lunedì 23 gennaio 2012

Le Anime di Eglon - Episodio 20 - Il Ritorno del Vicesindaco Green

«Per adesso, l’essenziale è non farci beccare. Abbiamo tempo, e senz’altro le risorse non ci mancano. Ma il progetto va escogitato minuziosamente, altrimenti rischiamo di far saltare l’intera copertura. D’accordo?»
Gli occhi erano puntati su di lui. Tutti gli occhi, e questo significava che lo stavano ascoltando. Era sicuro di aver esposto con sufficiente chiarezza la situazione, ma allo stesso tempo temeva che qualcuno dei presenti non avesse pienamente afferrato la delicatezza dell’operazione in ballo. Ma, d’altro canto, non era un problema suo: i rischi erano stati svelati, e adesso spettava a ciascuno di loro prendere una decisione. Bisognava agire, e bisognava farlo in fretta se si voleva arginare il problema prima che assumesse le colossali proporzioni di una calamità biblica.
«Io ci sto, sceriffo. Conti pure su di me» approvò Jason Krain con fare deciso e sprezzante.
«Non lo so, a dire il vero scorgo molta foschia su quest’operazione…» borbottò incerto Steve Corall, grattandosi furtivamente la punta del naso.
«Ti capisco, Steve. Gli elementi che abbiamo sono pochi, ma forse stavolta basteranno ad incastrare quel bastardo una volta per tutte» sentenziò risoluto lo sceriffo Gordon Fillback. Passò in rassegna le espressioni assorte dell’esiguo grappolo di poliziotti che sedevano attorno alla scrivania del suo ufficio. Erano confusi e insicuri, ma allo stesso tempo leggeva sui loro volti la convinzione che fosse necessario agire in fretta. «Ascoltatemi. Non è come quella volta nel 2006 in cui lo abbiamo messo dentro con l’accusa di corruzione e ne è uscito due settimane dopo con la mente occupata dall’idea di vendicarsi dei poliziotti che lo avevano beccato: stavolta è diverso. Ce l’abbiamo praticamente nel sacco, e lo possiamo schiacciare sotto il tacco della scarpa come uno scarafaggio messo all’angolo!»
«E chi ci dice che l’informatore sia completamente affidabile, o che non sia stato addirittura depistato?» intervenne uno dei poliziotti, dubbioso.
«L’informatore è troppo vicino al nostro uomo perché possa essere stato raggirato, e allo stesso tempo lo detesta talmente tanto da essere disposto a qualunque cosa pur di vederlo finire dietro le sbarre per un lungo, lunghissimo periodo di tempo» ribatté tranquillamente Gordon Fillback. «Parlo di sua sorella, naturalmente.»
Un mormorio concitato attraversò l’ufficio da una parete all’altra, smuovendo la polvere che si era accasciata sugli angoli più inaccessibili del pavimento. Lo sceriffo Gordon Fillback avvertì chiaramente la tensione elettrica che per qualche istante fluì all’interno dell’ambiente.
«Sua sorella? Questo cambia le carte in tavola, sceriffo. Decisamente» commentò Steve Corall massaggiandosi l’estremità del mento.
«Già. Allora, che ne dite?»
«Dico che ci stiamo tutti quanti. Non è vero?»
Un unico cenno d’assenso sgattaiolò da uno sguardo all’altro, emergendo come un’automobile a fari spenti da un banco di nebbia particolarmente fitto.
«Allora andiamo ad ammanettare quel cane di Joey Goode!» concluse lo sceriffo Fillback alzandosi senza indugio dalla sua sedia e afferrando vigorosamente la pistola d’ordinanza riposta all’interno del primo cassetto della scrivania.

LE ANIME DI EGLON
PRIMA STAGIONE
EPISODIO 20
IL RITORNO DEL VICESINDACO GREEN

«Greg? Greg, dove sei?»
