lunedì 30 gennaio 2012

Le Anime di Eglon - Episodio 21 - Cittadini in Piazza

«Avanti, Joey. Sapevamo tutti quanti che doveva andare a finire così, prima o poi. Adesso vieni fuori e getta la spugna, su. Non vogliamo altro sangue. Ce n’è già stato fin troppo.»
Lo sceriffo Gordon Fillback parlava con voce calma e misurata, avanzando adagio nella penombra del seminterrato con la pistola spianata. Uno dei suoi uomini, di sopra, aspettava che l’ambulanza arrivasse a prendere un collega ferito e un narcotrafficante morto. I suoi due vice Krain e Corall, invece, erano lì sotto con lui, in quel corridoio freddo e umido che si snodava apparentemente all’infinito un paio di metri più in basso del pavimento della fabbrica.
Dopo aver lasciato giù le auto di servizio all’ingresso del quartiere di periferia avevano proseguito a piedi fino all’enorme complesso indicato loro dall’informatrice. Avevano varcato il cancello aperto senza problemi e avevano raggiunto l’ampio salone principale passando per il portone spalancato. Dentro, tra i bancali rigonfi di droga e di armi, avevano individuato immediatamente Joey Goode intento a firmare un documento accanto ad una finestra impolverata. Con lui c’era un uomo dall’aria sospetta che appena li aveva visti aveva sollevato la pistola già impugnata.
«Fermi, mani in alto!» aveva berciato lo sceriffo, spianando la sua arma. Il primo colpo era indirizzato a lui, ma l’aveva schivato nascondendosi dietro uno dei bancali. Poi era uscito allo scoperto e con uno sparo preciso aveva centrato il narcotrafficante ad una spalla, disarmandolo.
Joey Goode aveva aperto il fuoco senza indugio, posando la penna e imbracciando un fucile semiautomatico. Aveva preso in pieno Ted, uno dei poliziotti che aveva accettato di seguire Gordon Fillback in quell’impresa che sarebbe stata narrata su tutti i giornali della contea per la settimana a venire, e Steve Corall rispondendo al fuoco aveva accidentalmente beccato il petto del narcotrafficante, che era stramazzato al suolo.
Joey si era riparato dietro alcuni bancali e lo sceriffo aveva fatto segno ai suoi vice di accerchiarlo, ordinando all’altro poliziotto che era con loro di andare ad assistere Ted e chiamare immediatamente un’ambulanza.
Avevano seguito Joey dopo che aveva imboccato la ripida gradinata che conduceva nei sotterranei della vecchia fabbrica abbandonata e gli erano stati dietro per un bel pezzo, finché non era sparito. Adesso, però, ce l’avevano in pugno: non gli restava più nessuna via di scampo.
«Al contrario, caro sceriffo. Voi dovete gettare la spugna, prima che finisca male» lo contraddisse la voce di Joey Goode, scaturendo da Dio solo immaginava quale direzione. Gordon Fillback ispezionò con lo sguardo la metà oscura di corridoio che avanzava al di là delle sue sopracciglia aggrottate, cercando di indovinare da quale delle varie aperture laterali provenissero le parole di Joey.
«Sei in brutto guaio, Goode, e non credo che tu te ne renda conto. Traffico illegale di droga e armi, con un quantitativo del valore di un milione e mezzo di dollari, più che sufficiente a metterti dentro per un bel po’. Per colpa tua sono morte decine e decine di persone, in questa città, compresi molti dei miei poliziotti. Diamo la caccia alla tua banda da undici anni. Ma adesso è finita. Sei al capolinea, Joey.»
«Ma è proprio dal capolinea che l’autobus riparte per un altro giro» ribatté beffardamente il criminale, comparendo dal nulla con un grosso fucile imbracciato. Dietro di lui, una dozzina di uomini armati si fecero avanti, sprezzanti e pronti a tutto pur di difendere il vigliacco che li stipendiava.
Mercenari di Goode, pensò Gordon Fillback, e abbassò l’arma impotente, imitato dai suoi vice.
