sabato 24 dicembre 2011

The Walking Dead - Amore e Morte - Capitolo VI

Dopo che Stephanie ebbe annunciato che intendeva andare a letto, Billy e Rick si sedettero fuori, appena al di là della porta d’ingresso dell’abitazione, e lasciarono l’uscio aperto per avere un po’ di luce alle proprie spalle.
«Mi sono svegliato in ospedale» iniziò a narrare Rick, scrutando il vuoto dinnanzi a sé e sondando la parete di immobile oscurità che si parava loro davanti. «Ho provato a chiamare qualcuno, ma non ho ricevuto risposta. Mi sono alzato e sono uscito. Fuori c’erano solo morti. Nei corridoi, su tutto il parcheggio, lungo le strade. Cumuli e cumuli di cadaveri.
«Sono corso a casa mia, a cercare la mia famiglia. Non c’erano, ma sono sicuro che si sono salvati. Devono essere andati ad Atlanta. Non possono che trovarsi laggiù. Mia moglie e mio figlio…»
«Che cosa ci facevi in ospedale? Eri in coma?» volle sapere Billy, incuriosito.
«Sì. Mi avevano sparato. Non so per quanto sia durato il coma. So solo che erano tutti ancora vivi, il giorno in cui i ricordi si sono interrotti» mormorò Rick, cupo.
«Quindi ti sei perso tutto quanto…»
«Già» confermò, rendendosi conto soltanto ora, per la prima volta da quando si era risvegliato nel suo letto d’ospedale, che non aveva idea di che cosa fosse precisamente successo nelle ultime settimane.
«E la tua famiglia? Non sono venuti a prenderti, quando la città è crollata e sono fuggiti?» gli domandò Billy, con una certa stonatura di meraviglia nella voce.
Rick fu colpito nel profondo da questo punto interrogativo. Era vero. Non ci aveva ancora pensato. Non si era posto il problema, ma ora esso emerse inevitabilmente. Perché la sua famiglia non lo aveva portato via dall’ospedale, quando era scappata? «Non ne avranno avuto il tempo…» ipotizzò, titubante. La domanda lo trovava impreparato. Perché…?
«Si ha sempre tempo per la persona che si ama» commentò Billy voltandosi a guardare il corridoio alle loro spalle, gettando un’occhiata alla porta chiusa della stanza in cui dormiva la sua adorata Stephanie.
«Sei stato tu a salvarla?» chiese Rick, intuendolo dalle parole del ragazzo.
«Sì. Non hai idea di quello che ha passato. Quando casa mia è stata presa d’assalto, dopo che i morti hanno sfondato le barricate dell’esercito, sono corso in auto da lei. Le strade erano un macello. Poche macchine in giro, però. Soprattutto persone a piedi. E gli zombie.»
«Per quanto ha resistito il presidio dell’esercito?» lo interrogò Rick, reso inquieto dai racconti post apocalittici che il ragazzo gli stava riferendo con tanto autocontrollo.
«Meno di una settimana. Gli zombie erano troppi, e l’infezione si propagò in fretta. Alcuni soldati fuggirono quella notte in direzione di Atlanta. Credo che là stiano resistendo ancora… Alla radio dicevano che la maggior parte dei mezzi di difesa era concentrata lì…» spiegò Billy sinteticamente.
«Come vi siete salvati?» lo invitò a proseguire Rick, coinvolto dalla vicenda che i due ragazzi avevano passato e che doveva essere stata quantomeno terribile.
«A dire il vero, nemmeno io so come abbiamo fatto. La città era già interamente occupata dai morti, ma raggiunsi la casa di Stephanie senza intoppi. Credevo di avere più tempo… E partendo da casa mia ero anche convinto che dall’altra parte della città non fossero ancora arrivati. Mi sbagliavo. E di grosso.
«Quando arrivai davanti alla casa di Stephanie trovai il cancello che delimitava il cortile orrendamente spalancato. La porta d’ingresso era aperta, e la soglia era macchiata di sangue. Scesi dall’auto e uno zombie comparve all’improvviso da dietro uno dei cespugli del cortile. Sapevo che c’era un portaombrelli, vicino alla porta d’entrata. Superai le scale con un balzo e afferrai un ombrello a caso. Mi girai di scatto e mi ritrovai in faccia il puzzo da cadavere del morto, i denti a pochi centimetri dal mio viso e le mani già tese in direzione del mio collo. Gli conficcai la punta di plastica dell’ombrello dritta in bocca, sfondandogli il palato e premendo verso l’alto. Perse l’equilibrio e crollò giù dalle scale con l’ombrello ancora piantato in testa.
«Ormai avevo perso ogni speranza. Stephanie era morta, lo sentivo. Eppure ancora non me ne volevo andare. Non potevo andarmene, capisci? Non prima di averla vista con i miei occhi.»
«Era ancora viva…» tartagliò Rick, e le parole gli uscirono sottoforma di rassicurazione invece che come un interrogativo.
«Ma non puoi neanche lontanamente immaginare quello che aveva dovuto sopportare là dentro…» replicò Billy con aria pensosa, e riprese in mano il filo della narrazione.