«Parla piano. Sono qui, tesoro» rispose sottovoce Gregory Donington, comparendo sulla soglia della stanzetta che aveva adibito ad ufficio nel rifugio sotterraneo nascosto sotto il pavimento della loro casa. Sua moglie Susi lo occhieggiò dal salotto e si diresse rapidamente nella sua direzione, stringendo in una mano il biberon di Brett e nell’altra un foglio di carta apparentemente stropicciato. Greg la fissò avanzare con un pizzico di impazienza e attese che lo raggiungesse.
«Che storia è questa?» volle sapere la donna, sventolandogli davanti alla faccia il pezzo di carta malandato senza permettergli di leggere che cosa vi fosse scritto.
«Non lo so, amore. Dove l’hai preso?» s’informò Greg, squadrandola con fare sospettoso.
«Di sopra… Qualcuno lo aveva infilato sotto la porta di casa nostra…» spiegò Susi con aria colpevole, quasi bisbigliando.
«Lo sai che preferirei che tu non andassi di sopra da sola, Susi» la rimproverò dolcemente Greg, sfiorandole il braccio con la mano libera. «Non è sicuro.»
«Mi serviva il cellulare, volevo controllare l’agenda per vedere se avevo ragione: oggi è il compleanno di tuo padre, Greg» si difese Susi a bassa voce, distogliendo lo sguardo da quello del marito.
«Lo so» mormorò Greg, apparendo per qualche attimo vagamente distante. «E sono lieto di poter avere finalmente una scusa per non dovergli telefonare e fargli gli auguri.»
«D’accordo, non importa. Ad ogni modo, leggi: mi pare una cosa sospetta» cambiò abilmente argomento Susi, indicando con un cenno del capo il foglio di carta che Gregory le aveva sottratto e del quale si erano momentaneamente dimenticati entrambi.
Gregory lesse rapidamente le quattro righe stampate sulla pagina, tutto d’un fiato, assorbendole come un batuffolo di cotone immerso in un bicchiere d’acqua. Fu costretto a ricontrollare tre volte prima di sentirsi sicuro di aver capito, e sollevando la testa osservò l’espressione ansiosa e allo stesso tempo disorientata di Susi, rispondendole con uno sguardo altrettanto confuso.
«Che cosa significa?» pigolò Susi Donington, preoccupata.
«Significa che il vicesindaco Green è tornato…» farfugliò distrattamente Greg, riportando gli occhi su quel pezzo di carta spiegazzata e rileggendo dentro di sé: “Alle ore 10:30 di domani mattina la popolazione di Eglon è invitata a radunarsi nella piazza del municipio per ascoltare il discorso del vicesindaco Thomas Green. I Soldati della Rivoluzione…”

«…sperano di poter contare sulla presenza dell’intera cittadinanza» concluse la lettura Robert, ripiegando il foglio che teneva tra le dita tremolanti e levandosi gli occhiali per riporli sulla mensola della cucina dalla quale li aveva appena prelevati.
Stan lo squadrò con aria buia, picchiettandosi l’indice sul profilo del mento. Non era sicuro che fosse una buona notizia. Anzi, molto probabilmente quell’avviso celava in sé un’altra cospicua quantità di guai. Se non altro, però, avrebbe potuto sfruttare l’occasione per mettersi in contatto con qualcuno. Chissà, magari in piazza avrebbe trovato persone interessate come lui a scovare un modo per contattare l’esercito. Poteva essere utile assistere al discorso di Thomas Green, tutto sommato.
«Che cosa ne pensi, Robert?» barbugliò Sarah, scoccando un’occhiata ansiosa a Michael che faceva sfrecciare le sue macchinine sul corrimano delle scale. Christine stava seduta a braccia conserte sul divano e sembrava fissare lo schermo spento della televisione, quando in realtà era ben chiaro che stava seguendo attentamente la loro conversazione. Entrambi avevano gli occhi di Stan, valutò Sarah per un fugace istante, e subito tornò a concentrarsi su Robert.