«Adesso detto io le condizioni, sceriffo. E ho giusto in mente un paio di commissioni per te. Ad esempio, potresti cominciare facendo sparire quel carico di droga e armi che c’è di sopra… Che cosa ne dici? Sei disposto a collaborare?»
Il ghigno sul volto di Joey Goode, in quel momento, fu talmente largo e malefico da far rabbrividire i poliziotti che lo tenevano sotto tiro.

LE ANIME DI EGLON
PRIMA STAGIONE
EPISODIO 21
CITTADINI IN PIAZZA

Daniel Green si sentì spiazzato e tradito allo stesso tempo. Confuso e amareggiato, di fronte alle parole che suo padre aveva appena pronunciato rivolgendosi alla cittadinanza. Ma dentro di sé sperava ancora che Betty si sbagliasse. Era convinto che ci fosse ancora la remota possibilità che il nuovo sindaco, l’uomo che per tutta una vita aveva chiamato papà, si rimangiasse le parole appena dette e attaccasse nel suo discorso i ribelli che avevano portato tanto sangue e dolore nella sua infelice Eglon.
Ma il sindaco Thomas Green lo deluse definitivamente, scandendo a chiare lettere: «La collaborazione che la città di Eglon e i Soldati della Rivoluzione instaureranno, a partire da oggi, sarà assolutamente reciproca e dovrà essere rispettata da tutte le parti in causa. Perciò, a cominciare da adesso, i rivoluzionari si impegnano a proteggere e difendere i cittadini di Eglon, e questi ultimi giurano loro fedeltà e assistenza in qualunque caso, in maniera rigorosamente incondizionata.»
«Non ci posso credere…» farfugliò Daniel, sconcertato. Betty gli passò un braccio attorno al collo e lo strinse affettuosamente, sussurrandogli che andava tutto bene. Rebecca, di fianco, ascoltava rapita, senza battere ciglio.
«Questo è l’accordo che io, in qualità di nuovo sindaco di Eglon, ho sottoscritto con i Soldati della Rivoluzione. Mi aspetto dunque che ciascuno di voi lo rispetti, senza costringermi a prendere adeguati provvedimenti. I Soldati della Rivoluzione sono qui per aiutare non soltanto tutti noi, ma l’intero Paese, per cui meritano la nostra piena e inviolabile fiducia» proseguì Thomas Green, alzando leggermente la voce per farsi sentire chiaramente anche da chi stava più lontano.
La piazza, silenziosa, osservava e ascoltava, senza sapere esattamente che cosa pensare. La folla non emetteva un fiato. I ribelli, attorno, sorvegliavano attentamente la scena con le armi imbracciate, pronti a spianarle nel caso in cui si fosse verificato un qualsiasi incidente inaspettato.
«Ho messo in piedi personalmente un gruppo di Controllori che si affiancherà ai ribelli nel mantenimento dell’ordine in città. Una sorta di corpo di rappresentanza del sindaco, di modo che il dialogo tra il potere e la popolazione possa espandersi in maniera capillare. A capo di questo gruppo ci sarà un mio amico fidato: Victor Johnson.»
Il sorriso palesemente rifatto dell’uomo con il quale Daniel aveva conversato per pochi minuti alcuni giorni prima avanzò accanto al microfono, ponendosi di fianco a quello del sindaco. Il nuovo arrivato si sfregò le mani e salutò con un cenno del capo la popolazione, sogghignando.
«Ma quello non è l’uomo con cui abbiamo parlato davanti al municipio?» balbettò Rebecca, ansiosa. Betty la squadrò con fare rapace, come per allontanarla dal suo ragazzo.
Daniel si girò a fissarla istupidito. «Sì, è proprio lui. Quel bastardo…»
«Che c’è che non va?» volle sapere Betty, disorientata.
