più vicino a Roberto e Francesca.
«Magari quando ci lasciano uscire possiamo vedere se qui attorno c’è una zona in cui i telefonini prendono. Mi sembra così strano che non ci sia segnale da queste parti!» esclamò un’altra voce, questa volta di una donna.
Il controllore non aprì bocca. Fissava l’esterno, come sovrappensiero. Seguiva la camminata incerta di Nicola, che si dirigeva cautamente verso la porta spalancata della stazione. Lo guardava come se quel vecchio potesse essere la loro unica speranza. Era davvero così tremenda la situazione? Roberto continuava a domandarselo, ma non riusciva a intravedere nulla, in mezzo ai propri pensieri, che potesse avere le vaghe sembianze di una risposta sensata.
Così decise di tenere gli occhi incollati su Nicola pure lui, come il controllore, e si riavvicinò al finestrino giusto in tempo per vedere il vecchietto venire inghiottito dalla porta sulla facciata di pietra della stazione ferroviaria.
Le poche finestre sparpagliate a lato della porta erano chiuse, perciò non si riusciva a scorgere niente. Il cielo continuava a promettere pioggia, e la pioggia continuava a non arrivare. Ad ogni modo, ne aveva già vista in abbondanza nel corso della mattinata. Anche a Vicenza pioveva, per esempio, quando erano partiti per andare a Padova…
«Che cosa ci facciamo qui?»
Si voltò lentamente. Era Francesca ad averglielo chiesto, e la domanda gli si conficcò in gola come uno spillo bene appuntito. Già: che cosa ci facevano loro due lì?
Stiamo andando a Firenze. Andiamo a risolvere una questione, perché ci serviva del tempo insieme per discutere di alcune cose. Una pausa da tutto il resto, una breve fuga, per rimettere a posto i pensieri e fare spazio alle decisioni.
Avrebbe voluto dirlo, ma non ci riuscì. Fu capace soltanto di mormorare: «Tranquilla. Arriveremo presto.»
Francesca fece segno di sì con la testa e si girò dall’altra parte, ad ascoltare una donna che raccontava di quella volta in cui era rimasta ferma per dodici ore intere perché qualcuno aveva segnalato che nel treno poteva esserci una bomba pronta ad esplodere. «Non ci lasciavano scendere, perché temevano che evacuando il treno avrebbero spinto il terrorista ad agire. Invece era stata tutta una bufala. E Trenitalia non ci ha neppure risarcito i biglietti!»
Il signor Nicola ricomparve sulla soglia della stazione, scuotendo fra sé il capo. Aveva un’aria talmente sconsolata che non ci sarebbe stato bisogno di parole per capire l’esito della sua chiamata.
«Sta tornando» annunciò il controllore, sulle spine. Il vecchio avanzava adagio, come se non ci vedesse tanto bene e avesse paura di inciampare in qualche cadavere riverso sul pavimento. Saltò sul vagone, mentre tutti i presenti lo osservavano col fiato sospeso, e riprese a scuotere la testa con rassegnazione, come uno che non si capacita della morte improvvisa di un caro amico. Sua moglie gli strinse la mano e lui parve quasi non accorgersene.
«Allora?» lo esortò a parlare il controllore. Era più pallido di prima. Roberto annotò mentalmente questo dettaglio e decise che lo avrebbe ripreso in considerazione più tardi. Il controllore nascondeva qualcosa. Era palese. Sì, ma cosa?
Nicola si inumidì le labbra e si appoggiò le mani ai fianchi. «Niente.»
«Come sarebbe a dire, niente? Non c’erano cabine telefoniche?»
«Oh no, c’erano, c’erano. Una fila lungo tutta la parete. Saranno state… sei. O otto. Mezza dozzina sicura» spiegò, sforzandosi di ricordare il numero delle cabine come se da quel particolare potesse dipendere la vita di tutti loro.
«E la telefonata, dunque? Hai chiamato, vero?» volle sapere il controllore, mostrandosi sempre più impaziente.
«Sicuro» confermò Nicola, ancora sul vago. «Sicuro, che ho chiamato. Ho composto il numero di Padova e ha squillato a vuoto. Allora ho composto quello delle emergenze, quello scritto sulla targhetta appesa in cima ad ogni cabina. Cinquanta centesimi, per fortuna che ce li avevo in fondo alla tasca dei pantaloni.
«Ha squillato a vuoto anche là. Ho aspettato, ma non è venuto nessuno a rispondere.»
La gente lo ascoltava con muto interesse, alla stregua di una folla rapita da un cantastorie d’altri tempi. C’era spavento nelle espressioni di alcuni. Frustrazione in quelle d’altri. Rabbia in altre ancora.
«Così, ecco… ho pensato che fosse quel telefono lì che non andava. Ho preso la monetina che è uscita di nuovo dopo la chiamata a vuoto e ho provato altre due cabine col numero d’emergenza. Ho lasciato fare solo tre squilli per ciascuna, perché so che rispondono subito a quel tipo di chiamate. Non suonava occupato. Suonava libero. Ma non mi ha risposto nessuno.»

2 commenti:

  1. Quando si potrà leggere la prosecuzione del racconto?

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  2. Trattandosi di un romanzo a puntate, verrà pubblicato regolarmente un capitolo ogni giovedì qui nel blog, intorno a mezzogiorno. I link ai vari capitoli della storia saranno tutti raccolti nella pagina http://scriveresottolaluna.blogspot.it/p/blog-page.html, dove rimarranno sempre disponibili per chiunque desideri leggerli o rileggerli.

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