«Se quest’avviso parte dai rivoluzionari, sicuramente non c’è da aspettarsi nulla di buono. Mi sembra strano che il vicesindaco Green possa essersi schierato dalla loro parte, ma un discorso contro di loro mi pare alquanto improbabile, vista la pubblicità che gli hanno fatto…» considerò l’uomo, tormentandosi un orecchio mentre parlava in tono pacato.
«Potrebbe essere una trappola…» osservò Sarah, irrequieta.
«No, non credo. A quale scopo, poi? Radunarci in piazza per farci fuori? Avrebbero potuto ammazzarci tranquillamente in qualunque momento, data la situazione. Siamo disarmati e disorientati ormai da giorni, non vedo troppi rischi in questa convocazione. È anzi assai probabile che ci vogliano tutti in piazza proprio per realizzare ciò che promettono in questo volantino» osservò Stan. «Vogliono che assistiamo al loro discorso, e quasi sicuramente adopereranno Green come calamita per attirare l’attenzione dei cittadini. Dobbiamo andarci.»
«E perché mai?» intervenne Robert, palesemente scettico.
«Perché potrebbe essere l’occasione giusta per mettersi in contatto con qualche poliziotto, ecco perché. L’unica maniera per scoprire qualcosa di concreto potrebbe essere partecipare a quest’evento, e ritengo che valga la pena di esserci. Mal che vada, perderemo una mezza giornata a sorbirci un discorso senza capo né coda.»
«Stan ha ragione. Andare in piazza potrebbe essere utile» approvò Sarah, incrociando lo sguardo dell’ex marito per una frazione di secondo e girandosi prontamente dall’altra parte, fingendo di non essersene minimamente accorta.
«Sì, è vero» ammise cautamente Robert, sospirando. «Ma ti ricordo, Stan, che i ribelli stanno ancora conducendo i loro controlli a tappeto in giro per la città, passando di casa in casa alla ricerca di armi nascoste. Stamattina, quando sono uscito per prendere una boccata d’aria, Rose Cunningham, che abita in fondo alla via, mi ha confidato di aver sentito dire che ieri sera hanno ammazzato un tizio, giù per Neighbour Street. Aveva un fucile da caccia nascosto in garage, e si dice che lo abbiano fatto fuori con quello. Non tollerano armi clandestine, e non hanno intenzione di andare tanto per il sottile, a quanto pare.»
«Sta’ tranquillo, Robert. Qui non troveranno niente.»
«Come fai ad esserne così sicuro, Stan? Ti fidi così tanto di quella mattonella da essere disposto a mettere a repentaglio le vite dei tuoi figli?»
Christine rizzò il capo, tradendo la propria curiosa attenzione al dibattito. Sarah rimase zitta e immobile, a scrutare i volti tesi dei due uomini.
«Non ho altre possibilità, Robert. Sono sicuro che non capisci perché io abbia tenuto quella pistola, ma credimi: quando ne avremo bisogno ti renderai conto che avevo ragione. Pensaci un momento, dannazione: se i ribelli ci punteranno addosso le loro mitragliette e i loro fucili automatici, come conti di difenderci?»
«Perché, credi forse che una sola pistola potrebbe salvarci?»
«È proprio qui che sta il punto, Robert: la nostra unica speranza di cavarcela va riposta nei nostri concittadini. Se non siamo gli unici ad aver conservato un’arma, forse si potrebbe mettere in piedi qualcosa. Proprio per questo motivo ho bisogno di andare in piazza, domani mattina: voglio capire se il mio ragionamento può funzionare oppure no.»
«Opporsi a quei tipi sarebbe una follia, Stan. Lo sai benissimo» gli fece notare Robert con una certa diffidenza affilata nel tono di voce.
«Certo che lo so. Ma se di folli ce ne sono abbastanza, in questa città, forse abbiamo qualche possibilità di riuscire a liberare Eglon con le nostre forze.»