«Quell’uomo è un amico di vecchia data di mio padre. Quando l’ho incontrato davanti al municipio, le sue parole mi hanno fatto accapponare la pelle» spiegò Daniel. «Diceva che la rivoluzione è giusta. Che era ora che accadesse una cosa del genere, e che le vittime prodotte dagli attacchi sono soltanto un prezzo inevitabile da pagare per compiere qualcosa di più grande…»
«È pazzo?» borbottò Betty, contrariata.
«Già. E ha fatto diventare pazzo anche mio padre» mormorò il ragazzo tornando a sogguardare i due sorrisi posti dietro il microfono, e un brivido lo attraversò fugace come un alito di vento mattutino dopo un violento temporale. La pistola di suo padre era sua, adesso. Gli apparteneva di diritto. E l’avrebbe usata per difendersi dal suo precedente proprietario, e per difendere Betty e Rebecca e qualunque altra persona ne avesse avuto bisogno.
«Sei il figlio di Thomas Green?» sentì farfugliare una voce soffusa alle sue spalle. Si voltò e vide davanti a sé un uomo che non conosceva. Aveva baffi appena accennati e una barba che sembrava pretendere di diventare folta più in fretta del previsto. Una faccia scavata, con un paio d’occhi grigi e stanchi che lo sondarono curiosi. La fronte, ampia, faceva da prologo ad una testa completamente calva, spezzata di lato dalle orecchie che tenevano su le stanghette di un paio d’occhiali dalla montatura di plastica gialla. Nel complesso, sembrava quasi un folle. Ma uno di quei folli estremamente lucidi e terribilmente razionali.
«E lei chi è, scusi?» replicò Daniel, colto alla sprovvista. Betty e Rebecca si volsero a guardare il tizio che aveva appena parlato e si interrogarono con un’occhiata preoccupata, senza aprire bocca.
«Un amico…» restò sul vago lo sconosciuto, osservando rapidamente le persone che gli stavano attorno con fare furtivo e quanto mai sospetto. Daniel, per un momento, provò l’impulso di indietreggiare e dileguarsi in mezzo alla calca, per evitare di dover parlare con quell’uomo dall’aria poco raccomandabile che lo stava mettendo in soggezione. Allo stesso tempo, però, desiderava sentire quello che aveva da dirgli. Era curioso, e, anche se si diceva che la curiosità avesse ucciso il gatto, poco gli importava. Io non sono un gatto, e questo è quanto, concluse tra sé e sé.
«Che genere di amico?» mormorò, abbassando la voce per non farsi sentire dagli uomini che li circondavano. Un tizio alla sua destra gli scoccò un’occhiataccia fugace e tornò a concentrarsi sul discorso del sindaco, palesemente attratto dalle parole che si stavano posando sulla piazza alla stregua di una leggera quanto inattesa nevicata primaverile.
«Uno di quegli amici ai quali non si rifiuterebbe mai un favore…» rispose lo sconosciuto molto semplicemente, e Daniel in quel preciso istante decise che voleva assolutamente sapere tutto ciò che quell’uomo aveva da dirgli. Si sarebbe fidato, ecco tutto. Un po’ perché era il primo spiraglio di possibilità di capirci qualcosa in tutto quel caos indefinito che si stava scaricando su Eglon, e un po’ perché proprio in quei minuti si sentiva tremendamente fragile e scoperto, quasi che fosse stato tradito, perché suo padre aveva chiaramente espresso davanti all’intera cittadinanza la propria adesione agli ideali di una Rivoluzione incomprensibile che aveva cancellato decine di vite innocenti nell’arco di una misera settimana.
Per tutte queste ragioni, Daniel sussurrò: «Sì, sono Daniel Green. Figlio del sindaco.»
Il viso tirato dello sconosciuto si distese e si allargò. L’uomo avvicinò il viso all’orecchio del ragazzo e bisbigliò, in un sospiro: «Vicesceriffo Steve Corall. È un vero piacere conoscerti.»