«Era buio pesto, in casa, e l’unico modo per non inciampare era lasciarsi guidare dalle ombre soffuse che a malapena si intravedevano grazie alla luce dei lampioni in strada. Il salotto era deserto, così come la cucina. La porta che dava sul corridoio era aperta. Il corridoio metteva in comunicazione tutte le camere da letto, e vidi che laggiù c’erano delle luci accese. Mi avviai attraversando l’oscurità ignota che mi separava dall’angusto spazio illuminato, e ad ogni passo e ad ogni respiro temevo di venire assalito e morso e di finire così il mio viaggio prima ancora di cominciarlo.
«La stanza di Stephanie era sulla sinistra, e vidi che era aperta. Quella di suo fratello, accanto alla sua, pareva vuota, ma dentro era talmente buio che non potevo esserne del tutto certo. La camera dei suoi genitori, infine, stava dall’altra parte del corridoio, e poco più in là c’era la porta chiusa del bagno. Era da lì che veniva la luce. Dal bagno, dalla sottile fessura al disotto della porta e dal minuscolo puntino della serratura. C’era qualcuno, dentro al bagno. Qualcuno che piangeva. La mia Stephanie…»
Billy si passò una mano sul viso e inghiottì a vuoto, forse per cercare le parole giuste con le quali proseguire, forse per calmarsi e rammentarsi che era soltanto un ricordo. Sondò le tenebre della notte con fare macchinoso, quasi faticosamente, e considerò quasi tra sé e sé: «Guarda là. Tutto l’inquinamento luminoso che deturpava la notte si è spento di colpo, facendosi assorbire dall’oscurità.»
Poi si riscosse, come se si fosse addormentato per un istante, e riprese: «I singhiozzi di Stephanie, oltre la porta del bagno, erano flebili ma persistenti. Non sapevo che cosa fare. Avrei voluto chiamarla, ma non avevo voce e ogni sospiro mi moriva in gola. Notai con la coda dell’occhio il sangue sul pavimento e sulla parete bianca di fianco alla camera da letto dei suoi genitori. Era sangue fresco, versato da poco. Non c’era alcun dubbio. Mossi qualche passo in quella direzione, e buttai un’occhiata nella stanza dei genitori di Stephanie. Li vidi lì, distesi sul letto, uno accanto all’altra, gli occhi sbarrati e le teste sfondate da colpi di fucile. Il cuore mi saettò contro la gabbia toracica con tale impeto da farmi quasi perdere i sensi. Si abbracciavano.
«Qualcuno aveva sparato in testa alla mamma e al papà di Stephanie, il che significava che prima dovevano essere stati morsi. E forse anche Stephanie era stata morsa dagli zombie, e adesso era già morta e si era risvegliata nel bagno dove sembrava piangesse…
«Stavo per crollare. La testa mi pulsava terribilmente, e un’amara sensazione di sconfitta aleggiava tutt’attorno a me come il presagio di una fine ormai inevitabile. Ma resistetti. Dovevo esserne sicuro, capisci? Dovevo accertarmi del fatto che la mia Stephanie se ne fosse uscita per sempre dalla mia esistenza. E, se avessi scoperto che era così, probabilmente mi sarei tolto la vita lì, in quel corridoio, in quello stesso istante, perché continuare senza di lei non avrebbe più avuto alcun senso.
«Con questi propositi in mente mi avvicinai piano alla porta del bagno e bussai lievemente, chiamandola per nome. Sentii che il suo pianto continuava, flebile ma costante, e la sua voce apparve dal nulla come un segnale di speranza e mi intimò di andarmene.
«Le chiesi perché. Le domandai se era stata morsa, se stava male. Mi rispose di no, e io provai ad aprire la porta ma era chiusa a chiave dall’interno e non potevo fare nulla. Bussai, la chiamai ancora, e lei non mi rispondeva. La supplicai di aprirmi, le dissi che dovevamo fuggire via, che dovevamo lasciare la città alla svelta prima che fosse troppo tardi per andarsene. Mi rispose di lasciarla lì, che lei non voleva seguirmi. Ma non me ne sarei mai andato senza di lei. E non lo feci, anche se le urla e gli spari che assediavano l’aria in quei minuti mi stavano lentamente facendo impazzire.
«Forse aveva visto morire i suoi genitori, pensai. Forse li aveva visti trasformarsi in zombie e aveva assistito alla loro uccisione da parte di qualche soldato. Le domandai con la massima delicatezza possibile se si trattasse di questo, e finalmente la sentii alzarsi in piedi e venire ad aprirmi. La porta si dischiuse con calma, e mi ritrovai davanti il suo viso stravolto. Teneva in mano un fucile, quello di suo padre, e sembrava quasi che l’impugnatura si fosse fusa alle sue dita da quanto lo stringeva insistentemente. E allora capii. Prima ancora che mi dicesse che era stata lei a sparare in testa ai suoi genitori, dopo che erano morti e che, ridestandosi, avevano provato ad azzannarla.