Emily Cooper guardò fuori dalla finestra dell’Eglon’s Window Hotel e percorse con gli occhi lucidi la carreggiata che sfilava quattro piani più in basso. I lampioni si erano già accesi da una mezz’ora circa, ma ancora i passanti non avevano smesso di affollare Main Street con le loro camminate spedite e allo stesso tempo prudenti. Sembrava che la città fosse in fibrillazione. Ma ad Emily, in fondo, non importava poi un granché.
Era lì già da una settimana, ormai, e tutto il tabacco che era riuscita a procurarsi nell’arco di quelle interminabili giornate si riduceva ad un misero pacchetto di sigarette sgualcite che aveva dovuto acquistare alla reception per la bellezza di venti dollari. L’ultima sigaretta se l’era fumata quella mattina sul balcone della sua stanza, e adesso si sentiva la gola secca e il respiro affannato perché le mancava il sapore del fumo. Forse le mancava addirittura più di George, che era rimasto a Los Angeles e che probabilmente nemmeno sapeva che fine avesse fatto.
Peggio per lui, si disse Emily con una certa dose di crudeltà. Se avesse fatto come gli avevo suggerito di fare e mi avesse seguita, adesso sarebbe qui con me e non si starebbe domandando se sono scappata con i suoi soldi in un’isola tropicale assieme a qualche bell’imbusto indigeno.
Certo, la prospettiva si poteva anche rovesciare: se lei avesse accettato di rimanere a Los Angeles, a quell’ora sarebbe stata seduta in ristorante in compagnia di George a bere buon vino e assaggiare piatti sfiziosi. Ma non era andata così, e con quei se non avrebbe di certo risolto la situazione. Era rimasta senza sigarette e, in base a quanto aveva capito, sembrava che fossero finite ormai in tutta la città. Così com’erano state esaurite le scorte di cibo e di carburante, se si voleva dar credito a quel che si diceva in giro.
Roba da non credere. Eppure, si trovava nel mondo reale, questo era poco ma sicuro. Anzi, peggio ancora: non si trovava soltanto nel mondo reale, ma addirittura nel bel mezzo degli Stati Uniti d’America, nello Stato dell’Arkansas, nella Jefferson County e ad Eglon, che diamine!
Oltretutto, in albergo correva voce che l’esercito fosse accampato appena fuori dai confini della città e che l’attacco di due notti prima, quello in cui diversi civili avevano perso la vita sotto un’inaspettata e repentina nevicata di bombe, fosse stato promosso proprio dal Governo. Il che significava che la rivoluzione in atto risultava essere scomoda per gli Stati Uniti, e che le forze armate avevano preso l’iniziativa di attaccare senza neppure attendere il via libera delle Nazioni Unite e della comunità mondiale.
Le implicazioni erano molteplici ed Emily aveva trascorso delle ore a sfogliarle mentalmente, prendendo diligentemente appunti nel grosso taccuino della sua memoria e finendo per evidenziarne una sola, quella che a parere suo doveva essere la più importante: gli Stati Uniti d’America, indiscussa potenza mondiale, erano stati duramente colpiti al cuore e nella foga del momento avevano compiuto un passo falso, decretando il proprio suicidio politico sul piano internazionale. La brutalità degli attacchi perpetrati a danno di innocenti non sarebbe passata inosservata agli occhi attenti dell’opinione pubblica, e la situazione sarebbe passata sotto il controllo diretto dell’ONU. Quasi sicuramente sarebbe andata così. A questo punto, dunque, quanto ci sarebbe voluto prima che si escogitasse una soluzione efficace al problema?
Emily Cooper conosceva bene la risposta a quest’ultima domanda, e francamente preferiva fingere di non saperla. Anche se in fondo, malgrado tentasse instancabilmente di nasconderla ai propri occhi, essa compariva di continuo nella sua mente: tanto, tantissimo tempo. E forse non sarebbero mai veramente riusciti a risolvere la questione.