«Io e Victor, assieme, faremo sì che la città riprenda fiato e si ricomponga, in vista di tempi che saranno per tutti noi ricchi di fortuna e prosperità. Una nuova alba sta sopraggiungendo, miei cari concittadini. E stavolta è per davvero l’alba di una nuova era. Un’era che spetta a noi incanalare nella direzione giusta» riprese il sindaco Green, tenendo lo sguardo rivolto al cielo.
Stan Payton si voltò e spulciò con una rapida occhiata le varie finestre degli edifici circostanti. C’erano almeno una ventina di cecchini in posizione, valutò, disposti quasi a trecentosessanta gradi attorno alla piazza. Nessuno avrebbe osato muovere un dito di troppo, in quella situazione, né tantomeno si sarebbe azzardato a compiere qualche spostamento sospetto. Era una zona troppo fitta di occhi puntati e di fucili posizionati, per prendere iniziative pericolose. Meglio mantenere un profilo basso e fingere di ascoltare.
Robert, al suo fianco, si guardava attorno con fare spaesato, con lo stesso atteggiamento che avrebbe assunto un turista campagnolo trovandosi per la prima volta nel centro della più grande città del mondo. Era disorientato da tutti quei visi e da tutti quei silenzi che gli si stringevano addosso, e per certi versi sembrava un claustrofobico intrappolato in una scatoletta di tonno.
D’un tratto, l’attenzione di Stan fu catturata da una faccia nota che transitò fuggevole nel suo campo visivo. Dapprima la etichettò come quella di un ex vicino di casa: d’altronde aveva abitato per un po’ di tempo ad Eglon assieme a Sarah, dunque era probabile che riconoscesse ancora qualcuno. Ma dopo qualche secondo di riflessione realizzò che quel volto apparteneva a qualcun altro. Un uomo che conosceva a malapena, con il quale aveva parlato per la prima volta la notte in cui la città era stata attaccata. Quella notte in cui sarebbe dovuto rientrare a Little Rock entro un paio d’ore assieme ai suoi figli e invece era stato ingabbiato in una terribile vicenda di sangue e terrore.
Era l’uomo che lo aveva aiutato ad aggirare il primo blocco di furgoni blindati che aveva incontrato dopo il suo ingresso in città, e vederlo poco più avanti, intento a chiacchierare piuttosto animatamente con un secondo tizio che non ricordava di aver mai visto, lo spinse a raggiungerlo.
Si fece largo tra la gente e Robert lo seguì in silenzio, senza bisogno di alcuna spiegazione.
«Ehi. Si ricorda di me?» disse senza preamboli, sottovoce. L’uomo si voltò a guardarlo, imitato dal suo interlocutore che finalmente Stan riuscì a riconoscere: si trattava dell’altro tipo, quello che gli aveva spiegato come evitare il blocco. Gli pareva che si chiamasse Frank, ma la memoria poteva anche ingannarlo. Non sarebbe di certo stata una novità, in quegli ultimi tempi…
«Frank, tu hai in mente questa persona?» rispose il primo uomo, rivolgendosi naturalmente all’amico dalla barba lunga e crespa. L’altro annuì silenziosamente, con fare solenne.
«Sissignore. Me lo ricordo. È quello che ti ha chiesto come aggirare quel blocco di furgoni la notte in cui Eglon è stata presa. Era diretto a prendere i suoi figli, se non vado errato…»
«Sì, proprio così!» confermò Stan, lievemente sorpreso. Non si aspettava che lo riconoscessero dopo tutti quei giorni, specialmente visto e considerato quanto poco avevano parlato.
«Già, hai ragione!» approvò il primo, annuendo con fare cerimonioso. «Ora mi ricordo. Di’ un po’, li hai raggiunti alla fine i tuoi figli?»
«Certo…»
«Bene! Jeff Turner, gestisco il negozio di ferramenta sul quale qualche giorno fa si è abbattuto un Black Hawk dell’esercito americano» si presentò in tutta tranquillità, porgendo la mano. Stan e Robert gliela strinsero a turno, pronunciando a loro volta i propri nomi. «E questo è il mio amico Frank. Lui fa l’idraulico, sapete? Dunque, che cosa ne pensi di tutto questo casino, Stan?» passò subito all’attacco Jeff, senza lasciare all’interlocutore il tempo di muoversi su quel terreno accidentato che gli si stava presentando davanti.