«Mi si gettò al collo e io la abbracciai. Tremava. Quello che aveva dovuto fare era stato atroce. Ma era viva e stava bene, e non sai quello che ho provato quando me ne sono reso conto completamente. Rimase per qualche minuto con il viso affondato sulla mia spalla, in lacrime. E quando si tirò su fu perché venne riscossa da un rumore alle nostre spalle, il fruscio di un passo lento e difficoltoso, accompagnato da un gorgoglio inconfondibile: quello di una bocca desiderosa di macinare ossa e carne umane.
«Scorsi un tremolio negli occhi di Stephanie, e girandomi trovai alle mie spalle suo fratello. O, meglio, ciò che rimaneva di lui. La spinsi nuovamente dentro il bagno e oltrepassai la soglia assieme a lei, cercando di richiudere la porta. Lo zombie mi impedì di farlo, infilando un braccio all’interno prima che riuscissi a bloccarla, e io cercai di tenerla ferma con i piedi, facendo forza il più possibile per riuscire a far cedere l’avversario.
«Udii uno scatto metallico dietro di me, sonoro e risoluto, ma non prestai troppa attenzione a quel rumore che pareva provenire da una distanza di migliaia di anni luce. Fu quando mollai la presa e la porta si spalancò del tutto che realizzai quello che stava per succedere, e dentro di me piansi per le emozioni che sconvolsero in quegli istanti l’anima della mia ragazza.
«La testa del cadavere di suo fratello scoppiò letteralmente in corridoio, lanciando un fiotto di sangue che raggiunse il pavimento del salone più in là. Stephanie abbassò la canna fumante del fucile e si lasciò cadere a terra, piombando sulle ginocchia e raggomitolandosi su se stessa, riprendendo a singhiozzare. La finestra del bagno fu infranta da una mezza dozzina di mani che cercarono di afferrarla, ma fui più veloce e la allontanai in tempo, costringendola ad alzarsi. Non c’era tempo per piangere la morte della sua famiglia. Non era il momento di pensarci. Bisognava sopravvivere, era questa la priorità.
«Le strappai di mano il fucile e me la trascinai dietro. Trovammo due zombie sulla porta di casa e tre in cortile. Mi feci strada sparando, e Dio solo sa come ci riuscimmo, ma alla fine ci sedemmo in auto e partimmo verso la montagna.
«Stephanie non aprì bocca per tre giorni. Mangiava poco, stava in silenzio e mi guardava. Forse si chiedeva per quale assurda ragione fossimo ancora vivi, mentre tutti gli altri… Beh, magari non è proprio così, ma questa è la mia interpretazione, e preferisco non approfondire. Siamo qui da un tempo incalcolabile, ormai, il passato è passato e l’unica cosa certa è che non ritornerà mai più.»
«Accidenti…» riuscì a barbugliare Rick con un filo di voce.
Guardò il cielo che li sovrastava e si rese conto che non aveva mai visto una notte più buia di quella in tutta la sua vita. Le stelle erano un’infinità, come i granelli di sabbia di una spiaggia, e si scorgevano altri puntini luminosi sempre più piccoli, sempre più fievoli, che proseguivano senza sosta nelle profondità dello spazio. Era davvero uno spettacolo incredibile.
Rick pensò tra sé e sé che quella meraviglia faceva sembrare piccola la loro condizione, la loro esistenza, la loro stessa situazione. L’apocalisse del genere umano era davvero minuscola e insignificante, messa a confronto con quel cielo stellato.
«Già. Ma adesso si tratta di tirare avanti per quanto si può, e con quel poco che rimane. Ho paura che il prossimo inverno sarà rigido, e prima che i sentieri diventino impraticabili ho voglia di andare a prendere un altro po’ di cibo in vista del gelo» cambiò argomento Billy, ragionando ad alta voce.
«Ci sono negozi di alimentari, qui vicino?» s’informò Rick.
«Sì, ce n’è uno a un paio di miglia da qui.»
«Ti ci posso accompagnare io domattina…»
«No, non voglio farti sprecare carburante. E poi, si raggiunge molto più rapidamente attraverso i boschi, risalendo la vallata» spiegò Billy accennando alle tenebre.
«Ti accompagno a piedi, allora. In due riusciremo a portare di più» si offrì Rick. «In fondo, è il minimo che possa fare per sdebitarmi. E ritardare il mio viaggio di un giorno non cambierà poi di molto le cose. Dopotutto, non è mica la fine del mondo…»
«No, infatti. Quella c’è già stata» ribatté ironicamente Billy, e con un malinconico sorriso d’intesa accettò la proposta di Rick.

THE WALKING DEAD
AMORE E MORTE
SCRITTO DA DAVIDE DE BONI
ISPIRATO ALLA SERIE DI FRANK DARABONT E ROBERT KIRKMAN

Nessun commento:

Posta un commento