Ci voleva un’idea. E alla svelta, altrimenti sarebbe finito tutto quanto lì, in quello spruzzo di colore perlaceo che le offuscava la vista.
Immagini dell’aeroporto. L’aeroporto di Eglon. Avvolto dalle tenebre, sì. Aveva il ciclo, adesso, e potenti crampi le scuotevano lo stomaco e glielo strizzavano come uno strofinaccio bagnato. Si sentiva triste e terribilmente sola. Però…
Però c’è dell’altro. Lo sento. Sento che non è tutto qui, che il fuoco che si alzava dall’aeroporto era soltanto l’inizio. Anzi, ne sono sicura.
C’erano i carri armati, dentro quell’immenso garage fasciato dall’oscurità. Una fila di carri armati imponenti che la fissavano con ribrezzo e disprezzo, quasi fregandosene di lei. E il buio le faceva paura, perché era dominato da cigolii e scricchiolii che definire sinistri sarebbe stato non soltanto da ottimisti, bensì da luridi ottimisti.
Nancy Vaugher, in quel momento, sentì i propri pensieri venire rapidamente risucchiati per mezzo di una pratica cannuccia di plastica. Al loro posto si insediò una sprezzante voglia di cioccolato che le sussurrò di fuggire.
«D’accordo, Nancy. Torniamo di sopra» mormorò tranquillamente Samuel Grey, e la giovane donna ubbidì senza fiatare, seguendo da vicino la silhouette dell’uomo che riattraversava lo sconfinato garage dei carri armati.

«Non capisci, Betty? Mio padre è vivo! Ed è tornato! Finalmente è tornato a riprendere il controllo della sua città!» esclamò Daniel Green con un certo entusiasmo, quasi saltando per la gioia. La notizia era sensazionale, doveva ammetterlo. Eppure, Betty sentiva che non poteva essere tutto qui. C’era per forza qualcos’altro, qualcosa di strano che non riusciva a percepire.
«È fantastico!» saltò fuori Rebecca, alle loro spalle. Betty si girò a guardarla con aria stizzita. Da quando erano tornati dall’ospedale Rebecca non faceva che parlare. Aver ritrovato suo cugino l’aveva resa più loquace, anche se il poveretto non era ridotto nelle migliori condizioni. Si trovava nei pressi di uno degli edifici colpiti dalle bombe, la notte in cui i Black Hawk dell’esercito avevano attaccato la città, e le ferite che aveva riportato erano gravi ma non letali. Il suo medico aveva detto a Rebecca che si sarebbe ripreso nel giro di qualche mese. Sempre, ovviamente, che le scorte di medicinali fossero state reintegrate al più presto, dato che stavano diminuendo allo stesso ritmo con cui i pazienti si moltiplicavano.
«Piano, ragazzi» farfugliò Betty, pensosamente.
«Se tuo padre riuscirà a riprendere il controllo della situazione io e mio cugino potremo tornare a casa!» proseguì Rebecca imperterrita, come se non l’avesse sentita parlare.
«Non solo: sistemerà le cose con i rivoluzionari e con l’esercito, e ripristinerà l’ordine!» la assecondò Daniel, così eccitato da non essere evidentemente capace di ragionare con lucidità. Betty lo squadrò malamente e si schiarì sonoramente la voce, attirando la sua attenzione.
«Calma, Daniel. Non è detto che questo volantino riporti una notizia completamente positiva» lo frenò Betty con il massimo del tatto possibile. Il suo ragazzo la fissò confuso, ridacchiando.
«Come dici, Betty? Non è positiva? Stai scherzando, spero: mio padre sta bene ed è tornato in città, probabilmente ha trovato il modo di porre fine a tutto questo!» ribatté spensieratamente Daniel, guardandosi attorno nel salone di casa come se stesse cercando il vicesindaco Green nascosto dietro il divano.