«Be’, devo ammettere che mi piace davvero poco…» confessò Stan, mantenendo un tono di voce relativamente basso. Non voleva farsi sentire dalla gente che gli stava attorno, non conosceva nessuno di quei tizi e preferiva non farsi notare. Jeff e Frank, però, per qualche strana ragione gli ispiravano fiducia…
«Per tutta risposta, devo dire che sei proprio il bastardo più cieco che io conosca per non vedere che questa situazione dovrebbe piacerti decisamente poco» replicò Frank, sbuffando divertito. «Non vedevo Eglon tanto piena di figli di puttana da quando nel duemilacinque è passato il presidente con il suo seguito di culi impomatati. E neanche in quell’occasione mi sembrava ci fossero tante armi, in giro per le strade.»
«Il mio amico Frank ha ragione» lo appoggiò Jeff. «Il suo linguaggio colorito non manca mai di evidenziare i nodi più fastidiosi di una situazione, bisogna riconoscerglielo. Ma con questo nuovo sindaco… Il suo modo di fare non mi piace, e i suoi progetti puzzano di…»
«Di merda» saltò fuori Frank, serissimo.
«Esatto. Grazie per la precisazione, Frank» barbugliò allegramente Jeff, scoccando un’occhiataccia alla facciata del municipio e ai due uomini dietro il microfono che ancora sorridevano e parlavano dalla sommità della gradinata. «Quei due dovrebbero assaggiare un po’ del piombo che si trova nei corpi dei poliziotti ammazzati la notte dell’attacco.»
«Dovrebbero baciare il culo di quei poliziotti, Jeff» lo corresse Frank, con fare teatrale. «E dopo, soltanto dopo, assaggiare il piombo.»
«È morta un sacco di gente, in una sola settimana. Più di quanta ne muoia normalmente in sei mesi. E il nuovo sindaco vuole aiutare i ribelli ad allungare ulteriormente i tempi, a resistere in questa dannatissima barricata contro l’assedio dell’esercito… C’è solo un aggettivo per descrivere persone del genere. Frank?»
«Coglioni!» lo aiutò Frank, ben lieto di poter dare la sua versione.
«Emeriti coglioni. Proprio così, Frank.»
«Ma ci dovrà essere un modo per sanare la situazione. Dico bene?» intervenne Stan, dimostrando la propria preoccupazione.
Frank gli fece l’occhiolino e gli si avvicinò piano, parlando sottovoce: «Certo che c’è, amico. Ma quanto sei disposto a rischiare per dare una mano?»
Stan sondò gli occhi dell’uomo che gli stava parlando e si rese conto che non scherzava. Il suo tono di voce era serio, e il suo sguardo pareva proteso verso di lui. Gli stava offrendo una strada. E adesso spettava a lui scegliere se fosse il caso di percorrerla o se invece fosse meglio lasciar perdere e tornare indietro.
«Tutto» farfugliò Stan Payton, e Jeff Turner sorrise.
«Cazzo, amico, belle scarpe!» disse Frank rivolgendosi a Robert, per coprire in maniera definitiva le parole bisbigliate di Jeff.
«Hai una pistola?»
«Grazie, Frank…» rispose Robert, messo in soggezione dal complimento inaspettato. «Anche le tue non sono male» buttò lì impacciato, tanto per dire qualcosa.
«Sì» sussurrò Stan, sentendo il proprio cuore incominciare a martellargli furiosamente il petto.
«Allora domani mattina alle sette ti voglio qui, in piazza, con quella pistola. Tienila nascosta, non farti beccare. Ti porterò a parlare con un paio di persone che ti potranno far capire che cosa sta capitando. E forse, dopo, potrai darmi una mano a far assaggiare del piombo a quei pezzi di merda che non fanno altro che parlare.»

Brian Jones pareva essere inciampato sull’orlo di una crisi di nervi. Sbuffava e imprecava sottovoce, ruotando gli occhi da una parte all’altra e osservando ossessivamente le finestre dalle quali i fucili di precisione dei cecchini ribelli tenevano sotto tiro la folla.
«Tutto okay, Brian?» volle sapere Jeremy, avvicinandosi all’amico e sussurrando al suo orecchio. L’agente dell’FBI sembrò ridestarsi da un sonno durato all’incirca sessantacinque milioni di anni, di fronte ad una schiera di persone quando si sarebbe invece aspettato di vedere un’immensa vallata punteggiata di enormi dinosauri.
«Sì, okay okay. Solo che pensavo ci fosse… No, lascia stare. Conosco quel tizio» cambiò argomento, indicando un uomo che si stava facendo largo silenziosamente tra la calca, cercando di conquistare un paio di file.
«Ah sì?» domandò Phil, con un accenno innegabile di indifferenza.
«Di chi si tratta?» s’informò Jeremy, individuando il diretto interessato.
«Un agente… FBI» mormorò quasi distrattamente Brian Jones, cupo. «Non mi piace, però. Potrebbe trattarsi di una delle talpe. So per certo che alcuni agenti erano stati corrotti dai ribelli. Questo si sapeva, quando si stava organizzando l’attacco ferroviario…»
«Meglio evitare di farci riconoscere, dunque?»
«Decisamente meglio» sottolineò Brian, col suo indubitabile accento inglese.
«Abbandoniamo la festa, allora» propose il vicesceriffo Wieler, irrequieto. «Stare in mezzo a tutti questi fucili puntati mi mette ansia, non so se mi spiego. I ricercati, solitamente, cercano di non farsi riconoscere dalle persone che vogliono le loro teste.»
«Un momento!» li bloccò Brian, indicando con un cenno del capo un uomo che si stava dirigendo verso di loro.
Jeremy Barton lo vide e la prima cosa che pensò fu che non poteva trattarsi di un ribelle: niente maschera, niente armi, niente sguardo ostile. Eppure era diretto proprio verso di loro, non c’era dubbio. Si accorse che Jeremy lo stava osservando e gli fece segno di aspettare. Oltrepassò un altro paio di sconosciuti e guadagnò qualche metro, continuando a muoversi senza dare troppo nell’occhio.
«Chi è?» biascicò Phil, rivolgendosi a Brian Jones.
«Un personaggio interessante…» lasciò in sospeso Brian, sorridendo.
L’uomo li raggiunse e si avvicinò senza degnarli d’attenzione, fingendo di cercare con lo sguardo il sindaco in cima alla gradinata del municipio. Si posizionò di fianco al vicesceriffo Wieler e mormorò laconicamente: «Non dovreste stare qui.»
«Chi sei?» borbottò Patrick Wieler, sospettoso.
«Non ha importanza. Adesso non potete allontanarvi durante il discorso. Dovete aspettare che il sindaco abbia finito e sperare di poter passare il blocco assieme al resto della folla. Non c’è altro modo» rispose lo sconosciuto, senza instaurare alcun contatto visivo con i poliziotti.
«Vi presento Gregory Donington. Agente sotto copertura dell’FBI» sentenziò Brian Jones, sogghignando. Greg gli rivolse un’espressione diffidente e si allontanò, facendosi assorbire nuovamente dalla calca formicolante.

«Chi è quel tipo?» mormorò David Goldbert, sussurrando all’orecchio di Gabriella. Emily Cooper, poco distante da loro, lo sentì e diresse lo sguardo verso il punto indicato dal dito del ragazzo. Gli occhi le caddero su di un uomo che si stava aprendo un varco tra la folla, avanzando rapidamente verso la prima fila a suon di spintoni e gomitate. In silenzio, l’uomo riuscì a crearsi un passaggio fino alle transenne allineate ai piedi della scalinata del municipio e vi si posizionò di fronte, fermo come una statua e scuro come una tempesta.