«Rifletti un momento, Daniel. Lascia perdere l’emozione e pensaci, maledizione! Da dove credi che venga quest’avviso, eh?» gridò tutto d’un tratto Betty, sventolandogli davanti al viso il volantino che era stato infilato sotto la porta dell’appartamento. «Viene dai ribelli, ecco da dove! Sono stati loro a stamparlo e a farlo circolare per tutta la città, loro hanno organizzato il discorso del vicesindaco e loro stanno invitando la popolazione ad ascoltarlo!»
«Vuoi dire che può trattarsi di una farsa?» domandò Daniel, finalmente titubante.
«O anche peggio, magari: potrebbe trattarsi di un discorso manipolato.»
«Manipolato?» intervenne Rebecca, disorientata.
«Sì, proprio così. Un discorso scritto dai ribelli. Potrebbero aver obbligato il vicesindaco a pronunciarlo davanti alla sua cittadinanza, per quello che ne sappiamo» spiegò Betty, lasciando il fidanzato a bocca asciutta.
«Questo vuol dire che non ci conviene andare ad ascoltarlo?»
«Al contrario, invece. Andremo ad ascoltarlo eccome, quel discorso. E così riusciremo a capire se il vicesindaco Green sarà stato costretto dai ribelli a mentire alla sua città.»

«Brian, vieni con noi?» volle sapere Jeremy, interrogando l’agente sotto copertura dell’FBI che aveva salvato i residui della polizia di Eglon conducendo tutti loro in quel vecchio complesso industriale abbandonato nei pressi della periferia. L’edificio era mastodontico, ma totalmente vuoto. Attorno al parcheggio avevano cominciato a crescere le erbacce e il cancello che delimitava il perimetro della costruzione era già stato assaggiato dai primi assalti della ruggine.
«Naturalmente» rispose Brian Jones con il suo lieve accento inglese, pacato ed elegante come sempre. Si avvicinò a Jeremy, Patrick e Phil e si infilò in tasca il cellulare con il quale stava armeggiando fino ad un istante prima.
«Ancora niente campo, vero?» gli chiese il vicesceriffo Patrick Wieler, accennando al telefonino appena scomparso nella sua tasca.
«No, niente di niente» confermò Brian con aria rassegnata, alzando le spalle. «Ma d’altronde non possiamo aspettarci che le comunicazioni riprendano di punto in bianco, senza che nessuno si prenda la briga di capire come siano state oscurate ed elimini la fonte dei disturbi.»
Assieme, i quattro si spostarono nell’ampio ingresso dell’edificio, vuoto come tutti gli altri ambienti, e uscirono in cortile. Prima di varcare la soglia il vicesceriffo Wieler salutò con un cenno del capo i due poliziotti appostati alle finestre del piano terra, intenti a fare la guardia al complesso in cui si erano rifugiati. Altri agenti erano stati disposti nei punti strategici dei piani superiori, di modo che potessero controllare l’intera zona circostante per prevenire qualsiasi genere di pericolo.
«Che cosa troveremo nella piazza del municipio, secondo voi?» domandò ad un tratto Phil, mentre si incamminavano tra le fabbriche chiuse che li osservavano con i mille occhi luccicanti delle finestre desolate.
«Solo follia» borbottò il Patrick Wieler, e la sua sentenza fece calare il silenzio.

La piazza era letteralmente gremita, quella mattina. La folla che si era radunata davanti al municipio della città di Eglon pareva infinita, e un inesauribile flusso di persone continuava ad alimentarla minuto dopo minuto.
La piazza era altresì circondata. Due carri armati, al centro di Main Street, sorvegliavano la zona con le loro nere bocche da fuoco in posizione, quasi che non attendessero altro che un ordine d’attacco. Tutt’attorno al perimetro i rivoluzionari avevano formato file compatte, chiudendo le strade secondarie con i furgoni blindati e assicurandosi che la gente che passava fosse innocua.