Il sindaco Green, che si stava abbandonando ad uno sproloquio riguardante l’impotenza dei soldati accampati fuori dalle barricate della città, si accorse dello sconosciuto che si era piazzato sotto di lui e la sua attenzione fu catturata dalle mani di quell’uomo che non conosceva. Erano rosse. Di un rosso innaturale, soggiunse tra sé e sé. Registrò a malapena un pigolio confuso da parte di Victor e inarcò le sopracciglia, incuriosito.
«E tu chi sei, buon cittadino?» pronunciò il nuovo sindaco con le labbra a pochi millimetri dal microfono. La voce gli morì in gola nel bel mezzo dell’ultima parola, e l’intonazione interrogativa si smarrì in un gorgoglio soffocato.
«Joey Goode ti manda un messaggio» sentenziò semplicemente lo sconosciuto, a voce abbastanza alta da farsi sentire lungo tutte le prime file. Si infilò una delle mani insanguinate all’interno della giacca e ne estrasse una pistola, sollevandola rapidamente e puntandola in direzione del sindaco.
«Cristo!» berciò Thomas Green, buttandosi a terra. Victor, accanto a lui, sparì senza dire una parola all’interno della porta principale del municipio, correndo via e facendosi ingurgitare dall’edificio come un pezzo di carne inanimato.
Una mezza dozzina di spari tagliarono l’aria di netto, sbrindellandola. I cittadini in piazza si abbassarono e si coprirono la testa, iniziando a gridare e ad allontanarsi in fretta e furia. Il panico prese la folla, abbrancandola e frammentandola. Le persone incominciarono a correre di qua e di là, alcuni chiamavano amici e famigliari, altri pensavano solo ad avere salva la pelle e sciamavano verso Main Street incanalandosi tra i furgoni blindati schierati in bell’ordine sull’asfalto.
I due carri armati furono portati avanti e posizionati all’imboccatura di una via per frazionare ulteriormente la moltitudine in fuga. Si udirono un altro paio di spari, ma nessuno controllò chi fosse rimasto a terra perché tutti erano troppo impegnati a sparire. I ribelli rimasero tranquilli, a braccia conserte, aspettando che la calca si disperdesse a poco a poco lungo le propaggini di Main Street.
Lo sconosciuto che aveva puntato la pistola contro il sindaco Green era disteso sul pavimento della piazza, gli indumenti inzuppati in una pozza di sangue che si allargava in una macabra macchia cremisi.
Thomas Green si rialzò, in cima alle scale del municipio, e tirò un sospiro di sollievo, rassettandosi l’abito. Maschera Blu gli fu vicino pochi istanti dopo, anche lui a braccia incrociate come tutti gli altri ribelli disposti attorno alla piazza.
«C’è mancato davvero poco…» borbottò il sindaco, ancora leggermente scosso ma già sufficientemente adirato.
«Lo abbiamo fermato in tempo» replicò Maschera Blu, mostrandosi assolutamente impassibile.
Victor Johnson ricomparve attraverso la porta principale del municipio, abbastanza imbarazzato e allo stesso tempo con aria strafottente. Si avvicinò ai due uomini e scandì con rabbia: «Joey Goode è un uomo morto.»
«Se riuscirai a prenderlo, naturalmente» rettificò Maschera Blu, in tono vagamente ironico.
«Che cosa? Devo occuparmene io?» ribatté Victor, sprezzante. «Nossignore, io non darò la caccia a Joey Goode per tutta la città, non senza prima…»
«Zitto, Victor» lo ammonì Thomas Green con fare talmente perentorio da indurlo a tapparsi la bocca all’istante. «Te ne occuperai tu eccome. E avrai a disposizione le risorse e gli uomini che i Soldati della Rivoluzione riterranno opportuno affidarti. Niente di più.»
«D’accordo…» accettò suo malgrado, compunto.
«È ora che la gente capisca chi comanda, qui ad Eglon» asserì fermamente il sindaco Green, sondando la piazza vuota. «I nemici della Rivoluzione vanno stanati ed eliminati subito

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