Alcuni ribelli erano stati posizionati all’interno del municipio e degli edifici accanto, dislocati presso le finestre spalancate dei vari piani con fucili di precisione pronti ad essere rapidamente puntati sulla piazza nel caso in cui qualcosa fosse andato storto. Gli altri, a dozzine, erano schierati nei punti strategici dai quali si poteva tenere sotto controllo la situazione senza correre rischi eccessivi.
Maschera Blu si posizionò in cima alla scalinata che metteva in comunicazione la piazza con la porta d’ingresso del municipio. Il tratto di facciata attorno alla finestra di quello che era stato l’ufficio del sindaco John Donaldston era ancora annerito, e il vetro non era stato sostituito. Si trattava dei residui del primo attacco sferrato alla città, e la popolazione ne serbava ancora una memoria nebulosa ma sufficientemente stabile.
Il microfono posto di fronte alla porta d’entrata del municipio era stato collegato ad una decina di enormi casse disposte attorno alla piazza. Maschera Blu gli si avvicinò e rimase immobile, in silenzio, come la caricatura grottesca di un’antica effigie demoniaca. La folla si zittì e il suo mormorio confuso sfumò nell’aria, estinguendosi.
«Cittadini di Eglon» esordì la voce incolore e insapore di Maschera Blu, adoperando quella formula di apertura che gli abitanti della città avevano registrato e riascoltato svariate volte nei propri incubi. «Siamo felici di constatare che siete venuti in molti, quest’oggi, ad ascoltare quello che il vostro vicesindaco ha da dirvi. Non intendo rubarvi troppo tempo. Desidero soltanto dirvi che ci sono pervenute interessanti notizie dall’esterno: sembra che l’esercito sia stato autorizzato ad intraprendere un’operazione d’assedio nei confronti della città, e che ai soldati sia stata data carta bianca. Per questo, abbiamo motivo di credere che le risorse saranno sempre più scarse. Ma stiamo già attuando un progetto che ci permetterà di raccoglierne abbastanza, nei prossimi giorni, da rendere nuovamente operativa la città per qualche settimana. Sto parlando di cibo, acqua, medicine e carburante. Cercate di farvi bastare le vostre scorte ancora per qualche giorno, dopodiché provvederemo noi a distribuirle a chiunque ne avrà bisogno.
«In merito a queste considerazioni, faccio presente fin da subito che Thomas Green è da oggi nominato sindaco a tutti gli effetti della città di Eglon. Sarà lui a fare da intermediario tra la popolazione e i Soldati della Rivoluzione, e qualsiasi richiesta da parte vostra dovrà passare attraverso di lui.
«Fatte queste premesse, vi lascio al discorso del vostro nuovo sindaco: Thomas Green.»
La folla, ammutolita, osservò Maschera Blu spostarsi di lato per lasciare spazio alla nuova figura appena comparsa dalla porta aperta del municipio. Il sindaco Thomas Green si avvicinò al microfono e si schiarì tranquillamente la voce, producendo un sorriso che fece quasi accapponare la pelle alle persone che assistevano dalla prima fila.
Era proprio lui. Nessuno faticò a riconoscerlo, e appena incominciò a parlare tutti si resero conto che non poteva trattarsi di un sosia: era davvero Thomas Green, la voce era la sua. Ma c’era qualcosa di strano nei suoi occhi. Qualcosa di vagamente oscuro e indecifrabile, che comunicava una smisurata tristezza.
«Miei cari concittadini,» principiò il neosindaco, vestito in un impeccabile completo blu notte, «in questo grave periodo di crisi mi rivolgo a voi non da vostro amministratore, bensì da vostro pari. La Rivoluzione è diventata parte di noi. Adesso, è tempo che noi diventiamo parte di lei.»Che cosa sta succedendo in cittò, signor Grau?»

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